NoArte. Uno sguardo in cerca d’uomo
1 Dicembre 2007
Antonio Mannu
“Cos’é la vita senza l’amore?”. La domanda la pone Pietro durante l’inaugurazione della mostra fotografica NoArte, Adelante, sabato 24 novembre a Villanova Monteleone, Su Palatu e sas Iscolas. Pietro, berretto rosso, auricolari, lo sguardo innocente, ha rivolto la domanda direttamente a Pinuccio Sciola, scultore e direttore artistico di NoArte, l’ appuntamento annuale che San Sperate dedica ad ambiti creativi diversi, dal teatro alla danza, dalla musica alla fotografia. Una parte della sezione fotografica dell’ultima edizione della rassegna costituisce l’ultima proposta di Su Palatu, la struttura espositiva di Villanova Monteleone dedicata alla fotografia. NoArte, Adelante porta nel sassarese 6 mostre fotografiche diverse tra loro anche qualitativamente. NoArte, ci ha raccontato Sciola, nasce nel 2000 a Parigi, durante una sua visita al Louvre. Mentre attraversa le sale del museo Sciola pensa a San Sperate e ai compaesani, a quelli, tra loro, che mai potranno avere l’opportunità di visitare il museo parigino. Acquista allora tutte le diapositive disponibili sulle opere esposte al Louvre, poi va al Musée d’Orsay e fa lo stesso. Conclude le spese al Musée Picasso. Rientrato in Sardegna pensa di utilizzare le immagini per creare degli instant murales, e così fa, nonostante la resistenza di un dirigente comunale che sostiene di poter accedere, via internet, al portale del Louvre, per poi esplorarne, in santa pace, il contenuto. “Senza capire” dice Sciola “che lo scopo di quanto facciamo, lo scopo dell’arte, è la comunicazione, stare insieme.” Nasce così NoArte.: portando sui muri di un paese sardo i simulacri dell’ arte conclamata e certificata. E qui ritorna il senso della domanda di Pietro sull’amore. Senso che diventa forte quando si ascoltano le motivazioni che sembrano stare alla base dell’attenzione, per l’arte e la cultura, in chi amministra. Dice infatti durante la presentazione della mostra Antonio Paulis, sindaco di San Sperate, che considera le manifestazioni culturali principalmente come elemento di sviluppo economico. “San Sperate, in se, non offre granché; il lavoro di Pinuccio Sciola lo ha reso famoso nel mondo e di questa fama il paese si avvantaggia, è qualcosa che porta beneficio alle attività artigianali e al commercio locale”. Dice di considerare la cultura come una qualsiasi attività produttiva, che bisogna sfruttarla. Pietro, contento di trovare un poco di ascolto in questa occasione, ripete col suo sguardo smarrito la domanda delle domande, mutuata dal verso di una canzonetta: “cos’ é la vita senza l’amore?”. L’attenzione per la cultura e l’arte, per la fotografia, possono produrre benefici economici? Può accadere, e non c’ é nulla di male a tener conto di questo, quando si scommette sulla cultura anche come elemento di attrazione turistica. Ma se é un aspetto da tenere in considerazione non deve, non può, essere il principale. Perché, come diceva Sciola, e come sottende Pietro con la sua disperata domanda, il senso primo è parlarsi, dialogare, scontrarsi, amarsi, vivere, anche sognare, non fare crescere i flussi turistici o il consumo. Purtroppo questa sembra essere la ragione primaria delle attenzioni istituzionali alle iniziative, piccole o grandi, legate alla cultura: notti bianche capitoline o festival musicali isolani, eventi culturali di paese o grandi feste dedicate al cinema: reti a maglia fine il cui scopo è catturare l’attenzione di possibili visitatori, facendo in modo che mettano mano al portafoglio. A volte illudendosi che lo facciano, o raccontandolo senza che questo avvenga, per giustificare gli investimenti per la cultura che, non sia mai, non possono essere a fondo perduto. Ai tempi del mercato questo è normale. Ma Pietro insiste: “cos’é la vita senza l’amore?”. E cosa resta della fotografia se togliamo l’amore per l’uomo in chi guarda, in chi si serve di questo mezzo per parlare col mondo e con se stesso? Mario Dondero, fotografo del quale NoArte e Su Palatu propongono un lavoro del 2004 dal titolo Emergency in Afghanistan, ha scritto che: “Deve sempre rimanere chiaro che per me fotografare non è mai stato l’interesse principale. Ancora oggi non mi reputo un fotografo tout court. A me le foto interessano come collante delle relazioni umane, o come testimonianza delle situazioni. Non è che a me le persone interessino per fotografarle, mi interessano perché esistono…”. Con la sua mancanza di retorica e di teatralità Dondero è forse il più difficile da apprezzare per chi cerca l’eccezionalità, le emozioni forti, anche in fotografia, mentre lui dice pianamente d’amore e di rispetto. Dondero non sgomita per dire “ci sono anch’io, guarda come so guardare”, ma lascia spazio al mondo, al gesto quotidiano, alla mina assassina che sembra quasi un fiore, al lavoro di chi si occupa di aggiustarne i dolorosi frutti. Oltre al delicato contributo di Dondero, NoArte presenta un intenso reportage sui gitani ungheresi, realizzato a due mani da Judit Horváth e da suo marito György Stalter, ungheresi anch’essi. Titolo: Un altro mondo. Immagini forti, potenti, oniriche; forse, pensando al segno asciutto di Dondero, un poco sbilanciate verso la creazione di un’ atmosfera da altro mondo, appunto. Poi Danilo De Marco con Bambini, selezione di immagini raccolte in parti diverse del mondo, più precisamente in quelle parti del pianeta chiamate terzo mondo: volti tristissimi, diretti, poco manipolati; in quasi tutte le immagini lo sguardo è verso il fotografo, a volte si apre in un sorriso, a volte è pervaso da un timido stupore. Del lavoro di De Marco non ci hanno convinto le stampe, troppo scure e grigie, un’interpretazione legittima e certo consapevole, ma a nostro avviso fuori luogo dati i soggetti delle immagini, che la stampa cupa rende ancora più tristi, scuri e intirizziti. Del tedesco Bernd Arnold immagini da un vasto lavoro intitolato Power and Ritual: scatti tratti dalla documentazione di una celebrazione liturgica, immagini di politici tedeschi, tra i quali si riconoscono Kohl e Schroeder, un fotoreporter sdraiato per terra. Tagli compressi, soggetti senza testa o relegati in porzioni periferiche del fotogramma: l’assaggio di un lavoro forse interessante, ma che abbiamo trovato un poco freddo e cerebrale. Attila Kleb, altro ungherese, mostra un lavoro del 2005 sulla Birmania. Il suo sguardo non convince. Ritratti di bambini carpiti con il teleobiettivo, poca attenzione alla luce. Concludiamo con il lavoro di Gianluigi Colin, art director del Corriere della Sera, che si cimenta nella manipolazione di immagini altrui, un lavoro a cui da il titolo di I bambini di Roman. Sono immagini di bambini ebrei scattate dal grande fotografo ebreo russo Roman Vishniac, nato a Pavlovsk, nei pressi di San Pietroburgo, nel 1897, morto a New York il 22 gennaio 1990. Vishniac, che nel 1918 aveva lasciato la Russia per trasferirsi a Berlino, al principio degli anni 30, avuto sentore di quanto stava per accadere nella cristiana e civile Europa, cominciò un fondamentale lavoro fotografico, durato quattro anni, sulle comunità ebraiche europee. Venne poi pubblicato in un volume dal titolo A Vanished World (un mondo scomparso). Colin riproduce, in fotocopia, parti o totali delle immagini realizzate da Vishniac, per poi intervenire con colori e grafite, manipolando le immagini. Gli effetti che ottiene sono in alcuni casi interessanti, in altri più scontati, ma a nostro avviso c’è troppo Colin a coprire le immagini di Vishniac, che probabilmente non abbisognano di interventi “artistici”. La mostra, aperta sino al 27 di gennaio, può essere visitata tutti i giorni dalle 16 alle 20, tranne il lunedì. L’ingresso é gratuito. L’esposizione è organizzata in collaborazione con Noarte. Associazione culturale di San Sperate, il Comune di San Sperate, la Regione Autonoma della Sardegna, Palacomposita service integrato e la Soter editrice. Catalogo in mostra a cura della Soter editrice.
3 Dicembre 2007 alle 09:46
Armonica e fluttuante recensione di un momento di
comunicazione e espressione insieme, fotografico, efficace
davvero per chi è lontano e si sente vicino come in Terra di
Sardegna.