I nazionalismi contro l’Europa
16 Settembre 2014Gianfranco Sabattini
La Nazione contro l’Europa, che nata come progetto ideale, prima ancora che politico ed economico, ha perso il suo slancio originario. Lo sostiene Michel Wieviorka, noto sociologo francese, in un recente articolo apparso sul numero 4/2014 di “MicroMega”; in esso, il sociologo evidenzia come il progetto europeo, concepito sotto la pressione dell’esperienza tragica del secondo conflitto mondiale, nella prospettiva di una sua utilizzazione come scudo protettivo contro nuove possibili guerre, oggi è stretto fra una crisi economica, i cui effetti affievoliscono le idealità originarie, ed un “rigurgito” nazionalistico, che funge da supporto ideologico a quanti, da destra e da sinistra, oggi contestano le finalità originarie dell’esperienza comunitaria. Le ultime consultazioni elettorali per il rinnovo del Parlamento europeo confermano le previsioni di quanti hanno temuto che i risultati, caratterizzati da un alto tasso di astensione e dal successo di forze populiste ed estremiste, sancissero, se mai ve ne fosse stato bisogno, l’esistenza e la consistenza di un forte movimento di opinione ostile all’Unione Europea.
Se si riflette sulle modalità con cui è stata progettata l’edificazione dell’Unione, pur essendo stata la coesistenza pacifica il leitmotiv che ha ispirato e guidato l’attività dei suoi promotori, è impossibile, secondo Wieviorka, sottrarsi alla constatazione che erano economici i mezzi con cui il progetto è stato avviato. Secondo i suoi promotori, infatti, la “Comunità europea sarebbe dovuta essere politica, sul lungo periodo, a condizione però di procedere gradualmente, sviluppando un’integrazione economica sempre più approfondita”. Si è trattato, in realtà, per Wieviorka, di un modo di procedere che ha inteso “bruciare le tappe” nell’edificare un’Europa dotata di tutti i caratteri di uno Stato-nazione “senza la conoscenza approfondita dei dati storici, politici e sociali del momento”; questa mancata conoscenza, impedendo l’adozione di una qualsiasi altra strategia rispetto a quella prescelta, ha condotto la lenta realizzazione dell’Unione Europea nell’attuale cul de sac.
Nell’arco di un sessantennio, l’Unione si è allargata e rafforzata sino a costituire, non solo un’unione economica, ma anche un’unione monetaria, per la maggior parte dei Paesi più importanti che la compongono, parallelamente ad un approfondimento della sua strutturazione politica, attraverso la stipulazione di diversi Trattati. Durante il periodo in cui tutto ciò è avvenuto, in presenza di un alternarsi di momenti di forti tensioni, pro e contro al progetto di allargamento e di rafforzamento, sono maturati i dubbi, le critiche e lo scetticismo, che si sono diffusi e radicati in una parte dell’opinione pubblica europea, assieme al propagarsi degli effetti della crisi che ha colpito gran parte delle economie occidentali nel 2007/2008.
Secondo Wieviorka, al di là della reazione ai disagi provocati dall’incapacità delle istituzioni europee di fare fronte a questa crisi attraverso risposte solidaristiche, l’euroscetticismo e l’ostilità contro l’Unione Europea si sono arricchiti di “caratteristiche inedite”, perché, a prescindere dalle considerazioni economiche e politiche, sono stati gli stessi valori ideali sui quali era fondato originariamente il progetto europeo ad essere stati messi in discussione; ciò in quanto i “nemici” di tali valori sono giunti ad “istituzionalizzare la propria ostilità e a penetrare addirittura all’interno del sistema politico per instillarvi l’odio xenofobo, razzista o antisemita e i valori non umanistici, o antiumanistici, che accompagnano i loro progetti di edificare società chiuse e nazioni omogenee”.
L’estendersi della crisi finanziaria, indotta dal crollo del marcato immobiliare americano dei prestiti subprime, e gli interventi messi in campo dagli Stati e dalle istituzioni europee per permettere al sistema bancario di “salvarsi” si sono trasformati nella crisi dell’Europa tout-court, ai danni, in particolare, dei Paesi più deboli. La solidarietà europea è stata così messa alla prova; gli Stati economicamente più forti, come quelli dell’area germanica, hanno “imposto” ai Paesi più deboli, con i conti pubblici in “rosso” (i famosi PIGS, l’odioso acronimo utilizzato per indicare il deficit pubblico dei Paesi dell’Europa del Sud e non solo), che adottassero misure rigorose di politica economica e provvedimenti drastici sul piano fiscale e monetario, per poter fruire degli aiuti comunitari.
Le modalità con cui l’Unione Europea ha inteso affrontare la crisi hanno confermato l’ipotesi di Wieviorka, nel senso che è stata l’economia ad essere la base del progetto europeo e che i valori ideali in funzione dei quali questo doveva essere realizzato poggiavano su presupposti solo “tecnici ed economici”; quanto è accaduto in questi ultimi anni a livello di rapporti tra gli Stati membri dell’Unione è valso così a confermare, in modo definitivo, che le idealità originarie e la solidarietà politica non hanno mai rappresentato delle forze in grado di mobilitare l’intera opinione pubblica europea, in funzione della creazione di un nuovo soggetto politico sovrannazionale.
In questo modo, l’idea di un ritorno al passato si è irrobustita, corroborata dal fatto che se l’”Europa economica e finanziaria non può esistere senza farla essere al contempo un’Europa politica e non può costituire un obiettivo in grado di mobilitare i popoli europei, è il caso di tornare ai principi ‘vestfaliani’ e di organizare l’Europa su base nazionale o, meglio, di distruggere l’Europa a vantaggio delle singole nazioni”. La conclusione di Wierviorka, pertanto, è che poiché l’Europa non è riuscita a fronteggiare la crisi economica che ha colpito in modo diseguale gli Stati che la compongono, lungi dall’essere oggi percepita come scudo protettivo, essa ha finito per essere avvertita come causa della debolezza delle economie nazionali.
La regressione si è avvalsa di “risorse culturali” potenti, fondate sull’idea di nazione, “rinvigorita dalla crisi e provvista di un formidabile spessore storico”; ciò ha consentito ai movimenti nazional-populisti, ed a quelli in genere euroscettici, di appellarsi al concetto di nazione, per fronteggiare l’egemonia dei mercati attraverso il ritorno alle vecchie frontiere. Ma l’evocazione del concetto di nazione è equivalsa a portare alla memoria forti riferimenti culturali, storici e linguistici, tali da indurre i “nemici” dell’Europa a percepire la nazione come un’”essenza” dotata di propri valori esclusivi per la costruzione di un “futuro in nome del passato”; così, sono stati riproposti i nazionalismi del tempo andato, legittimati da una proposta economico-sociale, nella quale si registra la fusione in un unico discorso degli scopi di uscire dall’Europa e dall’euro con la creazione di un’identità culturale esclusiva.
A fronte dell’offensiva nazionalistica, i sostenitori dell’Unione Europea non dispongono di un discorso altrettanto compiuto e totale; la loro debolezza denuncia solo uno squilibrio, mai colmato dalla cultura europea, tra le risorse ideologiche di chi è legato al concetto di nazione, con quel che esso implica, e quelle valoriali-progressiste, che avrebbero dovuto essere veicolate sin dall’origine nel progetto europeo. Tutto ciò è avvenuto a causa del fatto che la cultura nazionalistica sopravvissuta nei Paesi coinvolti nel progetto, all’indomani del secondo conflitto mondiale li ha conservati, in primo luogo insensibili agli squilibri sociali che caratterizzavano, sia le loro reciproche relazioni, sia, più in generale, quelle tra i loro residenti (cittadini e non); in secondo luogo, li ha anche resi del tutto incapaci di rimuovere il contrasto tra i diritti dell’uomo e quelli del cittadino, per via del fatto che i valori nazionalistici hanno negato la possibilità ideale di costruire una patria transnazionale.
Se l’Europa non riuscirà a rilanciarsi da un punto di vista culturale ed ideale, colmando i deficit valoriali esistenti sin dall’inizio del progetto comunitario, sarà difficile immaginare un avvenire politico dell’Unione Europea.
17 Settembre 2014 alle 08:50
Si chiama Unione Economica e Monetaria Europea. Questo è il suo vero nome, e in qualche misura spiega tutto. L’Unione Europea viceversa è stata un bel sogno, come del resto lo sarebbe ancor dippiù una Unione Planetaria. Non credo ci sia bisogno di molti discorsi circa il futuro di questo sogno: o riusciamo in qualche modo a realizzarlo ( e purtroppo in questa fase politica non vedo come ), o bisognerà rassegnarci all’unione di popoli chiamata Italia. Salute a tutti.