Contorni. San Simone e le altre
1 Giugno 2015Giulio Angioni
Da tempi lontani, dalla più profonda preistoria, in Sardegna si organizzano e si svolgono, tra la primavera e l’autunno, le feste maggiori dei paesi e delle città, come in tutto il Mediterraneo cristiano.
Anche San Simone, in località Nuraxi, Marmilla, sembra testimoniare un lontano passato che arriva fino al presente. Di questo complesso di festività fanno parte anche le sagre campestri, specie di maggio, non di rado in luoghi impervi e solitari. Queste feste popolari oggi sono più o meno toccate dalle innovazioni indotte dal turismo e dalla conseguente spettacolarizzazione delle festività tradizionali, che trasforma e rifunzionalizza specialmente sagre e carnevali. Il complesso di attività che chiamiamo turismo è diventato la parte più grande e più importante di ciò che si definisce tempo libero. Tempo libero che fino a un paio di decenni addietro, non solo nelle zone più interne, era soprattutto tempo sacro, sagra. Il turismo l’ha reso profano. Era comunitario e collettivo, ed è diventato più o meno privato o gestito da enti appositi come le Pro Loco. Ma ancora non del tutto, almeno per questo tipo di feste. Il complesso rituale che si svolge annualmente a San Simone appare tra i meno trasformati e rivisti dalla contemporaneità, specie turistica di largo raggio, se è vero che la festività concerne principalmente il paese di Escolca e secondariamente Mandas. Ma con qualche eccezione a questa caratteristica territoriale ristretta. San Simone è certo, per imprinting inguaribile per il resto della vita (come la Sartiglia per gli oristanesi o il Palio per i senesi), una festa sentita e praticata dagli abitanti di Escolca, e ancora da pochissimi altri di pochissimi paesi vicini.
San Simone appare eccezionalmente conservativa anche rispetto a sagre che si vorrebbero immutate da sempre. Quando si allarga lo sguardo fuori città, si va verso l’interno e anche quando si sale di quota, si scopre subito che non c’è paese o città, in Sardegna, che non abbia uno o più santuari campestri, che sono di regola frequentati solo per la festa del santo che ne è titolare, dunque una volta all’anno, non di rado due o anche tre, con iterazioni di ottave. Ma anche per quanto riguarda il capoluogo dell’isola, il santuario campestre di Cagliari è oggi la Nora di Sant’Efisio. A volte si tratta di santuari e di feste gestiti e condivisi da più paesi, per lo meno in passato, e in questo caso, spesso, con strascichi di rivalità di cui si conserva ricordo più o meno vivo; finché non si arriva a un accordo, come nel caso della Madonna di Gonare, che è gestita ad anni alterni dagli abitanti di Sarule e di Orani. San Simone, a modo suo, coinvolge almeno Escolca e Mandas.
Il rapporto col centro abitato è vario, ma per lo più il santuario campestre è avulso, spesso nella campagna più impervia, al limite del territorio della comunità, al confine di più salti. Non di rado sono santuari che sono stati, in tempi più o meno lontani, chiese di comunità residenti, rimaste a testimoniare più o meno vagamente un centro abbandonato dai suoi abitanti trasferitisi in altri centri anche lontani. Questo spiega certi racconti di rivalità tra paesi nel rivendicare un santuario. In questi casi si può parlare di feste del ritorno al luogo abbandonato, di cui si è voluto conservare almeno l’edificio sacro. E come feste del ritorno e del ricordo sono incominciate forse non poche delle feste campestri sarde. Questi luoghi di culto si caratterizzano comunque come di due tipi: quelli con abitazioni connesse (cumbessìas o muristènes o novenàrios) e quelli senza. Ambedue i tipi sono però disabitati quando non vi si svolge la festa. La sagra campestre in Sardegna prevede forme più o meno solenni e cerimoniali di pellegrinaggio e quindi, se si vuole, di antico e tradizionale “turismo religioso”. Anche il pellegrinaggio di Sant’Efisio è uno di questi, e tra i più importanti, se non il più importante, oggi, così com’è sicuramente il più lungo (con quello della Madonna di Gonare a 1083 m. tra Sarule e Orani), sebbene la parte più nota e turistica sia la sfilata in città dei gruppi in costume provenienti dai villaggi di pianura e di montagna di tutta l’isola. Di questi trasferimenti processionali sono tipiche le cavalcate, con momenti più o meno importanti di esibizione e di competizione, oggi soprattutto di esibizione di una tradizione più o meno lunga, vera o presunta.
A parte i riti chiesastici ufficiali, gli aspetti più notevoli sono le forme di religiosità popolare parallele a quelle canoniche, e i divertimenti pubblici comuni, nel paese o nel santuario più o meno lontano. Anche il ballo sardo gode di rinnovata popolarità. Ancora oggi i luoghi vicini al palco dei suonatori e dei poeti improvvisatori, cuore della festa “civile”, si riempiono di paràdas, bancarelle di dolci, bevande, cibi, giocattoli, oggetti dell’artigianato tradizionale. Può succedere che oggi in questi casi non si badi abbastanza ai segni evidenti che queste sagre sono prima di tutto feste di umiltà religiosa, di ringraziamento, d’imprecazione di grazia. Luoghi di preghiera, fatica del pellegrinaggio, in altri tempi, quando anche il bandito trovava asilo in luogo neutrale nella comunità che gli era negata in tempi e in luoghi normali. Si dice di santuari edificati da banditi perché scagionati da false accuse. San Simone è raccontato come un luogo fondato da mori convertiti, poi abbandonato dopo una delle pestilenze dei secoli lontani. Tutta la Sardegna è piena di questi villaggi di cui resta un santuario, luogo del ritorno e del ricordo.
Anche gli ex voto di questi santuari sono cristianizzazioni di santuari pagani per il culto dell’acqua, dei monoliti, della vegetazione, specialmente nel caso dei luoghi di novene con muristènes o cumbessìas, dove i pellegrini abitano in casette apposite per una decina di giorni. Per San Simone a Nuraxi tutto è molto più rapido, oggi: ventiquattr’ore circa. E’ soprattutto a proposito di questo tipo di pellegrinaggio e di soggiorno che alcuni studiosi (Pettazzoni, Lilliu) hanno scritto di sopravvivenze di riti di incubatio praticati in tempi pagani presso tombe e santuari, e che consisteva nel passare la notte sdraiati sul luogo di culto. Spesso abbondano i luoghi di ristoro effimeri: vernaccia alla cocacola. Gli odori della festa sacra sono quelli dei fiori e della cera, della festa profana sono degli arrosti di anguille, muggini, porchetto. Perima c’era il torrone di Tonara e la carapignia di Aritzo, e la fiera di oggetti dell’artigianato per i mestieri del pastore e del contadino e per gli usi domestici, del ferro e del legno, della terracotta e dell’intreccio.
In anni passati, c’era qualche bancarella per offrire in vendita libretti di poesia sarda. Il cibo però si porta da casa e si consuma all’aperto, in compagnia. E se ti trovi nei dintorni, aspettati un invito di qualche compagnia. Tutta la Sardegna è paese, in fatto di sagre campestri. Ma se, cinquanta giorni dopo Pasqua, vai a San Simone, vedi una sagra campestre sarda, ma vedi meglio che, anche in Sardegna, paese che vai, usanza che trovi.
[ Nell’immagine: Leonardo Pappone – riti tribali]