Non più “paziente ubbidiente”
1 Settembre 2015Gianfranco Sabattini
Nel novembre scorso si è svolto a Milano in occasione del novantesimo anniversario dell’Università Statale e del ventesimo dell’Istituto Europeo di Oncologia un convegno dal titolo eloquente: “Uniti per i Pazienti”. Il convegno ha discusso le problematiche relative allo stato del paziente nei suoi rapporti con il medico, per sancire la necessità che le terapie praticate siano sorrette dalla consapevolezza degli operatori sanitari che il “paziente non è una macchina da aggiustare ma una persona da curare”.
In altre parole, il convegno è stato volto a far vivere al personale medico la necessità di una rivoluzione culturale che gli consenta di recepire che le terapie somministrate ai pazienti siano fondate su scelte condivise e non decise a fronte di un paziente ridotto ad una posizione passiva, per via della sue posizione di debolezza esistenziale: “Il dottore di domani – afferma Paolo Foschini (“Un patto con l’ammalato contro la malattia”, in “la Lettura” del 23 novembre) – sarà bravo non solo se sarà capace di scoprirmi addosso un tumore, ma anche se saprà spiegarlo ai miei e a me nel modo migliore, mi aiuterà a capire le cure che dovrò affrontare, insomma se mi coinvolgerà nelle terapie che mi prescriverà”.
L’urgenza della rivoluzione culturale che dovranno vivere gli operatori sanitari sarà sancita in un “Patto per il Paziente”, che sarà formalmente sottoscritto da un “paziente”, scelto simbolicamente a rappresentare tutti coloro che soni afflitti da malattie, e dal Rettore della Statale; col patto, l’Università si impegna a “porre le persone malate al centro dei processi educativi di tutti gli operatori”, perché a “guidare l’agire medico sia il malato, non la malattia o il medico, in considerazione del fatto che ai fini della cura del paziente è importante – come ribadisce Umberto Veronesi –, conoscere non solo “le connotazioni della sua malattia”, ma anche “la percezione, l’elaborazione mentale e memorizzazione della malattie stessa”.
Il convegno è giunto a proposito, in considerazione del fatto che una caratteristica importante, ma spesso trascurata, dei servizi sanitari, diversi da molti altri servizi alla persona, avviene attraverso “apporti mediati”. Ciò perché i malati, a causa delle insufficienti informazioni tecniche delle quali dispongono, sono costretti ad affidarsi, per gran parte delle scelte a esperti sanitari, quali medici, infermieri e altri operatori specializzati. Prima di fruire del servizio sanitario finale, i pazienti hanno spesso la necessità di un servizio intermedio, quale ad esempio una visita medica; solo dopo, sulla base della diagnosi e delle raccomandazioni degli operatori esperti ai quali si sono rivolti, possono accedere ai servizi sanitari finali.
Il rapporto mediato che si configura nel rapporto medico/paziente è, inoltre, caratterizzato dal fatto che l’affidamento agli operatori esperti finali comporta spesso un rapporto di lungo termine e su questa relazione è costruita una serie, a volte molto lunga, di ulteriori rapporti con medici, infermieri o strutture sanitarie. L’affidamento e l’incertezza che caratterizzano il rapporto tra il paziente ed il medico fanno sì che i servizi sanitari ricevuti si connotino come prestazioni la cui accettazione da parte del paziente è determinata, in ultima analisi, dal rapporto fiduciario instaurato con gli operatori sanitari esperti. Con questo tipo di rapporto, il paziente attenua la sua posizione di debolezza, senza però essere in grado di giudicare la qualità del servizio. Egli potrebbe solo basarsi su caratteri esteriori, quali ad esempio, nel caso di servizi ospedalieri, la pulizia, il comfort, la cortesia, ecc.; tali caratteri, però, per quanto importanti, potrebbero non avere niente a che fare con l’efficacia dei servizi dei quali il paziente ha bisogno.
Come beni fiduciari, i servizi sanitari “soffrono” di un limite particolare che connota la loro qualità; ciò perché gli operatori esperti, accreditati ad offrire il servizio sanitario, possono assumere la figura di “operatori-sospetto”, in quanto il loro prevalente interesse, a fronte dello stato di debolezza del paziente, potrebbe non coincidere con quello del paziente stesso.
E’ questo uno dei motivi per cui le prestazioni sanitarie sono state ricondotte sotto il controllo dello Stato; questo controllo però non è stato in grado sinora di assicurare l’autonomia valutativa del paziente riguardo alla quantità e qualità dei servizi dei quali ha avuto bisogno. Occorre ora che, con la sua “presenza meritoria”, lo Stato sorregga e concorra a garantire tutte le iniziative, come quella promossa dal convegno milanese, che i servizi sanitari non siano totalmente “estranei” all’ammalato, e questi non sia più considerato “paziente ubbidiente e passivo”, ma “paziente interessato” ad orientare ed a controllare le decisioni riguardanti le terapie che gli vengono praticate.
A tal fine, è necessario che lo Stato crei le condizioni istituzionali perché i servizi sanitari possano realmente divenire i beni fiduciari dei quali ha bisogno l’ammalato; e perché ciò possa avvenire è necessario che la prestazione medica sia di “alta qualità”, prestata in modo “efficiente”, sia “efficace”, “rispondente alle aspettative” del paziente, ma anche “fiscalmente giustificabile” e distribuita secondo “equità”.
La “qualità” riguarda le modalità di trattamento del paziente sul piano della cortesia, della premura, e della competenza con cui il servizio medico viene somministrato. L’”efficienza”, riguarda la qualità delle risorse impiegate, nel senso che queste devono essere le migliori tra quelle disponibili. La “rispondenza alle aspettative” del paziente concerne la garanzia del rispetto della dignità del paziente, in considerazione del fatto che per ogni paziente la prestazione medica dovrà risultare compatibile con il principio dell’autonoma formazione della sua volontà riguardo alla desiderabilità delle cure proposte.
La salvaguardia della dignità del paziente, garantita dalla presenza attiva dello Stato nell’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, non potrà tuttavia essere disgiunta da una sua “giustificazione fiscale” e da una “distribuzione sociale equa” dei servizi sanitari. La prima assicura che le aspettative dei pazienti, riguardo al rispetto della loro dignità e alla qualità dei servizi, siano “controbilanciate” da una pressione fiscale “condivisa”; ciò, al fine di evitare che le preferenze dei pazienti, in quanto “contribuenti fiscali”, non coincidano con le loro preferenze in quanto fruitori di determinati servizi sanitari. Infine, la “distribuzione sociale equa” dei servizi, assicura che i presidi medici siano omogeneamente distribuiti dal punto di vista territoriale e che l’accesso alle loro prestazioni sia sgombro da qualsiasi ostacolo che possa comportare una discriminazione censitaria.
Lo sforzo del legislatore statale e la realizzazione del sistema sanitario nazionale hanno sinora consentito una prima attuazione del miglioramento del rapporto medico/paziente. Molto però resta ancora da fare, considerando che i diritti del malato, pur nelle loro multiformi manifestazioni, sono riconducibili alla categoria dei diritti della persona. Sul piano etico-sociale, il tema del coinvolgimento del paziente dovrà impegnare perciò il legislatore nella prospettiva di un suo ulteriore contributo alla realizzazione di un più efficace presidio da porre a tutela della dignità umana. Il convegno di Milano ha risposto in pieno a questa esigenza.