Un certo luogo
1 Dicembre 2009Antonio Mannu
Sul settimanale Alias, supplemento del Manifesto, è apparso di recente un articolo che ha celebrato il quarantesimo compleanno dei murales di Orgosolo. Intitolato “La storia per strada”, a firma del giornalista-viaggiatore e autore di guide turistiche Luciano Del Sette. Scrive Del Sette dei murales e sollecita l’eventuale turista a fare una vacanza sull’isola (intelligente?) che li abbia come filo conduttore, i murales: “una galleria di opere diventate celebri in Italia e nel mondo”. E scrive ancora: “L’isola del ritorno si chiama Sardegna” “Qui, invece, è Sardegna delle montagne, terra di solitudine e silenzi, terra di Orgosolo”. Scrive Del Sette dell’ Ichnusa, la birra “nazionale” sarda (“sono pochi i sardi disposti a bere una birra diversa”), propone una versione della leggenda sulla nascita dell’isola impronta, Ichnusa appunto, nata rocciosa e ostile, plasmata dagli dei che calpestarono i resti della creazione. Trasformata in luogo meraviglioso grazie all’apporto di piante e animali di altri luoghi. Colonizzata fin dalla creazione povera Sardegna. Oggetto oggi di interesse per i suoi murales, di moltissimi dei quali, davvero brutti, sarebbe tanto bello fare a meno. Ma tant’è. La lettura del pezzo celebrativo del viaggiatore Del Sette mi ha disturbato, come è facile intuire. Vedere alcune delle straordinarie immagini realizzate tra il 1951 e il 1966 da Federico Patellani, grandissimo fotografo e giornalista, mi ha consolato e perfino commosso. Si tratta di 72 fotografie, stampate in modo eccellente in analogico, su carta baritata, dal milanese Toni d’Ambrosio che, per pochi giorni, sino al 10 dicembre, sono in mostra a Nuoro, al Centro Polifunzionale. Ci sono modi diversi, motivazioni diverse, capacità di sguardo differenti nell’ esplorare e provare a capire, conoscere un certo luogo. E la Sardegna, ancora oggi, è un “certo luogo”. Nonostante gli innumerevoli “non luoghi” dai quali é invasa: centri commerciali, club vacanze, interi villaggi dalle architetture morbide e candide. Che l’hanno resa, purtroppo a parere di molti sardi, forse gli stessi che indistintamente apprezzano le migliaia dei nostri “celebri” murales, un “luogo meraviglioso”. Sardegna semplice e chiara, in realtà complessa da decifrare, maledettamente difficile da raccontare fuori dagli stereotipi, dagli esotismi, dalla retorica del buon selvaggio. Federico Patellani lo ha fatto e ci è riuscito in pieno. Da sardo e da fotografo , seppure con ritardo, io lo ringrazio. “Il suo metodo” scrive Goffredo Fofi su Federico Patellani-un fotoreporter in Sardegna, pubblicato da Imago Multimedia “è l’onesta, l’ostinazione, é l’attenzione a quelle occasioni che costringono alla scoperta, è l’interesse per gli uomini e le loro cose quotidiane, i loro riti, il loro ambiente; è l’umiltà di fronte al vero, è l’amore per il prodotto ben fatto, è il considerarsi più artigiano che artista, è il rispetto dei committenti, ma prima ancora della realtà. E’ non più e non meno di tutto questo, ed è tantissimo, se oggi ci sembra addirittura incredibile”. A questo tantissimo Patellani sommava l’ intelligenza felice dello sguardo ed una straordinaria capacità di sintesi. La Sardegna che ci mostra Patellani, che “vede” e coglie il fotografo, é vera e reale, mai esotica, mai “mitologica”, anche quando si concede una messa in scena o mostra la vita dei pastori in contesti nuragici ed omerici. Una Sardegna bellissima e dolente, una Sardegna che per davvero non c’è più. Isola in cui le tribù vestivano ancora in costume, e non per sfilare al Redentore; i carri tirati dai buoi attraversano strade polverose e dure, ma attentamente curate. Si faceva scuola dentro un autobus, il Paidobus, una scuola mobile che operava in Gallura, e lo sguardo intimorito e dolce di una foca monaca incrociava quello di un cane. Una donna a Carbonia si aggrappa con le mani al contenitore del cibo, un giovane pastore si aggrappa con le mani al manico del secchio per la mungitura. Una Sardegna povera, poverissima “struggente, della quale non bisogna avere nostalgia, della quale non ho nostalgia” ha detto Paolo Piquereddu, direttore dell’ ISRE, in occasione dell’ inaugurazione della mostra “perché era una terra avvolta in un abisso di povertà, in una tremenda ingiustizia sociale”. Patellani la racconta senza nessun cedimento alla retorica, all’ enfasi. Tutto è funzionale a rendere la realtà che vuole raccontare comprensibile e chiara. “Giornalismo impegnato, indagini sul campo; mai astrattismi o estetismi, i suoi reportage si basano su immagini non decorative che si curano di fornire al lettore gli elementi essenziali per conoscere la realtà descritta” scrive Giulio Concu di Imago Multimedia sul libro-catalogo. Ed aggiunge, citando il fotografo, che Patellani “aveva una chiara concezione del giornalista-fotografo che, nel 1943, definì “di nuova formula”: qualcuno che “sappia fare fotografie che documentino il lettore; se vuole, se è capace, faccia poi delle belle fotografie, interpreti quello che vede” .Quella di Patellani è fotografia neorelista, immersa nel suo tempo. Ma anche universale e attuale, il lavoro di un maestro che noi riconosciamo come tale, scrive ancora Fofi “proprio perché non ha voluto esserlo”. La mostra, ideata e organizzata da Imago Multimedia e dall’Associazione Culturale Imaginaria, gode del contributo dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Nuoro e del patrocinio della Fondazione Banco di Sardegna. Centro Polifunzionale di Nuoro sino al 10 dicembre 2009, tutti i giorni, dalle 10 alle 13 e dalle 15 e 30 alle 19 e 30.
4 Dicembre 2009 alle 18:59
(…)La lettura del pezzo celebrativo del viaggiatore Del Sette mi ha disturbato, come è facile intuire. (…)
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Angelo Liberati