Su sindagu de Furaiadu*
1 Febbraio 2010Joan Oliva
E’ un racconto scritto nel 1999 (sono passati oltre 10 anni); per divertimento (quasi una rivincita “umorale”) con lo scopo di superare la tristezza che faceva seguito ad una cocente sconfitta politica locale. E’ quindi una sorta di zuccherino per addolcire l’amarezza di quei giorni, una endomorfina prodotta per lenire la sofferenza. Il racconto è fantastico ma gli spunti sono tutti rigorosamente tratti dalla realtà Poche le libertà prese. Solo qualche opportuna esagerazione.
A voi compagni, prendetelo per quello che è.
Dove si narra di un mostruoso buco nel bilancio di un minuscolo comune della Sardegna. Con fantastiche conseguenze planetarie.
Il neo-eletto sindaco di Furaiadu, in occasione delle sue dichiarazioni programmatiche, davanti al consiglio comunale e ad un folto pubblico, dopo la lettura di un lungo discorso un po’ scontato, aveva voluto concludere con delle parole ad effetto: “Non so a quanto ammonti l’appannaggio del sindaco, ma vi prometto che, detratte le spese, devolverò il resto ai poveri del paese”.
Un’ovazione aveva salutato quell’annuncio. Solo entusiastici applausi, se si esclude il commento a voce alta del sindaco uscente, un testardo comunista-ambientalista-identitario, sconfitto dopo una accesa campagna elettorale, il quale aveva ammonito “L’elemosina si fa in silenzio. Non sappia la sinistra ciò che fa la destra”.
Dopo qualche giorno i poveri iniziarono a bussare alla porta del loro nuovo e generosissimo sindaco. Quello, serio e rassicurante, dapprima aveva iniziato a prendere diligentemente appunti e a chiedere a tutti di pazientare un po’. Ma col passare dei giorni il numero dei questuanti, anziché diminuire, cresceva e il buon primo cittadino, contrariato dall’insistenza di quanti volevano vedere subito materializzarsi l’elemosina annunciata, iniziò a pensare che quell’assedio fosse il frutto di una manovra del suo avversario politico. Si convinse che era proprio quello lì, lo sconfitto, che, per dispetto, gli spediva a casa tutti i poveri del paese.
“Chi vi ha detto di venire qui?” iniziò a chiedere a quelli che lo fermavano all’uscita di casa. E tagliava corto: “No. Non ho soldi da darvi”. Non ci sono più soldi nelle casse del comune , li ha spesi tutti Lui”
La voce si sparse in un baleno.
“Le casse del comune sono vuote!”.
“C’è un buco di centinaia di milioni di lire.”
“Forse non si potranno pagare neppure gli stipendi dei dipendenti comunali ”
“E quindi neanche l’appannaggio al sindaco?” Si chiedevano allarmati i poveri.
“I vecchi amministratori hanno lasciato i conti in rosso. Spese pazze dell’ultima ora.” dichiarò alla stampa un consigliere della nuova maggioranza che conosceva bene le questioni del bilancio perché aveva studiato ragioneria. “Quel bastardo si ha mangiato tutto” semplificava qualcun altro.
“Stiamo cercando di capire cosa è successo. C’è una situazione preoccupante: non abbiamo liquidità di cassa. Abbiamo ereditato un debito di oltre tre miliardi che in pochi giorni sono diventati sette” riferì dettagliatamente ai giornali il neo-sindaco.
Che cosa era successo? In paese si parlava di centinaia di milioni spesi al bar per le colazioni degli archeologi, ospitati dal sindaco uscente per scavi nell’antico quartiere ebraico, che avevano portato alla luce solo frammenti di terraglie antiche, anziché il tesoro di cui da secoli si favoleggiava; di bollette astronomiche per i consumi di energia elettrica degli zingari, che per anni avevano lasciato le lampadine accese anche di giorno; di conti ancora da saldare per viaggi in Spagna dove, qualcuno era disposto anche a giurarlo, quello lì possedeva residenze di lusso e correva dietro alle gonnelle di innumerevoli amanti.
Ma quelle spese per quanto capricciose ed eccessive non bastavano a spiegare la situazione catastrofica del bilancio. Un mistero.
Qualcuno, evidentemente a corto di conoscenze di economia, collegava la notizia che il comune non aveva più liquidità con le tante perdite della trascuratissima rete idrica cittadina. Ed in effetti sembrava si trattasse d’acqua. Le perdite di bilancio non accennavano a diminuire. Una vera e propria falla intamponabile nelle casse del comune. Quelli che all’inizio erano rivoli di centinaia di milioni si trasformarono ben presto in fiumane di miliardi.
A niente servì il primo importante atto amministrativo dei nuovi governanti che consistette nel cambiare tutte le serrature del Palazzo Comunale, come aveva suggerito il saggio e premuroso segretario.
Il deficit rilevato cresceva di giorno in giorno.
I giornali che davano notizia dell’impressionante escalation si prendevano la giusta libertà di ritoccare ogni volta la cifra maggiorandola un po’, per non essere superati dai fogli concorrenti. Nessuno veniva smentito dall’altro.
Il solito consigliere-ragioniere, in altri tempi noto solo per i suoi motti di spirito, rilasciava dichiarazioni piene di spiegazioni tecniche su “residui passivi e residui attivi”, “debiti certi e crediti presunti”, concludendo con un appello minaccioso contro il sindaco uscente e i suoi amici scialacquoni: “Io dico che questa volta non va onorata la continuità amministrativa. Se li paghino loro i debiti del comune”. Dopo le sue dichiarazioni i debiti avevano superato i ventuno miliardi di lire.
E da quel giorno in molti non riuscirono più a dormire sonni tranquilli…
Raggiunta quota centoquindici miliardi, il dato iniziò a comparire sui terminali del Ministero del Tesoro a Roma e una lucina rossa intermittente avvertì solerti funzionari della situazione anomala per i conti pubblici.
“In un piccolo comune della Sardegna c’è una perdita che si aggrava di ora in ora. Occorre intervenire” Così fu comunicato al Ministro che immediatamente nominò una commissione di tecnici: Massimo Broglio, Paolo Guarino e Marco Manca (in verità i loro nomi significano qualcosa solo per la ristrettissima cerchia degli addetti ai lavori).
Furono fatti molti e approfonditi controlli, letti e riletti i libri contabili e le relazioni di accompagnamento, rovistati anche i fondi dei cassetti delle scrivanie degli uffici comunali. Risultò tutto in regola: bilancio redatto da competenti funzionari comunali, certificato da onesti revisori dei conti, deliberato dal consiglio comunale.
Quanto emerso dalle meticolose indagini ministeriali non tranquillizzò però nessuno.
Incredibili quantità di soldi continuavano a sparire, fagocitate dal nulla.
Ma allora dove si nascondeva quel buco? E perché si allargava di ora in ora. Il mistero si infittiva. Erano passate solo due settimane da quando si era iniziato a manifestare l’inquietante fenomeno e già si parlava di centinaia di miliardi di lire svaniti nel nulla. Vennero i contraccolpi in borsa e presto il debito raggiunse le dimensioni di una finanziaria. Migliaia di miliardi. Apparve allora a tutti gli esperti di economia una minaccia per lo stesso bilancio nazionale.
Un attonito rappresentante del governo, appassionato di astrofisica, azzardò l’ipotesi di un buco nero. Secondo lui si trattava di vera e propria “antimateria economica”.
Un vecchio anarchico, intervistato dalla televisione, salutava invece entusiasta l’apparizione di quella misteriosa forza superiore che evidentemente aveva in odio il potente dio mammone e veniva in aiuto al movimento di liberazione del genere umano.
La voragine cresceva ormai di momento in momento e il naufragio dell’economia italiana fu di lì a poco inevitabile. Inutile qualsiasi tentativo di salvarla.
Autorevoli esponenti della Banca Centrale Europea rilasciavano dichiarazioni che ammettevano il profondo sconcerto “Facciamo ciò che possiamo, ma quello che possiamo fare non è molto”. “Non ci resta che pregare”.
I governi dei paesi dell’Unione Europea, già allertati, pensarono a quel punto di staccarsi unilateralmente dall’Italia per non essere coinvolti nel disastroso affondamento.
Troppo tardi. Tutto avvenne così repentinamente che nel giro di poche ore non solo le risorse finanziarie europee ma anche quelle mondiali vennero risucchiate nel mostruoso gorgo. Quando il Fondo Monetario Internazionale cercò di attuare una manovra estrema (nascondere nelle tasche dei poveri i pochi soldi rimasti), anche l’ultima monetina era già scomparsa dalla faccia della terra. Compreso il primo cent di Paperon de Paperoni.
L’ipotesi del buco nero aveva convinto anche gli scienziati della NASA, i vertici del Pentagono e i membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ma fu proprio la rapidità della fine completa dell’economia monetaria mondiale che salvò il piccolo centro della Sardegna, dove tutto aveva avuto inizio, da un bombardamento atomico “intelligente” deciso dall’Assemblea Plenaria delle Nazioni Unite (con il voto favorevole di tutti i governi della terra e la sola astensione di Cuba) per tentare di neutralizzare il cuore dell’antimateria economica.
Il sindaco di Furaiadu intanto poteva finalmente riprendere ad uscire tranquillo di casa. I questuanti erano spariti.
Per qualche tempo il mondo intero ritornò alle forme più svariate di economia primitiva, non senza occasioni di divertimento. Da un giovane economista del Bangladesh venne allora un’idea infantile e allo stesso tempo geniale: ricostruire il sistema monetario internazionale come se fosse un gioco, liberandolo da tutti i cavilli ragionieristici, senza dare troppa importanza al possesso e all’accumulazione. Avrebbe vinto chi avesse saputo spendere intelligentemente a favore dell’umanità. Per farla breve, tutto era ammesso, spendere e spandere, soldi propri o presi in prestito, anche a chi non disponeva di garanzie; importante era avere qualche buona idea. Così avvenne, con ampi benefici per tutti.
Il comune di Furaiadu, forse per timore scaramantico, fu escluso dal gioco e per molti anni ancora i suoi abitanti furono costretti all’economia del baratto. I più intraprendenti si arrangiavano scambiando conchiglie e sassolini levigati dal mare, tappi a corona e pattane di pneumatici, schede telefoniche usate, terreni fabbricabili e concessioni edilizie, pagine di erbari con foglie e fiori secchi. E naturalmente collane di corallo. Tante collanine di corallo.
*Furaiadu è un piccolo paese costiero della Sardegna, introvabile sulle carte geografiche, ma orgoglioso di esibire nelle innumerevoli botteghe che si aprono nelle viuzze accanto al vecchio porto, il più vasto assortimento di collane di corallo al mondo.
Molti degli avvenimenti narrati sono realmente accaduti, a Furaiadu o altrove. Se ne può trovare traccia nelle cronache locali e sui giornali nazionali degli ultimi tempi.
Le dichiarazioni delle autorità della Banca Centrale Europea, sono state riportate fedelmente, alla lettera, così come pubblicate su Le Monde Diplomatique, di qualche mese fa (annata 1999).
L’economista del Bangladesh, di cui si parla nel racconto, esiste veramente, anche se sembra un personaggio fantastico. O forse lo è davvero.