Sebben che siamo donne

25 Novembre 2016
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Gianfranca Fois

“Infame, da uccidere”. No non è un mafioso che parla, come si potrebbe arguire da queste parole, ma il presidente della regione campana che si riferisce alla compagna di partito Rosi Bindi. Perché le violenze contro le donne non sono solo fisiche ma anche psicologiche.

E’ proprio di questi giorni il rapporto sulle violenze nei confronti delle parlamentari di 39 paesi del mondo, di cui 15 europei, che è stato presentato a Ginevra nel corso della 135° Assemblea dell’Unione interparlamentare sul tema “Libertà delle donne di partecipare ai processi politici pienamente e in sicurezza” intitolato “Sessismo, molestie e violenza sulle donne parlamentari”.

Negli ultimi 15 anni il numero delle parlamentari nel mondo è passato dall’ 11% al 22,8%. Ancora numeri bassi ma l’atteggiamento degli uomini, anche di quelli in Parlamento e nelle istituzioni, sembrerebbe riflettere paura oltre che persistenza di una cultura maschilista patriarcale che stenta ad essere spazzata via. Infatti si tenta in modo continuo di fermare l’affermarsi delle donne attraverso minacce, parole o frasi sessiste che creino nelle donne insicurezza e le svalutino di fronte all’opinione pubblica, a questo svilimento molti giornalisti e purtroppo anche giornaliste contribuiscono facendo riferimenti all’aspetto fisico, all’abbigliamento o alla vita privata delle donne impegnate in politica o nelle istituzioni.

Una strategia amplificata dai social network, come abbiamo visto in Italia nei confronti soprattutto di Laura Boldrini, Cecilia Kyenge, oltre che di Rosi Bindi, donne cioè abituate a pensare con la propria testa e non semplici ornamenti agli ordini di un capo o di poteri esterni. Inoltre, a parte qualche sbrigativo commento da parte delle più alte cariche, nessuna delle donne che esercitano il potere in Italia ha preso apertamente posizione contro le parole del governatore della Campania dimostrando ancora di più la loro omologazione al potere maschile.

In Italia, a rendere più grave la situazione c’è il fatto che simili atteggiamenti verbali e stereotipati vengono espressi pubblicamente anche da uomini delle istituzioni oltre che da esponenti politici dei diversi partiti. Si tratta quindi, per le donne, della violazione di libertà individuali e di limitazione dell’esercizio dei propri diritti.

A tutto ciò si aggiunge la vicenda dell’elezione a capo della più grande potenza mondiale di un uomo che non nasconde il suo sessismo, oltre che il suo razzismo, e che si sta circondando di uomini in gran parte conosciuti per il loro programma teso a cancellare numerose conquiste delle donne. Non importa se qualche incarico viene assegnato a donne, si tratta di scelte in linea con la visione conservatrice, per non dire reazionaria, di Trump e dei suoi più importanti consiglieri.

Un momento molto difficile quindi per le donne, anzi per tutti coloro che hanno a cuore i diritti umani, il rispetto verso gli altri e la solidarietà. Proprio in questi giorni, per fare qualche altro esempio, in quattro città della Gran Bretagna ci sono manifestazioni di donne che bloccano i ponti (block the bridges) perché il governo di Theresa May taglia i fondi per la protezione delle vittime di violenza domestica (a bridge to safety). E contemporaneamente le donne immigrate, di colore e lgbt incontrano sempre più difficoltà ad accedere ai rifugi, all’assistenza sanitaria, all’edilizia sociale e ai servizi specializzati che vengono chiusi.

Anche in Turchia la protesta delle donne turche ha portato al temporaneo ritiro della legge sugli “stupri”. Il governo di Erdogan l’ha inviata alla Commissione Giustizia perché venga riformulata ma le proteste non cessano perché le donne ne chiedono il definitivo ritiro. Intanto il governo procede all’arresto di numerose donne e alla chiusura di decine di associazioni femministe.

Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Forse ci sarà da parte delle nostre istituzioni qualche parola retorica di circostanza, ma nello stesso tempo i centri antiviolenza sono in uno stato di crescente insicurezza economica perché privati dei fondi, stanziati ma non erogati.

Manca in particolar modo una risposta politica al malessere di tantissime donne italiane impegnate quotidianamente con la disoccupazione o la precarietà del lavoro, la difficoltà a gestire tempi di lavoro e famiglia ma anche la cura dei figli e dei genitori anziani, ad accedere alle cure sanitarie, insomma tutte quelle difficoltà che le politiche neoliberiste portate avanti dai nostri governi hanno creato, determinando un sempre maggior impoverimento della popolazione, è sufficiente leggere i dati più recenti.

Inoltre hanno creato anche una disuguaglianza economica che è tra le più alte in Europa e sono le donne ad essere le più svantaggiate in una condizione simile. Tutti problemi che certo non si possono eliminare con mance del governo ma con importanti piani di intervento di breve, medio e lungo periodo.

Contemporaneamente anche in questo campo sono necessari una vera e propria rivoluzione culturale e interventi pronti (come in altri paesi europei) per condannare minacce, atteggiamenti, linguaggi, espressioni sessiste presenti in ogni campo dalla politica all’informazione, alla pubblicità che non solo li alimentano ma spesso li giustificano.

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