Cronaca di una giornata infernale: il crollo della sanità pubblica in Sardegna
16 Settembre 2017Amedeo Spagnuolo
Ultimo giorno di vacanze nel Nord Sardegna, nell’ultima settimana di luglio. Mia moglie, durante una passeggiata, inciampa in maniera maldestra su un marciapiede che le fa perdere l’equilibrio e le procura una rovinosa caduta con una brutta torsione del ginocchio.
Il giorno dopo, domenica, dobbiamo rientrare a Nuoro e quindi decidiamo che se il dolore persiste faremo fare un controllo al Pronto Soccorso del San Francesco. La mattina purtroppo non può nemmeno appoggiare il piede a terra per cui ci vediamo costretti a confermare ciò che avevamo pensato di fare la sera prima. Arrivati a Nuoro intorno alle 12.00, ci dirigiamo direttamente al Pronto Soccorso. La sala d’aspetto è piena zeppa. Io mi avvicino alla porta per l’accettazione, mentre aspetto vengo spintonato maleducatamente da un turista dall’accento settentrionale che inveisce contro uno dei due medici in servizio presso la struttura di Pronto Soccorso, si avete capito bene solo due medici in prima linea a fronteggiare un’emergenza che, vengo a sapere, in un secondo momento, si concretizza con la presenza di circa 150 persone bisognose di cure.
Tra queste ci sono non poche situazioni con codice rosso. Intanto il tonto turista settentrionale, ma avrebbe potuto essere di qualsiasi altra parte d’Italia e del mondo, i tonti si sa sono ovunque, continua ad alzare la voce, il medico a quel punto con gentilezza ma anche con molta fermezza incalza il turista suggerendogli di andare a protestare con chi è realmente responsabile di quello sfascio, non con chi sta cercando di lavorare nonostante l’emergenza sanitaria da conflitto bellico. Intanto, dopo circa due ore di attesa, ci chiamano per la visita ortopedica, una volta dentro però dobbiamo ancora aspettare.
Siamo tutti ammassati in una sala spettrale con una decina di lettighe affiancate l’una all’altra, occupate da malcapitati pazienti; tante persone in piedi appoggiate alle pareti, qualcuno più fortunato è riuscito a procurarsi una sedia sghemba sulla quale provare a sedersi. I due medici si alternano nella sala, uno molto giovane ma risoluto e deciso nei suoi interventi, l’altro, una donna forse vicina alla pensione ma che conserva intatta tutta la sua passione per quel “mestiere” di frontiera duro e senza orari. Il rumore di fondo è caratterizzato da lamenti sommessi, è il suono della sofferenza, quello che temo di più e che nonostante venga smorzato dalla dignità dei malati, mi trapana il cervello, è insopportabile.
Decido di prendere un po’ d’aria, esco dalla sala, per poco non vengo investito da una lettiga in corsa spinta da tre infermieri dallo sguardo affaticato e preoccupato. Per un attimo i miei occhi incrociano quelli del paziente, non riesco a reggere l’espressione di quegli occhi, un misto d’incredulità e di paura, si pensa a un infarto. Arriva il giovane medico, i tratti del viso sono tirati in una smorfia di fatica ma non ci fa caso continua a svolgere il suo lavoro con professionalità e serenità, ma è stravolto, si vede, quanto potrà reggere ancora? Intanto in me monta la rabbia, alle nostre spalle ancora un lamento, più sommesso degli altri, una vecchina di almeno novant’anni piange cercando di soffocare qualsiasi rumore. Mia moglie, su una sedia a rotelle che deve averne vista tanta di sofferenza, le si avvicina, la conosce, a Nuoro ci si conosce un po’ tutti, ci confida che è lì dalle otto della mattina, quasi sei ore in attesa con un forte dolore alla spalla conseguenza di una disgraziata caduta in casa.
Si avvicina la dottoressa, un incredibile sguardo dolce e rassicurante tenuto conto della pressione incredibile che il reparto sta subendo, ci dice che purtroppo dobbiamo aspettare ancora perché arrivano di continuo codici più impegnativi che hanno la precedenza, “certo”, rispondiamo noi “è giusto così”, non è giusto invece osservare la devastazione della sanità pubblica, non è giusto osservare i privilegi di politici, manager ecc., tutto questo sicuramente non è giusto. Mentre sono attraversato da questi pensieri scontati e banali ma purtroppo aderenti alla realtà nella quale le cosiddette “persone comuni” sono costrette a vivere, arriva un uomo sulla settantina, l’odore dell’alcol è forte, la camicia piena di sangue, il volto tumefatto, è stato picchiato, seguono la sua lettiga due carabinieri con una cartellina sotto braccio, anche loro si guardano intorno un po’ disorientati. Io e mia moglie siamo tentati di andare via, “domani è lunedì andremo da un ortopedico privato, pagheremo”.
Certo noi dobbiamo pagare, il cittadino comune, quando può, è costretto a pagare, pur sapendo che “la casta” gode di privilegi, anche sanitari, pagati da noi, ma questo è populismo becero, inutile concentrarsi su questo, i problemi sono altri! I nostri politici con una faccia di bronzo insopportabile, da qualche tempo, hanno preso l’abitudine di rispondere in questo modo alle osservazioni che gli vengono mosse. Certo non lo direbbero in un talk show, ma nel quotidiano, quando sono sicuri di non essere ripresi da qualche telecamera, sfoderano tutta la loro insopportabile arroganza. Alla fine riusciamo ad uscire da quell’inferno, mentre spingo la carrozzina di mia moglie, il mio pensiero va ai due medici e agli altrettanto pochi paramedici, vorrei tornare un attimo dentro e abbracciarli a uno a uno in segno di gratitudine e di solidarietà ovviamente non mi è possibile, mi rimane dentro tanta amarezza.
Come siamo arrivati a questo? A tal proposito sono illuminanti le parole di Claudia Zuncheddu portavoce della Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica: “Il crollo dell’assistenza sanitaria pubblica in Sardegna è sotto gli occhi di ogni cittadino, di ogni famiglia, di ogni medico e di tutto il personale paramedico che opera dentro e fuori le strutture ospedaliere nelle città e ancor più nei centri urbani periferici. Soffiano venti di privatizzazione e della fine della solidarietà dell’universalismo della grande Riforma sanitaria: la legge 833 del 1978. La legge di grande civiltà che ha saputo contemplare un’assistenza di qualità e gratuita per tutti, al di là della capacità contributiva di ogni cittadino.
16 Settembre 2017 alle 15:00
Eh, già… Tutti “loro”, quelli che hanno devastato la sanità pubblica, ignorano il dolore e la sofferenza dei comuni mortali…
Ormai vivono, volutamente e volontariamente, sulla luna, lontani dalla ” pazza folla”, dopo aver distrutto tutto: sanità, stato sociale, scuola…
Quanto viene raccontato nel tuo articolo trova conferma nei racconti di quotidiano orrore: dalle protesi con le mazzette ai posti in intramoenia a suon di bigliettoni!
Importante far sapere sempre, denunciare qualunque ingiustizia, con la speranza che qualcosa si muova!
17 Settembre 2017 alle 18:18
Collateralmente: Vi racconto che cosa significa l’accorpamento dei servizi sanitari dal punto di vista della medicina di base.Parlo della Danimarca e di una cittadina molto carina,luogo turistico e porto,dove il medico di base più vicino sta a 15 km,in un poliambulatorio, ben attrezzato.Il pronto soccorso funziona bene,ma per avere un consiglio e un parere su cose quotidiane che possono succedere a tutti,bisogna telefonare al poliambulatorio,fissare un appuntamento a seconda del codice che decidono lì senza vedere il paziente,e poi andarci o farsi trasportare.Medici a casa vengono nei casi estremi. Per qualsiasi cosa, il medico lo trovi o al succitato poliambulatorio o all’ospedale,30-60 km di distanza a seconda del caso da trattare.Tutti questi luoghi di accentramento dei servizi sanitari sono molto accoglienti,con speciale attenzione ai bambini.Ma.Sarebbe meglio meno cosidetta eccellenza e più dispersione suo territorio che garantirebbe un contatto più immediato col medico.La conseguenza più grave sul piano della mentalità media è quella di rivolgersi,in alternativa al dialogo col medico,a ciò che internet raccoglie e fornisce e che non è valutabile dal non specialista,ma che certe volte viene preso per oro colato e alimenta la autodiagnosi (vedi , per esempio, il caso mondiale delle campagne anti vaccinazione).
25 Settembre 2017 alle 13:15
Il crescente spreco di denaro pubblico nella Sanità, confermato anche nel 2016 dalla sezione della Corte dei Conti della Sardegna, è un fatto. Così come il proseguire dei malati che partono verso il Continente, dalla chirurgia oncologica alla radioterapia, e paradossalmente sui tumori resiste ancora il Businco e le oncologie universitarie, ma è sull’urgenza che si devono dare risposte, diminuiscono i pronto soccorsi a Cagliari che alle spalle devono avere le cliniche, e restano funzionanti quelli sparsi, con pochi Servizi specialistici, il che significa rinviare ai capoluoghi, caricando quel scarso personale di stress e rischio di errori.Un Consiglio Regionale che pensa a gratificarsi e non affronta con coraggio e serietà le criticità che persistono anche se negate, Areus che non esiste così come i suoi dirigenti sanitari,una informatizzazione precaria che non ha unificato le ASL con ATS e aziende quali AOB e AOU, la fretta del 2014 per riformare la Sanità sta arrivando al capolinea dove i Servizi vengono accorpati senza preoccuparsi che il trasferimento porta ad accentrare i pazienti in strutture non adeguate dal Nord al Sud