Lungimiranza
1 Agosto 2015Valeria Piasentà
La storia si ripete, sosteneva l’ateniese Tucidide qualche secolo prima di Cristo. L’ignoranza degli uomini, spesso, non consente di prenderne atto e prevederne le conseguenze. Così – pur cambiando i soggetti, e i mezzi di guerre ora combattute non con l’artiglieria ma con le altrettanto letali armi della finanza – il recente caso della Grecia riecheggia in vecchie e profetiche considerazioni di Giuseppe Verdi.
Che non fu solo il grande compositore che tutti conosciamo, ma anche un fine intenditore dell’animo umano e di questioni politiche; soprattutto possedeva la qualità rara della lungimiranza. Leggete cosa scriveva il 30 settembre 1870 a una sua amica milanese, l’indomani della disfatta francese a Sedan e con Parigi assediata.
Destinataria della lettera è la contessa Chiara Maffei, che a Milano teneva un famoso salotto frequentato da Manzoni, Massimo D’Azeglio, Mazzini, da tutta la cultura europea di passaggio a Milano e, soprattutto, da patrioti e poi politici italiani. Soggetti dell’amarezza di Verdi sono la posizione ambigua dei governanti italiani, e la prepotente ingerenza del nascente impero germanico nelle questioni geopolitiche europee. L’incapacità di riconoscere alla Francia, patria di libertà e civiltà moderne, un ‘debito di riconoscenza’ ne’, tantomeno, di siglare con Parigi una ‘pace coi vinti’. Quel che avverrà in seguito gli darà ampiamente ragione.
“Cara Clarina,
Questo disastro della Francia, come a voi, mette a me pure la desolazione in cuore! È vero che la blague, l’impertinenza, la presunzione nei Francesi era, ed è, malgrado tutte le loro miserie, insopportabile; ma infine la Francia ha dato la libertà e la civiltà al mondo moderno. E s’essa cade, non ci illudiamo, cadranno tutte le nostre libertà e la nostra civiltà. Che i nostri letterati e i nostri politici vantino pure il sapere, le scienze, e persino (Dio glielo perdoni!) le arti di questi vincitori; ma se guardassero un po’ in centro, vedrebbero che nelle loro vene scorre sempre l’antico sangue goto, che sono di uno smisurato orgoglio, duri, intolleranti, sprezzatori di tutto ciò che non è germanico e di una rapacità che non ha limiti. Uomini di testa, ma senza cuore; razza forte ma non civile. E quel Re che ha sempre in bocca Dio e la Provvidenza, e coll’ajuto di questa distrugge la parte migliore d’Europa! Egli si crede predestinato a riformare i costumi e punire i vizii del mondo moderno!!! Che stampo di missionario!
L’antico Attila (altro missionario, idem) si arrestò avanti la maestà della capitale del mondo moderno; ed ora che Bismarck vuol far sapere che Parigi sarà risparmiata, io temo più che mai che sarà, almeno in parte, ruinata. Perché? … non saprei dirlo. Forse perché non esista più, così bella, una capitale che essi non arriveranno mai a farne una eguale. Povera Parigi! che ho vista così allegra, così bella, così splendida nel passato aprile!
E poi?… io avrei amato una politica più generosa, e che si pagasse un debito di riconoscenza. Centomila dei nostri potevano forse salvare la Francia. In ogni modo, avrei preferito segnare una pace vinti coi Francesi, a questa inerzia che ci farà disprezzare un giorno. La guerra europea non l’eviteremo, e noi saremo divorati. Non sarà domani, ma sarà. Un pretesto è subito trovato. Forse Roma… il Mediterraneo… E poi non vi è l’Adriatico, che essi han già proclamato mare germanico?”
“Vostro aff. Giuseppe Verdi”
(l’epistolario della Contessa Maffei è custodito alla Biblioteca Nazionale Braidense di Brera, Milano)
Fonte immagine: www.emiliaromagnateatro.com