La Catalogna vista dalla Sardegna
1 Ottobre 2017Nadir Congiu
Sono ore di tensione, non solo in Catalogna, ma a ogni latitudine dove risiedono persone che credono nel valore fondamentale della democrazia. Il colpo è stato inflitto, il modo di operare degli stati ottocenteschi si è manifestato come (quasi) tutti si aspettavano. La Reazione ha agito, bestiale e senza scrupoli come sempre, come nelle sue abitudini. Lo Stato si è spogliato – forse più del solito direbbe qualche romantico – della veste democratica, liberale e moderna, per indossare la sua pelle naturale.
Distrutti con molto piacere i suoi stracci, manifestata la vera natura reprimente di quelli che in molti vedono come una fetta del “mondo libero” di Churchill (della quale ci è stata propinata una storia restaurata, accomodante, che nega tutte le barbarie perpetuate da questo signore, giusto per capire di che favolette stiamo parlando), si leva lo stupore degli spettatori, scontenti di assistere al vero volto degli ordinamenti nei quali vivono.
C’era da aspettarselo? C’era da pensare che uno stato come la Spagna, membro dell’Unione Europea (non pervenuta dicono) reprimesse la democrazia in questo modo? Bisognava guardare meglio ai meccanismi che regolano i movimenti storici in Europa? Forse si, intanto in Catalogna dalla storia, anche recente, hanno tratto la lezione che la concretezza risiede nell’azione. E che abbiano ragione lo dimostra la spropositata – ma non inaspettata – reazione violenta dello stato franchista spagnolo, con il pieno appoggio di alcuni dei membri più in vista delle sue istituzioni. La paura ha fatto breccia a Madrid e nel cuore di ogni comico legalista.
Intanto visto dalla Sardegna, questo evento storico, assume ulteriori significati. La battaglia portata avanti a Barcellona è sentita da tutti gli indipendentisti e i democratici sardi, mobilitando tanti che si sono recati nella capitale catalana e scuotendo gli animi di chi segue la lotta. Ed è la lotta stessa a scavare uno solco che deve dividere nettamente chi è a favore della repressione, i legalisti, gli oltranzisti della regola, i fascisti vecchi e nuovi dai democratici, progressisti e internazionalisti. Questo solco va seguito, va fatto risaltare ogni volta che è possibile farlo e bisogna farne una forte linea guida per l’indipendentismo sardo e in generale per le battaglie che la Sardegna affronta nella quotidianità del suo status di soggetto subalterno.
Che si dibatta e si discuta, ma che non si perda mai l’idea di una Sardegna inclusiva e aperta come la Catalogna sognata e creata dai catalani. Perché la paura di perdere questa idea di Sardegna, c’è ed è dietro l’angolo, in ogni parola che fuoriesce da chi professa libertà in nome di un dolore altrui, di chi alimenta razzismo e tensioni sociali. Perché dopotutto è il popolo il motore di una nazione, alle organizzazioni il compito di approfondire i temi, di rendere partecipi tutti escludendo chi è portatore del messaggio conservatore.
Essere ottimisti per il risultato altrui non è necessario, forse è perfino illusorio. Noi viviamo in condizioni diverse, i paragoni non reggono adeguatamente ora come ora. Eccitarci per una lotta altrui, senza dar seguito in loco alla nostra voglia di cambiamento non basta. L’ottimismo ci potrà galvanizzare un po’, ma alla lunga ci fa perdere di vista gli obiettivi, errore che non ci si può permettere in questa fase. L’ottimismo fa vedere soltanto quello che c’è, non quello che manca. La Sardegna versa in condizioni pessime, è amministrata da far schifo, per cosa dovremmo essere ottimisti?
Questo ovviamente non significa essere dei fatalisti che invocano il meteorite. C’è da lavorare duramente, ed è un lavoro enorme che va fatto in mezzo alle persone che abitano questo posto. Non in Catalogna, ma in Sardegna. Ispiriamoci magari, prendiamo spunto, copiamo pure, ma facciamolo entro i confini delle nostre necessità, delle impellenze che riguardano le scelte politiche in Sardegna.
Ho letto perfino che qualche italiano potrebbe essere ottimista perché la disconnessione catalana indebolirebbe la Spagna, favorendo l’Italia in un non meglio precisato scacchiere politico mediterraneo (!?). Difendiamoci da questi ragionamenti ottocenteschi di destra, perché non portano a niente di buono, soprattutto a noi che la (geo)politica la subiamo sulla nostra pelle ogni qualvolta un porto si riempie di mezzi militari, (vedasi Arbatax nei giorni scorsi) addirittura in assenza di referendum indipendentisti.
Impariamo anche a indignarci per noi stessi, per i colpi che subiamo. La repressione vista in Catalogna, con manganelli insanguinati e proiettili di gomma, non è un’esclusiva degli indipendentisti e democratici catalani. Picchiano pure noi, Sardi che osano manifestare contro le aziende che si arricchiscono facendo esplodere innocenti. Reprimono chi alza la testa contro le esercitazioni militari in una terra abbattuta. Ci colpiscono, con il complice silenzio di chi dovrebbe innanzitutto difendere il popolo sardo, nelle scuole, nelle università, nei luoghi di condivisione. Mica siamo esenti da questo trattamento, solo che troppo spesso immense fette di “democratici” della Sardegna sembrano non vedere quando il bastone colpisce vicino. Che siano distratti dalla carota?