Terre Libere: microstoria di una fu rivista nuorese
16 Gennaio 2017Amedeo Spagnuolo
“Si sa che abbiamo tanti brutti vizi. Uno è leggere, ma non ci accontentiamo, perché critichiamo tutto quello che leggiamo e poi lo raccontiamo. Abbiamo anche un altro vizio: spesso scriviamo, tutto quello che pensiamo su tutto e su tutti, perché ci piace rendere partecipi gli altri delle nostre idee e dei nostri punti di vista. In pratica, ci piace informare. Così, per il gusto, ogni tanto, di parlare di cose importanti che condizionano la nostra vita. Un giorno abbiamo avuto un incontro di “viziosi”, e allora, non per fare di un vizio una virtù, che sarebbe troppo scontato, ma per sfogarci e divertirci, abbiamo deciso di scrivere per tutti. Anzi, siccome siamo viziati oltre che viziosi, abbiamo deciso di fare un giornale. Si, è vero siamo anche presuntuosi, siamo studenti, operai, insegnanti, disoccupati, che scrivono su tutto, per continuare a sognare e costruire un altro “mondo possibile”, iniziando da qui, da casa nostra, da Nuoro, dalla Sardegna, dall’Europa”.
Cominciava in questo modo l’editoriale del numero 0 di “Terre Libere – laboratorio politico – culturale” uscito nel mese di marzo del 2006. La redazione inizialmente era composta da quasi 20 persone, giovani e meno giovani, tutti entusiasti di poter finalmente esprimersi liberamente su delle pagine che ancora non sapevamo da quante persone sarebbero state lette. In quel momento, però, la cosa più importante era essere riusciti a dare vita a uno strumento editoriale libero e indipendente sul quale potersi esprimere sotto varie forme e senza alcun condizionamento. Le prime riunioni di redazione erano fantastiche! Caos totale, parole in libertà, pensieri che sfuggivano a qualsiasi ordine. Eppure nonostante ciò alla fine riuscivamo a mettere insieme una serie di contributi culturali di un livello che sorprendeva anche noi per la qualità e l’impegno con i quali erano stati confezionati. Le riunioni si svolgevano a casa di una delle redattrici, davanti a un enorme camino con il fuoco acceso.
Con il passare del tempo, quel luogo divenne per noi tanto famigliare da farci sentire come se fossimo a casa nostra per cui, anche grazie a qualche ottimo bicchiere di vino, le discussioni decollavano in maniera del tutto naturale. Col tempo imparammo anche a gestire meglio i lavori, infatti, uno dei nostri problemi principali era che la “libera discussione” prendeva troppo tempo per cui le riunioni andavano spesso aggiornate a scapito della puntualità nelle uscite della rivista. Bisogna dire però che quelle discussioni che, spesso, partivano dall’analisi dei contributi proposti dai nostri collaboratori, assumevano le caratteristiche di vere e proprie narrazioni che pian piano, a nostra insaputa, si sganciavano dal testo sotto esame e si trasformavano in qualcosa d’altro che alla fine, generalmente, diventava un editoriale o un pezzo del tutto nuovo che si andava a incastonare nel puzzle un po’ anarchico di Terre Libere.
Intorno alla rivista però non si era formata solo una redazione che condivideva un progetto editoriale, col tempo, quelle stesse persone cominciarono a sentire il bisogno anche di parlare di se stesse, dei propri vissuti, delle proprie gioie e ansie, insomma si era creata una comunità dialogante che attraverso lo strumento Terre riusciva a creare un ambiente accogliente nel quale tutti noi, forse, cercavamo anche un po’ di calore. Le nostre discussioni, spesso, erano molto accese, però con il tempo avevamo imparato a volerci bene per cui anche se volavano parole grosse alla fine non lasciavamo al rancore nessuna possibilità d’insinuarsi tra noi. Molto eccitante poi era l’atmosfera che si respirava nei giorni che precedevano le presentazioni pubbliche della rivista al Caffè Tettamanzi, storico locale di Nuoro, in quelle occasioni diventavamo una sorta di compagnia teatrale che s’impegnava a fondo nelle prove, infatti, ciò che intendevamo fare era “rappresentare” Terre Libere”, materializzarla in un evento culturale al quale speravamo potessero partecipare il maggior numero di persone possibile.
In effetti, poi, accadeva proprio quello che speravamo, il Tettamanzi si riempiva e la nostra emozione aumentava, tutti noi avevamo l’impressione di essere sul palcoscenico di un teatro, attori un po’ allo sbaraglio, che non avevano paura di mettersi in gioco pur di dare sfogo alla propria voglia di gridare forte che tutti hanno qualcosa d’interessante da dire, basta dargliene la possibilità. Ripensando a tutto ciò che abbiamo costruito in quegli anni di attività (l’ultimo numero risale a giugno del 2011), vengo assalito da una fastidiosa tristezza che nasce dalla consapevolezza che il progetto Terre Libere sia terminato non perché fosse carente dal punto di vista qualitativo, bensì a causa di un calo notevole delle vendite, registratosi negli ultimi tempi. La crisi economica che ci attanaglia ancora oggi, si abbatté su di noi in maniera inaspettata, mai avremmo pensato, quando cominciammo, che i nostri lettori un giorno ci avrebbero schiettamente confessato che anche i pochi euro che fino a quel momento avevano utilizzato per sostenere in maniera convinta le nostre iniziative, cominciavano a pesare sul loro bilancio famigliare.
Eppure nei momenti migliori di Terre Libere riuscivamo a vendere, tra edicole e distribuzione militante, circa 200 copie, un risultato apprezzabile considerato che ciò avveniva nel piccolo capoluogo barbaricino. In quegli anni Terre Libere è stata capace, a Nuoro, di creare intorno a sé un discreto interesse e di tenere vivo il dibattito culturale su alcuni temi di forte impatto sociale. Poi però è accaduto quello che spesso accade alle iniziative culturali, i soldi hanno cominciato a scarseggiare fino al punto che sono venuti a mancare anche quelli necessari per la stampa. Quindi è cominciato il nostro pellegrinaggio tra le istituzioni pubbliche che, dal nostro punto di vista, avrebbero in qualche modo potuto sostenerci.
È stato proprio in quel momento che abbiamo toccato con mano quanto fossero poco interessati alla cultura e alla sua diffusione i politici locali che di volta in volta, dopo mirabolanti promesse, sparivano senza lasciare traccia. Diciamo che nel nostro piccolo abbiamo sperimentato di quanta poca considerazione goda nel nostro paese la cultura, quella cultura che probabilmente se valorizzata nella maniera giusta potrebbe dare un contributo notevole alla rinascita delle nostre disastrate comunità. Ancora adesso incontro persone che mi chiedono della rivista e del fatto che essi non riescano più a trovarla nelle edicole, quando rispondo loro che non abbiamo più i soldi per uscire mi guardano dispiaciuti, ma allo stesso tempo percepisco nei loro volti un’espressione di rassegnazione ovvero la convinzione che oggi ci siano problemi più grossi da affrontare che hanno la priorità sulla sopravvivenza di una piccola rivista di provincia.
Questa rassegnazione delle cosiddette persone comuni, mi inquieta più della indifferenza dei nostri politici in quanto mi induce a pensare che ormai la cultura cominci a essere percepita dalla maggioranza delle persone come qualcosa di cui in fondo si può fare a meno. Comunque, ancora oggi, noi di Terre questo non lo pensiamo e mi piace credere che forse un giorno, non so sotto quale forma, il nostro progetto possa riprendere a marciare.