L’arte della guerra

16 Ottobre 2015
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Daniele Barbieri

Pubblichiamo la recensione del libro Manlio Dinucci «L’arte della guerra: annali della strategia Usa/Nato (1990-2015)»: un libro che purtroppo dovremo prendere sul serio se non vogliamo restar ciechi (Red)

Si dice a Roma, in modo volgare ma efficace, «non mi interessa se non è a un palmo dal culo mio». Egoistico ma chiaro. Da tempo le guerre della Nato sono a un palmo, e anche meno, dal mio culo e dal vostro. Sempre più frequenti; sempre più vicine geograficamente; con più basi e comandi strategici in Italia (Napoli, Vicenza, Pisa, Sigonella per dirne 4); con armi atomiche segretamente e illegalmente nel nostro territorio; con pesantissimi costi a carico di tutti noi visto che la spesa militare è salita dai 52 milioni di euri al giorno “teorici” – in realtà di più con vari trucchi contabili, come spiega il Sipri, ovvero Stockholm International Peace Research Institute, una fonte attendibile) – agli 80 milioni del 2014 ma nel 2015 certamente sono saliti e ancora saliranno… mentre la Nato si lamenta, vuole “un maggior impegno”.

E’ uscito in ottobre «L’arte della guerra: annali della strategia Usa/Nato (1990-2015)», pubblicato da Zambon (550 pagine per 18 euri) con una nota introduttiva di Jean Toschi e la prefazione di Alex Zanotelli. Ne è autore Manlio Dinucci che da anni ha una rubrica – appunto «L’arte della guerra» – sul quotidiano «il manifesto».

Mi spiace dirvelo ma se volete uscire da un mondo ovattato e dai pericoli dell’ignoranza questo è uno dei 5 o 10 libri che dovete impegnarvi con voi stessi a leggere, anzi a studiare. Perché credo che molte notizie importanti – a un palmo dal vostro culo se non più vicine ancora – non vi siano giunte e moltissime altre le avete dimenticate e/o non le mettete in connessione fra loro.

Lo schema del libro, l’Indice insomma, esamina tre decenni: 1900-1999, 2000-2009, 2010-2015. All’interno di questa divisione Dinucci calcola 5 guerre della Nato. «La prima guerra del dopo guerra fredda» è, come si sa, nel Golfo e inizia nel gennaio 1991, la cosiddetta «hyperwar», guerra “chirurgica” in teoria «con perdite umane zero». L’anno dopo c’è la seconda guerra nell’ex Jugoslavia. La terza guerra (in apparenza come reazione al terrorismo “11 settembre” ma in realtà da tempo programmata) è in Afghanistan: inizia il 7 ottobre 2001 e, come si sa, è ben lontana dall’essere conclusa. Si torna nel Golfo, cioè in Iraq, con la quarta guerra iniziata nel marzo 2003 e ufficialmente terminata il 15 dicembre 2011 con il teorico «passaggio di tutti i poteri alle autorità irachene da parte dell’esercito statunitense»; come è noto una presa per i fondelli, visto che in Iraq si combatte ancora e i focolai incendiano le aree circostanti fra cui Libia (la quinta guerra) e Siria.

All’interno di questo schema con 5 guerre “aperte” Dinucci completa il quadro con notizie e numeri: sul ri-orientamento Nato (occhio alla bibliografia: tutte le fonti sono della Nato, dell’Usaf, del Senato statunitense e simili); sui droni, sul fosforo bianco, su nuove armi; sul ruolo di Kosovo e Turchia; sul groviglio intorno ai “buoni” di Israele da una parte e ai “cattivi” dell’Iran dall’altra; sul «nuovo modello di Difesa» dell’Italia; sulla ripresa di un interventismo francese soprattutto in Africa; sulle torture e i rapimenti di nemici veri o presunti. E ovviamente sulla «guerra globale al terrorismo» (che ci sia tutti lo sanno ma dove e cosa sia è più vago; manca addirittura una definizione ufficiale) per finire sulla Siria e «la strategia delle guerre coperte», su Ucraina e dintorni («la nuova guerra fredda») sulla nuova «corsa agli armamenti nucleari», tema assolutamente tabù sui grandi – o presunti tali – mass media, soprattutto nell’Italia attuale. Praticamente scomparsa dalle notizie anche quella del gennaio 2015 sull’«orologio dell’Apocalisse». Per chi non lo sapesse si tratta del simbolico segnatempo del «Bullettin of the Atomic Scientists» con il quale si calcola quanto ci siamo avvicinati alla “mezzanotte” della guerra nucleare; rispetto al conflitto Usa-Urss ci eravamo allontanati ma poi il vento è cambiato: nel 2012 di nuovo 5 minuti a mezzanotte, nel 2015 soltanto 3 minuti, «lo stesso livello del 1984 in piena guerra fredda». E come infatti scrive Jean Toschi all’inizio c’è una «impressionante accelerazione negli ultimi 5 anni». Detto con le parole di Alex Zanotelli nella prefazione, «siamo sull’orlo dell’abisso».

Lo straordinario e documentatissimo lavoro di Manlio Dinucci non offre il fianco a critiche. Si può naturalmente ragionare su alcune interpretazioni, assenze e sottolineature. Dal mio punto di vista trovo sbagliato aver dedicato poche righe alla lunga «guerra mondiale africana» che scoppia intorno alle ricchezze del Congo, facendo 4 milioni di morti solamente fra il ’96 e il ’99: è vero che la Nato non è in prima linea ma questi massacri sono legati – come gli altri – alla necessità dei Paesi ricchi di controllare, cioè rapinare, a qualsiasi costo i materiali strategici (nel caso del Congo il coltan – prezioso per i “nostri” telefonini fra l’altro – in primo luogo ma poi l’elenco è lunghissimo).

Il titolo, «L’arte della guerra», fa riferimento al famosissimo manuale di teoria militare scritto dal generale (e filosofo) Sun Tzu fra il VI e il V secolo avanti Cristo; in particolare Dinucci ne raccoglie l’indicazione che le guerre non si combattono solamente sui campi di battaglia e che vincere occorre la combinazione di 3 strumenti ovvero politico, diplomatico e militare.

Impossibile riassumere notizie e analisi. Accenno alcune frasi o riferimenti che mi hanno particolarmente colpito. «Di due fatti si può essere certi» scrive Dinucci il 18 settembre 2001, dunque una settimana dopo l’attacco alle “Due torri”: «Primo, che questo (i pieni poteri a Bush per una “guerra globale”) sarà solo l’inizio. Secondo, che ogni azione militare sarà condotta dagli Usa non tanto per colpire il terrorismo o presunto tale quanto per rafforzare il loro controllo su determinate aree strategiche, come quella del Golfo, a scapito anche dei loro alleati».

Personalmente non credo a complotti e sette segrete: quasi tutto ciò che riguarda l’economia e la politica è, se lo si vuole sapere, sotto la luce del sole. Per questo è preziosa l’intervista a Donald Rumsfeld (Dinucci la “inventa” a partire da citazioni integrali della «Quadriennial Defense Rewiew», sul sito ufficiale del Pentagfono) che nel 2001 era “segretario della Difesa” statunitense: la trovate alle pagg 206-209. Per quel che riguarda il Paese in cui abitiamo, preziose – fra le altre – le notizie che riguardano i “segreti” nella legge 94 del 2005 cioè gli accordi militari privilegiati fra Israele e l’Italia.

Qua e là ci sono tristi ironie. Come quando Dinucci ricorda che l’Italia mentre bombarda la Libia finge di non essere in guerra e anzi (tanto per dirne una) spiega che è impegnata in un progetto per «il miglioramento della palma da dattero dell’oasi di Al Jufra». Tragicomiche anche le balle italiane dei “pifferai magiche”: fra le tante quelle di Pisa del 27 aprile 2012 per far credere a «1500 bambine e bambini fra i 3 e i 14 anni» che l’Italia è impegnata nel rispetto della Costituzione e dunque in azioni di pace, in «operazioni umanitarie». Altra triste ironia – «un insulto all’intelligenza» la definisce Dinucci – è questa decisione della Commissione Europea della Ue: «dal 2014 nel calcolo del Pil la spesa per i sistemi d’arma sarà considerata non una spesa ma un investimento per la sicurezza». Comiche se non fossero tristissime le «bolle di sapone» della ministra Roberta Pinotti e di altre/i del Pd sul numero degli aerei F-35.

La necessità di celare le guerre è al primo posto. Come scrive Dinucci, «una delle capacità della guerra del XXI secolo è cancellare dalla memoria la guerra stessa, dopo che è stata effettuata, occultando le sue conseguenze». Così esemplare è che il nuovo scenario di guerra con la Russia voluto dalla Nato sia raccontato a rovescia. O che parlando degli operai (italiani) dell’Alcoa in lotta, nessuno osi ricordare che la storia dell’Alcoa «è intessuta con quella dell’imperialismo Usa».

In questo quadro foschissimo naturalmente qualche buona notizia c’è: per restare dalle nostre parti il forte movimento «No Muos». Mi fermo qui con l’invito a leggerlo, a discuterne, a uscire dall’idea che nulla possiamo opporre. E’ purtroppo questione di vita e di morte: chiudere gli occhi è la cosa peggiore da fare.

OVVIAMENTE non aspettatevi di vedere il libro nelle vetrine: Zambon fatica ad arrivare in libreria, il perchè lo avete capito… se siete arrivate/i fin qui. Per cui aggiungo che Zambon è distribuito da Diest: potete contattarlo qui [email protected] oppure qui 011 89 811 64. Se volete fare anche un minimo di “militanza” (milidanza?) segnalate «L’arte della guerra» alla vostra libreria di fiducia, parlatene, regalatelo, organizzate presentazioni.

PRIMO POST SCRIPTUM. Se davvero volete scavare su questi temi, togliere mattoni al muro della censura e dell’autocensura, vi consiglio un altro libro – varie volte qui in “bottega” se n’è parlato – di Marco Deriu. Si intitola «Dizionario critico delle nuove guerre» e nonostante sia stato pubblicato (da Emi) ormai 10 anni fa, resta fondamentale per l’analisi, per il metodo, per le notizie e per le scomode conclusioni alle quali giunge. Per esempio che viviamo in un sistema che “produce” guerra; o che in questo quadro un pacifismo di “buone maniere” a nulla serve, anzi è un eccellente alibi alle “democrazie (sempre più) armate”.

SECONDO POST SCRIPTUM. A proposito di tre scimmiette da imitare o di piccoli impegni da prendersi. Se la situazione è così drammatica perché alla manifestazione (sabato scorso a Napoli) contro le nuove guerre della Nato c’erano poche persone? E perché Marinella Correggia era così sola – potete leggerne qui «La Nato va sciolta»… – nella sua «piccola azione diretta nonviolenta (cartello e discorsetto) davanti al vicesegretario generale della Nato, Alexander Vershbow e a militari assortiti»?

Dal blog di Daniele Barbieri

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