Notti padane: Merry Christmas Mr. Bossi!
1 Dicembre 2009Valeria Piasentà
«Lega, ultimo baluardo della sicurezza», titola in prima pagina la Padania del 24 novembre: «A combattere la battaglia contro l’immigrazione clandestina è rimasta solo la Lega» così i suoi sindaci ordinano rastrellamenti casa per casa, o incitano alla delazione. Il sito ufficiale della Lega Nord pubblica il prontuario ‘Decreto sicurezza’: «tutte le norme a disposizione dei sindaci». Nel ddl sul processo breve, ora in discussione, la Lega ha fatto inserire fra i reati gravi esclusi dai privilegi di legge (per esempio tutti i reati di mafia) quello di immigrazione clandestina. E’ difficile capire quando è successo e perché. Ma è capitato qui, nei paesi e nelle piccole città pedemontane del Piemonte, della Lombardia e del Veneto, che un popolo tradizionalmente povero e incolto appena raggiunta una stabilità piccoloborghese (ora sono commercianti e artigiani, hanno aziende a conduzione famigliare e innumerevoli partite IVA) si è ringalluzzito e organizza raid contro i più deboli, che vorrebbe sfruttati ‘in nero’ ma fuori dall’orario di lavoro tanto lontani da risultare invisibili, come nuovi schiavi. Diamanti descrive l’identikit dell’elettore leghista dell’83: maschio adulto, livello di istruzione poco elevato, operaio e ceto medio autonomo delle aree industrializzate. Lo riporta un saggio appena uscito: Francesco Jori Dalla Łiga alla Lega Marsilio. E pensare che dalla mia provincia novarese ancora nel ‘900 partivano squadre di spazzacamini verso la Svizzera e la Francia, erano ricercati i bambini più piccoli per entrare agevolmente nelle canne fumarie. Certo non avevano permessi di soggiorno. Ne morivano tanti scivolando sui tetti e gli hanno dedicato un museo. Partivano cuochi e camerieri per l’Inghilterra e l’America. Partivano gli ombrellai (altro museo). Dopo il raccolto partivano contadini poveri che attraversavano il nord a piedi, col sacco in spalla per raccogliere i capelli tagliati a ragazze di campagna: ai ricchi servivano parrucche. Anche queste storie formano le nostre radici. E siamo tutti meticci. In queste geografie frutto di grandi migrazioni e invasioni periodiche, nei secoli son passati e si sono stanziati proprio tutti imbastardendo la genía locale, se mai c’è stata: etruschi, liguri, romani, celti e galli, borgognoni, bulgari, svizzeri, francesi, spagnoli, tedeschi, austriaci; e fenici, turchi, mori, tutti i popoli penetrati dall’est da quel gran porto che sul multietnismo ha basato cultura ed economia, la sua stessa esistenza, che era la Repubblica di Venezia. Qualcuno glielo deve dire al ministro Zaia, che non è necessario studiare la storia ma basta andare a teatro qualche volta a vedere la lirica o Shakespeare per sapere che la Repubblica veneziana non discriminava secondo provenienza geografica o colore della pelle. La discriminazione, come ovunque, era sociale ed economica. I nobili vicentini si sono ricostruiti una verginità culturale grazie all’ingegno di un architetto: Andrea Palladio che per loro ha inventato una città e costruito classicheggianti ville nel contado. Quel gruppo egemone era l’erede di mercenari scesi da un indistinto nord al soldo dei principi; ancora nel ‘500 praticava la schiavitù e sanguinose faide famigliari per cui il fratello uccideva il fratello e la moglie e i figli per eredità, per onorificenze e per quarti di nobiltà. Intanto scrivevano poemi e suonavano nelle loro auliche Accademie, si può ancora vederli in effigie con emblemi mitologici nelle decine e decine di sculture che decorano il teatro Olimpico. Si è perso il ricordo finanche il nome della quasi totalità di loro; non del Palladio che aveva espresso un desiderio in punto di morte, nel 1580: il suo funerale celebrato in quel teatro che considerava un testamento spirituale. Ma non l’hanno voluto: il figlio di un mugnaio non era degno di comparire vicino ai loro ritratti scultorei a figura intera. Pare che Manzoni si sia ispirato ai nobili vicentini per descrivere i Bravi (saranno questi i veri antenati dei leghisti? che ci fanno un baffo all’Alberto da Giussano!). Anche il Veneto era terra di migranti. ‘Polentone’, così si chiamava con disprezzo chi arrivava dal Veneto, da Vicenza e da Verona, dal Polesine e da Rovigo, senza niente ma con tanti di quei figli che neanche un ‘terrone’ lo batteva. Piemonte fine anni ’60, la Torino della grande FIAT ma anche tutte le provincie intorno li vedevano nsediarsi in case piccole e fredde, e avevano anche dieci figli. Votavano DC e la domenica mattina n chiesa pregavano tutti quanti insieme, le donne con un gran velo (un chador?), devoti e inginocchiati. Jori ci descrive questa tipologia di uomo del nordest: attaccato alla terra, al lavoro manuale e alla religione cattolica, considerava centrale l’istituto della famiglia e diffidava della modernizzazione; in due generazioni è passato dalla miseria al benessere. Poi è diventato un razzista della peggior specie. Ma quando è successo? E perché? Quando ha dimenticato ciò che è stato? Quando l’insegnamento dei parroci ha perso il suo effetto di coesione, perché al sentimento di pietas e alla solidarietà fra eguali, alla necessità di accogliere lo straniero (come insegna la vicenda della Sacra famiglia a Betlemme), si è sostituito l’egoismo sociale più radicale? Il saggio di Jori ci racconta il seguito fino all’oggi, come dal dissolvimento della DC, dalla Łiga Veneta si è passati alla Lega Nord. Analizza risultati elettorali, alleanze e strategie politiche. Riporta quel programma che la Lega sta puntualmente attuando al governo. Ci racconta di uomini e riunioni, di oscure questioni finanziarie e trascrive documenti come questo: «Distruggendo il processo di identità etnica, la società multirazziale provoca il declino della morale, va incontro alla disgregazione, sviluppa i comportamenti patologici dell’omosessualità, della devianza giovanile, della droga, crea condizioni patologiche che favoriscono ad esempio la sterilità» Bossi, 1990. E’ da leggere.
5 Dicembre 2009 alle 11:31
Posto dal sito di Repubblica
Reclamava lo stipendio che da tre mesi non gli era stato versato. Per questo è stato ucciso dal datore di lavoro con nove coltellate. Questa la storia di Ibrahim M’bodi, operaio 35enne in un cantiere edile, senegalese trapiantato a Zumaglia, nel Biellese, fratello di Adam M’Bodi segretario dei metalmeccanici della Cgil di Biella. Il suo cadavere è stato ritrovato pero’ ieri da due agricoltori in un canale di scolo ai margini di una risaia, ma l’assassinio è di tre giorni fa e il datore di lavoro, Franco D’Onofrio, ha confessato ai carabinieri dopo un lungo interrogatorio.
M’Bodi aveva gia’ avuto accese discussioni con D’Onofrio perche’ non riceveva lo stipendio con regolarita’. ”Sono a pezzi”, ha commentato il fratello Adam che aveva anche tentato un’inutile mediazione con l’imprenditore. ”E’ un omicidio che non puo’ passare sotto silenzio”, scrivono in una nota unitaria i sindacati Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil di Biella: “Fatti di inaudita gravita’ come questo rientrano in un clima generale di imbarbarimento dei rapporti sociali, con la possibile aggravante dell’odio razziale. I diritti dei lavoratori sembrano non avere piu’ cittadinanza e se, come in questo caso, il lavoratore e’ extracomunitario, possono sollecitare le reazioni piu’ estreme”.