Possiamo espellerli
1 Febbraio 2016Maurizio Ciotola
Possiamo espellerli, mandarli via, certo, potremmo ergere barriere intelligenti, al pari dei bombardamenti che portiamo loro ogni dì, in modo da sapere se chi entra è o non è un terrorista, un delinquente, un possibile stupratore o ladro. Potrebbe essere possibile, del resto immaginarlo non è reato.
Inoltre, pensiamo quale grande beneficio potremmo riuscire ad ottenere sul piano giuridico, espellendo un immigrato sulla base di sospetti o con un processo in primo grado, annullando il secondo e la Cassazione. In un batter d’occhio riusciremo a far passare quello che, da anni, qualcuno tenta di ottenere. E sì, d’altronde il passaggio concettuale, da un immigrato sospetto o incriminato in primo grado ad un nostro concittadino, il passo è breve, soprattutto in un clima di sospetto e terrore.
Ci sarebbe anche da chiederci dove, in quale territorio o Stato espellerli. Quello di origine si potrebbe dire, ma non provare. Oppure quello da cui son partiti clandestinamente e quindi all’insaputa delle forze dell’ordine, quando ci sono, di quella sponda abbandonata per giungere sulla nostra. Salvo il fatto che, il giorno successivo, senza andare troppo lontano, quelle stesse persone rischierebbero di nuovo la vita per giungere qui da noi, senza alcuna remora nel ritentare l’attraversata.
Ammesso si riuscisse in questa operazione di allontanamento, ma non certo di contenimento, quale sarebbe la ricaduta in una civiltà globale, se lasciassimo impunito sul piano giuridico e rieducativo l’eventuale reato? Quale sarebbe il “ritorno” sociale, civile, se non un eventuale delinquente a piede libero, inconsapevole di esserlo e di conseguenza pronto a reiterare lo stesso reato, dopo esser giunto per l’ennesima volta sul suolo in cui noi viviamo?
Rispedirli a casa, sul piano dell’immediatezza potrebbe apparire la miglior soluzione, salvo comprendere poi che, in un mondo globale equivarrebbe a spostare temporaneamente il problema senza aver compiuto, almeno attraverso il percorso giudiziario, la reintegrazione finalizzata alla comprensione culturale del reato. Perché la nostra Costituzione prevede che, la condanna sia finalizzata ad una rieducazione, non ad una espiazione infernale della pena.
Probabilmente rispedendo là da dove è venuto l’immigrato, che una pessima legge lo definisce “clandestino”, piuttosto che rifugiato, potremo avere come risultato l’esatto opposto di quanto auspicato, comprensibilmente verrebbe da dire, visto che ad un reato commesso rispondiamo con un “reato” di Stato.
Nell’immagine: opera di Nizar Ali Badr, artista siriano profugo