Venne Maggio e fu speranza
1 Maggio 2016Gianni Loy
“Venne Maggio” e fu speranza, cantava Ivan Della Mea negli anni delle barricate, negli anni di una lotta che, ammoniva, va vissuta, e non cantata.
Quasi mezzo secolo dopo, gruppi di giovani continuano a presidiare una piazza di Parigi per ragionare sul futuro, la notte, in piedi. Ed intanto arriva maggio. Squadre di “flic” in tenuta antisommossa, proprio allo scadere della mezzanotte, che segna il limite dell’autorizzazione per i giovani ad occupare il suolo pubblico, hanno caricato con forza quanti tentavano di prolungare l’occupazione della piazza. I lavoratori, qualche giorno fa, sono di nuovo scesi in piazza per manifestare contro la proposta di riforma del mercato del lavoro, la legge El Khomri, che tra qualche giorno approderà in parlamento e sarà accompagnata da un’ennesima manifestazione di piazza.
Corsi e ricorsi storici. Il 28 aprile, mentre i sardi (forse) festeggiavano “Sa die”, gli studenti francesi erano impegnati in un serrato dibattito con i sindacati per una prova di convergenza. Studenti operai uniti nella lotta? Un vecchio slogan. Non sembra ancora scontato, gli studenti non sono del tutto convinti, ma il dibattito è capace di evocare esperienze vissute. Ed intanto arriva maggio, ritorna. Maggio è il mese delle rose, il mese della Madonna, la festa della mamma, ma anche il “maggio francese”, soprattutto è il primo maggio, la festa dei lavoratori.
Quel primo maggio che noi poveri cagliaritani, da sempre Sant’Efisio gli ha rubato la scena, non abbiamo potuto celebrare come ci sarebbe piaciuto. Anche con rammarico, nei momenti quando sembrava che il mondo del lavoro potesse regolare i tempi della società, imporre le sue regole, senza niente togliere al convertito romano che ci ha salvato dall’invasione delle cavallette. Ora, ahinoi, il primo maggio non riesce a strapparci le emozioni di un tempo. Da qualche anno è soprattutto un grande concerto in piazza del popolo. Ma anche quelle note sembrano sempre più lontane.
Qualcuno potrà pensare che son passati i tempi, che la società non è più quella di un tempo. Certo. è cambiata profondamente. Abbiamo imballato le nostre pene quotidiane nello scintillio delle città mercato. Abbiamo ridotto al minimo essenziale le luminarie natalizie, quelle che, un tempo, conferivano aria di festa alle vie commerciali della vigilia. Il carnevale l’abbiamo soffocato. Qualche mese fa, nel giorno di martedì grasso, ho inutilmente esplorato le vie del centro, alla ricerca di qualche assembramento spontaneo, epigone di quella ratantira che trascinava canciofali al rogo. Le strade di Stampace erano deserte, tristi. Magari i cagliaritani festeggiavano all’interno di qualche circolo, i bambini in uno dei tanti ritrovi gonfiabili dove è a la page festeggiare compleanni e comunioni.
E vabbe! Ma le strade del centro deserte, nel pomeriggio di un martedì grasso, fanno venire il malumore. Sarà per un’altra volta! Se fosse vero che i lavoratori non hanno più niente da recriminare, più niente da rivendicare. Se fosse vero che lo sfruttamento è roba del secolo passato, che con un minimo salariale si può condurre una vita dignitosa, che per un giovane non è difficile trovare uno straccio di lavoro, se tutto questo fosse vero, non ci sarebbe niente da dire.
Ed invece, le nuove forme di precariato, l’abuso della flessibilità, i salari corti, il lavoro nero, le umiliazioni troppo spesso richieste per ottenere un lavoro, offendono ancora, e più di prima, la dignità di uomini e donne, giovani o anziani, cittadini o immigrati che siano.
Ed una società non può reggersi, non può progredire, se le condizioni e le regole del lavoro, oggi più di ieri, non riconoscono la dignità della persona umana. Le previsioni annunciano, per il giorno delle feste, cielo poco nuvoloso con qualche pioggia e schiarite.
Nell’immagine: Fluminimaggiore, pittura murale