La scuola di Renzi

16 Settembre 2014

 

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Valeria Piasentà

Le nuove linee guida sulla scuola smentiscono tutte le buone intenzioni espresse, sull’argomento, dal governo in carica. E le parole di Renzi, che in campagna elettorale disse che avrebbe messo la scuola al centro della sua politica, accaparrandosi così anche i voti di molta parte dei lavoratoridella scuola. Sono molti i punti critici del rapporto La buona scuola – facciamo crescere il paese. Il primo sfregio incide sulla situazione stipendiale dei docenti, con il reiterato blocco della contrattazione – come per tutti i lavoratori della PA – e il blocco degli scatti di anzianità dal 2015. Si tratta di una palese ingiustizia, considerando che in tutti i contratti pubblici sono attivi aumenti stipendiali in base alla anzianità, perché anzianità di servizio significa prima di tutto esperienza nonché la certezza di un trattamento equanime. Inoltre, questo impoverisce una categoria tradizionalmente povera, che negli ultimi anni ha pagato alla crisi non solo con una perdita del potere d’acquisto, ma con una reale diminuzione degli stipendi. Dal rapporto sull’istruzione dell’OCSE Education at a Glance: OECD Indicators del 2014, uscito in questi giorni, relativamente alla situazione italiana leggiamo che «…il salario medio degli insegnanti della scuola primaria e secondaria inferiore è diminuito (in termini reali) del 2% fra il 2008 e il 2012… Le retribuzioni statutarie degli insegnanti con 15 anni di esperienza sono state diminuite del 4,5% tra il 2005 e il 2012…». Renzi e il ministro Giannini hanno più volte sostenuto di voler valorizzare la figura dell’insegnante, e lo faranno con un sistema cosiddetto meritocratico che premierà solo il 66% dei docenti. Il resto è demeritevole, per legge. «A ogni docente sarà riconosciuto, come già avviene oggi, uno stipendio base . Questo stipendio base potrà essere integrato nel corso degli anni in due modi: il primo sarà strutturale e stabile, grazie a scatti di retribuzione periodici… legati all’impegno e alla qualità del proprio lavoro; il secondo sarà accessorio e variabile… per lo svolgimento di attività aggiuntive…». Vari analisti hanno elaborato previsioni: un docente che non consegua mai gli scatti, avrebbe una perdita media mensile di 305 euro, che diventano 4.000 l’anno e 168.000 nel corso della vita lavorativa, ripercuotendosi poi sul trattamento pensionistico; uno che raggiunga sempre il livello di merito grazie ad attività aggiuntive, supplenze in varie scuole sul territorio, corsi di aggiornamento e quant’altro, avrebbe un guadagno di 85 euro al mese dopo 3 anni e 45 dopo 5. Considerando che solo 2/3 dei docenti potranno accedere allo scatto, ne risulta un valore medio di perdita per docente di circa 95 euro netti mensili, 160 lordi, 2.000 lordi all’anno. Mentre lo Stato guadagnerebbe annualmente 1,3 miliardi (2.000 euro lordi moltiplicato per 650.000, il numero stimato dei docenti italiani). Ecco chi paga la stabilizzazione dei precari, che è stata imposta dalla Corte di giustizia europea quindi non si tratta della vittoria personale sbandierata da Renzi e dal ministro Giannini. Infatti, su sollecitazione della Corte costituzionale e del giudice del lavoro di Napoli, a seguito di innumerevoli ricorsi di precari ‘storici’, la Corte europea ha sancito una grave violazione delle norme comunitarie in materia di assunzioni con contratti a tempo determinato su cattedre vacanti, e la loro reiterazione per oltre 3 anni. Lo Stato italiano avrebbe potuto incorrere in sanzioni fino a 4 miliardi senza l’assunzione dei 125.000 precari ‘storici’. Quattro miliardi che avrebbero pagato tutti i cittadini, invece ora solo gli insegnanti finanzieranno le assunzioni, che allo Stato costeranno un miliardo solo il primo anno, fino a 3 o 4 in dieci anni.

Quel che più inquieta sono le modalità previste per la valutazione, tutte nelle mani di pochissimi: il dirigente scolastico che potrà scegliersi i docenti e premiarli economicamente, e un mentor «che aiuta il preside e la scuola nei compiti più delicati legati alla valorizzazione delle risorse umane nell’ambito della didattica». Ed ecco che non solo i metodi ma anche il linguaggio avvicina questa cosiddetta sinistra di governo alla destra di Berlusconi, Tremonti, Gelmini, ecc., per i quali la scuola doveva essere considerata una azienda, quella delle tre I, ricordate? Infatti il documento più avanti introduce i temi dell’autonomia, dell’apertura all’intervento dei privati, della digitalizzazione poi, nel più puro stile entusiastico-giovanilistico renziano, afferma «Dobbiamo mettere la scuola nelle condizioni di cambiare rotta. Per farlo, il timoniere è essenziale: al dirigente scolastico va data la possibilità di organizzare meglio il lavoro all’interno della scuola, di guidare il piano di miglioramento, di concordare le sfide con il territorio e con gli altri attori sociali dell’area vasta che sostiene l’istituto». Sarà interessante notare secondo quali criteri verranno stilate famigerate liste di meritevoli e non meritevoli. Perché non è detto che quelli considerati meno meritevoli siano necessariamente meno bravi, per contro chi stanzia in un’aula per decine di ore settimanali sia poi anche un didatta efficace. In ogni caso, questo si pone in contrasto con le analisi del rapporto OCSE, che stima la scuola italiana gravata da tre problemi strutturali: la diminuzione costante degli investimenti pubblici, è il Paese con la riduzione più marcata fra i 34 esaminati; l’invecchiamento della sua forza lavoro, abbiamo la più alta percentuale di docenti sopra i 50 anni di tutti i paesi dell’OCSE; e, soprattutto, le scarse retribuzioni degli insegnanti che andrebbero incrementate da subito del 10,5%. Invece Renzi taglia gli stipendi agli insegnanti legandone la progressione a una demagogica idea di merito individuale, una modalità che non è presente in nessun sistema scolastico europeo: chissà se l’Unione europea avrà da ridire al proposito. E chissà dove crede di vivere Renzi, forse in quella Germania dove chi è beccato a copiare la tesi chiude definitivamente una brillante carriera politica; forse negli Stati Uniti, dove chi elude le tasse finisce davvero in galera. Ma Renzi vive in Italia, dove la legge più urgente sarebbe sul conflitto di interessi. Dove, se passano queste linee guida , vedremo presidi scegliere come mentor le loro mogli, come vicepreside il loro cavallo, e immaginiamo a chi saranno caricati i crediti meritocratici. Un Paese che, come sosteneva l’ex vicepresidente del Pd ora viceministro Scalfarotto alle primarie dell’Unione del 2005, nelle riunioni del suo gruppo Io partecipo: «In Italia, anche per presentare Quark bisogna essere figli del presentatore di Quark ». Allora lancio un appello al sostenitore della prim’ora e amico di Renzi: «Ivan consiglia i tuoi amici al governo, digli che stanno facendo una porcata peggiore della riforma Gelmini che affosserà definitivamente il sistema scolastico nazionale. Peggiore (se possibile) dell’idea di scuola leghista. Almeno loro avevano quella sorta di timore reverenziale di tradizione contadina, e le lauree se le compravano direttamente in Albania. Invece i neo governanti inalberano un complesso di superiorità difficile da comprendere e che, soprattutto, non aiuterà la sinistra a vincere le prossime elezioni. Questo l’avete messo in conto?»

 

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