Un’altra riforma dalle occasioni “pazzesche”
16 Maggio 2015Marco Ligas
La nuova legge elettorale è stata dunque approvata. A Matteo Renzi non interessa la scarsa partecipazione dei deputati al voto; anche in questa circostanza ha ripetuto il suo motto con la solita arroganza: di queste defezioni ce ne faremo una ragione.
Non conosce un altro stile di lavoro e non si preoccupa delle conseguenze delle sue scelte. Non gli importa se il modello di scuola che intende realizzare è rifiutato da insegnanti e studenti, così come non si affligge quando i diritti dei lavoratori vengono calpestati. Gli basta il consenso della Confindustria o il sorriso talvolta canzonatorio della Merkel (ma lo coglierà?) per renderlo appagato.
E neppure rifiuta il sostegno delle forze dell’ordine quando deve parlare ad un pubblico che potrebbe essergli ostile, come è successo paradossalmente in occasione della festa dell’Unità.
Lui va comunque dritto per la sua strada.
Ignora che in una democrazia costituzionale il partito (o la coalizione) che ha avuto la maggioranza dei voti ha una responsabilità particolare, soprattutto quando si affronta una discussione sulle leggi elettorali: non dovrebbe provocare divisioni preliminari né tanto meno assumere atteggiamenti tesi ad emarginare il dissenso. Il Presidente del Consiglio invece non solo non dà importanza alle critiche dell’opposizione (troppo spesso inadeguata nel suo ruolo), ma ridicolizza persino i compagni di partito rifiutando i pur minimi suggerimenti che vengono avanzati.
Eppure un Parlamento semideserto, come è stato nel corso del dibattito sulla legge elettorale, avrebbe dovuto provocare almeno un imbarazzo fra i promotori di questa riforma; al contrario la scarsa affluenza dei deputati è stata usata per accelerare l’approvazione della legge.
Questa anomalia, anziché imporre un nuovo percorso finalizzato al recupero della vita democratica, sta facilitando il disegno teso a separare il paese dalle istituzioni, lasciando al governo l’opportunità di assumere oltre quella esecutiva anche la funzione legislativa e quella giudiziaria. Queste ultime, infatti, non rispondendo alle esigenze e ai tempi di un esecutivo che vorrebbe fare tutto(?) e subito, sono considerate un impiccio perché impongono continui rallentamenti, discussioni e cambiamenti ai progetti del leader.
Ma la politica, quella basata sul dialogo, sul confronto, sul coinvolgimento dei cittadini e non sulla subordinazione nei confronti dei poteri forti, ha bisogno anche di altri tempi e soprattutto di confronti e di riforme che vadano incontro ai bisogni della gente. Parlare di rinnovamento in modo astratto così come fa il nostro Presidente del Consiglio e poi ridurre le tutele ai lavoratori o privarli dei diritti acquisiti è una pratica ambigua che fa parte della peggiore demagogia; neppure Berlusconi l’ha applicata in modo così sfacciato e avvilente.
È evidente che, quando un sistema elettorale viene rafforzato da un premio di maggioranza come quello previsto dall’Italicum, il ruolo delle minoranze viene conseguentemente ridimensionato sino a diventare ininfluente. E se sarà una sola la Camera che manterrà i pieni poteri politici, essendo il Senato privato delle precedenti prerogative, è fuori dubbio che la democrazia subirà un grave contraccolpo.
La decisione di avere un esecutivo forte è confermata da un altro aspetto dell’Italicum. Le nuove circoscrizioni elettorali saranno notevolmente più piccole, e perciò più numerose, rispetto al passato: 100 anziché 27. Permane il sistema delle liste bloccate sebbene limitato ai soli capilista. Essendo ben più numerose le circoscrizioni sarà ancora rilevante il ruolo delle segreterie dei partiti nella scelta dei candidati da eleggere. Insomma i nuovi deputati saranno ancora una volta condizionati (e ricattati) dalle scelte del partito che governerà.
Insomma, la filosofia della legge elettorale sarda si consolida e si diffonde: quando si parla di leggi elettorali e si preannuncia che occorre finalizzarle alla governabilità bisogna essere sempre diffidenti. Si possono pure cambiare le percentuali dei premi di maggioranza o delle soglie di sbarramento ma se la struttura portante è quella che impone il consolidamento del potere esecutivo è sempre evidente lo scopo ultimo che non ha niente a che vedere con l’affermazione della democrazia.
È quanto sta succedendo nel nostro paese, ed è la sola occasione pazzesca.