Rom e Sinti: raderli al suolo?
16 Aprile 2015Gianfranca Fois
La deputata Santanchè vorrebbe “un’Italia senza campi Rom” dal momento che ritiene i Rom ladri per natura, mentre il segretario della Lega Salvini afferma: raderei al suolo i campi rom.
Queste frasi sono solo due tra le tante che si sentono alla radio e in tv o si leggono sui giornali e sui social-media, ma è grave che a pronunciarle siano due esponenti politici che hanno la possibilità di essere presenti quasi quotidianamente sui nostri schermi televisivi, il più delle volte senza contraddittorio.
Ribattere alle volgarità dei su nominati personaggi sembra inutile, il problema però nasce dal fatto che le loro parole trovano risonanza e consonanza tra cittadini, contribuendo alla diffusione di pregiudizi e stereotipi mentre manca quasi completamente la conoscenza della realtà di Rom e Sinti. La crisi, ormai pluriennale, che stiamo attraversando non è soltanto una crisi economica ma nel nostro paese è anche crisi culturale, morale, di valori come quelli della solidarietà e dell’uguaglianza, e soprattutto di identità. Una crisi quindi che porta molte persone al risentimento, all’acredine, all’intolleranza non nei confronti di chi è responsabile di questa situazione, chi detiene il potere, ma nei confronti dei più svantaggiati e discriminati.
Un capro espiatorio facile perciò diventano i Rom, persone su cui speculare per avere facili consensi elettorali anche da parte di quanti si professano cattolici convinti, in modo ipocrita visto che una delle basi del cristianesimo è proprio il suo schierarsi dalla parte dei deboli e degli emarginati.
Sul web e sui giornali infatti girano ad arte bufale o notizie distorte o manipolate sui Rom accendendo e amplificando un sentimento antizigano che ha pochi uguali in Europa. Recenti studi hanno dimostrato infatti che gli Italiani hanno il più alto grado di razzismo verso i Rom e Sinti, secondo una ricerca americana in 7 paesi europei, e sono il popolo d’Europa che ha una percezione della realtà più lontana dalla realtà.
In base ai dati forniti dal Rapporto annuale 2014 dell’Associazione 21 luglio i Rom e i Sinti presenti in Italia sono 180.000 (a fronte dei 10/12 milioni presenti in Europa) cioè lo 0,25% della popolazione, il 50% ha cittadinanza italiana e 4 Rom e Sinti su 5 vivono in regolari abitazioni, studiano o lavorano regolarmente ma spessissimo nascondono la propria origine per paura di discriminazioni. Circa 40.000 vivono nei “campi”, 1 Rom e Sinti su 5.
Nonostante i proclamati buoni propositi dei governi di questi ultimi 3 anni la situazione di chi vive nei campi non è sostanzialmente mutata, è sempre allo stato emergenziale, considerata soprattutto un problema di ordine pubblico.
Le recenti inchieste di Roma hanno dimostrato che i piani di integrazione non solo non risolvono i problemi e con i rilevanti investimenti sono diventati occasione di affari per pochi, ma presentano anche un altro aspetto negativo: sono pensati, elaborati a tavolino senza una reale conoscenza della cultura, dei modi di vita dei Rom e dei Sinti e soprattutto senza un reale loro coinvolgimento e partecipazione nelle decisioni da prendere, quando addirittura non si tratti, come è il caso di progetti elaborati a livello comunale e di associazioni, di disgregare le comunità e cancellarle.
Anche il problema dei campi viene affrontato sempre nella nostra ottica, infatti se da un lato è giusto lottare contro la sospensione dei diritti all’interno del campo (diritto all’acqua corrente, alle cure mediche, allo studio, al lavoro…), dall’altra il campo offre relazioni umane, solidarietà, un modo diverso di vivere lo spazio e di stare insieme.
Le soluzioni dovrebbero perciò essere diverse, articolate e prese con il coinvolgimento dei Rom e dei Sinti, come naturale in uno stato democratico.
All’inizio ho chiamato in causa due politici e infatti su quasi 447 istigazioni all’odio nei confronti di Rom e Sinti nel 2014 l’87% proviene proprio da politici. Anche l’informazione comunque ha la sua parte di responsabilità nel provocare allarme sicurezza e pregiudizi. Attribuire colpe di singoli a un’intera etnia provoca il diffondersi di atteggiamenti razzisti e alimenta le tensioni sociali, il che costituisce una minaccia all’intera società democratica, pluralista e inclusiva come quelle attuali. Infatti le campagne d’odio ripetute rendono sempre più accettabili e addirittura condivisibili posizioni razziste che possono sfociare in episodi di violenza e in seguito coinvolgere anche altri strati vulnerabili, e non solo come dimostra la Shoà, della popolazione.
Vorrei concludere ricordando che nel 1979 l’ONU ha stabilito che l’8 aprile è il Romano Dives e cioè la Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti.
Proprio l’8 aprile del 1971 si riunì infatti a Londra il primo congresso di intellettuali romanì. Fu un congresso estremamente importante, infatti fu in questa occasione che si stabilì il termine “ROM” (uomo) come dizione ufficiale e come simbolo la ruota indiana (ricordo dell’antica provenienza del popolo rom) su uno sfondo verde come l’erba e celeste come il cielo, simbolo di umanità e libertà.
In quello stesso convegno i Rom decisero di uscire dal silenzio tenuto sino ad allora e denunciarono le persecuzioni, le violenze, la morte e l’uccisione di migliaia di Rom e Sinti nei lager nazisti.