La vittoria del NO
16 Dicembre 2016Marco Ligas
Uomini e donne impegnati nella società civile si sono incontrati sabato 10 dicembre per discutere sulla crisi che investe la Sardegna. Ne è scaturito l’impegno per elaborare un progetto comune teso a sconfiggere le politiche clientelari della nostra classe dirigente, sempre più lontane dagli interessi dei sardi”. All’assemblea ha partecipato anche il manifesto sardo, di cui pubblichiamo l’intervento di Marco Ligas.
Parto dall’aspetto che ritengo più importante: una lunga campagna referendaria ha consentito la partecipazione di milioni di persone al dibattito sul valore della Costituzione. Un interesse come quello che si è verificato in questi mesi non si registrava da anni. La partecipazione al voto da parte di tanti cittadini ha posto un freno all’astensionismo, tendenza sempre pericolosa per le sorti della democrazia.
Il voto del 4 dicembre ci dice dunque che la politica può essere coinvolgente; raggiunge questo obiettivo quando non viene usata come una delega di cui si appropriano i gruppi dirigenti di partiti o di coalizioni slegati dagli interessi e dai bisogni dei cittadini. Il voto in Sardegna conferma queste considerazioni, anzi le rafforza.
Tuttavia non dobbiamo commettere l’errore di ritenere questo successo il segnale di un’inversione di tendenza definitiva. Il Presidente Pertini ci metteva in guardia su questi pericoli: le vittorie della democrazia, diceva, non sono mai risolutive se non le difendiamo con la necessaria determinazione e con continuità.
Noi dobbiamo difenderci e contrastare i disegni di avversari pericolosi e agguerriti. Ripetiamo spesso che i grandi istituti finanziari e le grandi banche conducono politiche tese fondamentalmente al loro arricchimento. Questi signori non si preoccupano di impoverire i popoli privandoli della loro sovranità, prendono decisioni importantissime e le affidano alle istituzioni (un tempo) rappresentative al cui interno oggi trovano sempre più frequentemente esecutori consenzienti.
Non si preoccupano dei disastri che provocano fra i cittadini e nei territori dove questi vivono. Realizzando queste politiche non solo svuotano il potere dei parlamenti ma gli stessi partiti politici vengono delegittimati e progressivamente trasformati in gruppi di potere. Dobbiamo evitare che questi processi vadano avanti e si consolidino. La vittoria del NO al referendum costituzionale ci offre l’occasione di ricostruire rapporti sociali entrati in crisi.
Cerchiamo dunque di ricostruire le basi della democrazia e della partecipazione, favoriamo le alleanze con quei soggetti politici e sociali che sostengono gli stessi nostri presupposti. Non tutti i sostenitori del NO avevano obiettivi comuni; seppure questa affermazione appaia superflua è evidente che non possiamo dar vita ad alleanze confuse o, peggio, conflittuali. E, soprattutto, non poniamoci da subito l’obiettivo di partecipare ai governi del Paese o delle Regioni se prima non abbiamo costruito convergenze sociali consistenti e credibili, fondate su un progetto.
Non commettiamo l’errore, purtroppo endemico in molte componenti della sinistra, di considerarci i migliori e i più accreditati portatori del progetto politico alternativo. Evitiamo anche di fare le graduatorie tra chi è più o meno bravo. In questa campagna referendaria ho rivisto tante persone impegnate nelle diverse iniziative, credo che sia questo l’aspetto più importante, perciò valorizziamolo. Voglio aggiungere qualche considerazione sulla Sardegna.
Nel corso della campagna referendaria ho avuto modo di parlare con i cittadini di diversi Comuni; ho affrontato, tra gli altri, i temi della specialità e della possibile incompatibilità tra senatori e consiglieri, spesso sollecitato dagli stessi partecipanti ai dibattiti. Mentre parlavo di questi temi e sentivo le opinioni degli altri ho riflettuto sulla leggerezza, e soprattutto sull’irresponsabilità, di ministre e di dirigenti del PD i quali, venuti nell’isola per raccogliere adesioni al SI, esponevano i contenuti della riforma costituzionale con estrema superficialità come se stessero ripetendo proposizioni imparate a memoria e ricavate da vecchi bignamini. Per loro era del tutto naturale che la specialità fosse tutelata dalla riforma mentre l’incompatibilità tra senatori e consiglieri regionali non fosse affatto prevista.
Mentre discutevo di queste cose nelle assemblee mi chiedevo se l’autonomia speciale di cui gode la Sardegna (così viene detto) sia un dato reale. In effetti la gode soltanto sui codici e neanche come condizione unanimemente riconosciuta. A volte mi sembra un’allucinazione il convincimento secondo il quale la Sardegna sarebbe una regione a Statuto Speciale. Non escludo che qualche volta diciamo queste cose per auto consolarci ma in realtà la specialità la subiamo come emarginazione e come condizione tipica delle aree colonizzate.
Non a caso la Sardegna è la regione più militarizzata d’Italia e d’Europa con il 61% delle servitù militari italiane. In queste aree sono presenti i tre più grandi poligoni d’Europa dove si svolgono esercitazioni estremamente pericolose che danneggiano sia le popolazioni sia l’ambiente.
Consideriamo la vittoria ottenuta nella consultazione referendaria come un’opportunità per rilanciare i nostri diritti per la tutela della nostra regione. Assieme ai temi relativi alla presenza militare propongo una riflessione su due altri aspetti che considero fondamentali: 1) la revisione dello statuto e della legge elettorale regionale, 2) le questioni del lavoro a partire dal referendum per la soppressione del jobs act.
Non ho il tempo adesso di soffermarmi su questi temi, ritengo però che possano rappresentare le basi per un lavoro culturale e politico comune.