La Grecia e il suo debito

1 Marzo 2015
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Marco Ligas

Che cosa succede in Grecia a distanza di un mese dalle elezioni politiche? Sono immutate le aspettative che il successo di Syriza ha creato fra i cittadini, o le prime risposte dell’UE le ha ridimensionate?
Certamente sono ancora presenti anche se le difficoltà che il popolo greco dovrà affrontare sono molteplici. L’esito elettorale e soprattutto l’intransigenza del governo tedesco hanno reso più esplicita la durezza dello scontro politico sul debito pubblico.
Ma questo scontro è necessario non solo perché un suo esito positivo consentirebbe alla Grecia la fuoriuscita dalla crisi, ma perché potrebbero aprirsi dei varchi importanti per l’affermazione della solidarietà tra i popoli e la difesa della democrazia in tutto il continente europeo, obiettivi questi ultimi diventati sempre più delle rarità.
Dunque in questo processo siamo coinvolti tutti noi europei e fra non molto potremo capire se esistono dei margini reali per riformare l’Unione Europea dal suo interno oppure no.
L’importante è non lasciare sola la Grecia; diversamente prevarranno, anzi con molta probabilità si consolideranno, gli interessi delle grandi potenze e dei gruppi di potere legati alle banche e alla finanza.
Ribadire queste cose, che non sono certo nuove, è persino doveroso perché non si possono schiacciare paesi che da anni vivono una condizione di profonda depressione.
Il popolo greco ha bisogno di una strategia di crescita, e la sua realizzazione sarà possibile se come prima condizione verranno eliminati almeno in parte i debiti contratti negli anni precedenti. Non dimentichiamo che la popolazione di quel paese ha subito una riduzione del tenore di vita del 25 per cento.
L’Unione europea ha una grande responsabilità nell’aver alimentato questa crisi: ha costretto la Grecia a prendersi in carico un debito enorme prima prestando grandi quantità di denaro in maniera del tutto sconsiderata e poi attivando misure di austerità pesantissime solo per salvare le banche del Nord.
È stata una scelta insostenibile oltre che immorale: contrastarla non è solo una questione di giustizia ma di necessità economica e politica; non a caso vale sempre la vecchia regola che ci ricorda come ciò che non può essere ripagato non sarà ripagato.
Certo, oggi, dopo che la situazione si è deteriorata pesantemente, sono comprensibili le difficoltà che incontra la Merkel a far accettare ai propri elettori e ai propri creditori una ristrutturazione del debito. E non va sottovalutato che Berlino ha paura di creare un precedente che potrebbe incoraggiare altri paesi a chiedere la stessa rinegoziazione del debito.
In questo momento appare comunque più importante sottolineare, come fanno molti osservatori, il perché proprio la Germania dovrebbe ricordarsi, meglio di chiunque altro, cosa succede quando i creditori insistono sul rimborso del debito a tutti i costi. La storia ci ricorda infatti come vanno a finire le relazioni tra gli stati se questo problema non viene affrontato con equilibrio.
C’è un altro aspetto che la Germania non dovrebbe dimenticare: il trattamento di favore che le è stato riservato prima nel 1953, quando al paese, prossimo al suo secondo default, vennero in parte condonati gli enormi debiti accumulati in entrambe le guerre, e poi in occasione della riunificazione con l’allora DDR.
Ebbene, proprio in quella occasione l’Italia e la Grecia rinunciarono alla seconda trance di rimborso del debito che la Germania avrebbe dovuto pagare per altri cinquant’anni.
A conclusione di queste considerazioni sono però opportuni alcuni interrogativi.
I paesi che hanno accumulato debiti ingenti si sono mossi con sobrietà e oculatezza? Certamente no; in questi paesi non sono mancati gli sprechi; l’aspetto grave della crisi è che gli sprechi sono stati alimentati con le complicità di chi ha gestito le istituzioni. C’è stato insomma un intreccio tra potere politico e potere economico e finanziario funzionale al consolidamento dei privilegi delle fasce più ricche delle nostre società. Non a caso si è allargata la forbice della distribuzione della ricchezza ed è cresciuta la povertà.
Per superare queste disparità oggi è più che mai necessario affiancare alla richiesta della riduzione del debito un impegno politico diverso e più incisivo, a tutti i livelli: nelle istituzioni e nel paese.
Dovrà essere sorretto innanzitutto a livello sociale (fondamentali appaiono perciò i suggerimenti di Rodotà, Don Ciotti, Landini e Gino Strada), ma dovrà comunque completarsi con la presenza di quelle forze politiche (purtroppo ne sono rimaste poche) che si battono ancora per la tutela dei diritti delle persone.

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