Il vangelo secondo Mariani
17 Dicembre 2017[Graziano Pintori]
“La società non esiste: esistono gli individui, uomini, donne e famiglie”, con questa celebre frase la Thatcher nel 1987 annunciò la fine dello Stato Sociale in Inghilterra. Pose fine al sistema solidaristico garantito dallo Stato, che, fra l’altro, incoraggiava forti legami sociali fra gli stessi cittadini. L’intento del pensiero conservatore era quello di modellare uomini in competizione con altri uomini, ossia un individualismo senza regole e freni sociali tipici dei sistemi mercantili liberisti. Oggi, superare “la cruna dell’ago” per ottenere qualche diritto, a prescindere dalle capacità intellettuali e fisiche, significa individuare uno spiraglio di luce in una società sempre più escludente ed egoista. Non a caso milioni d’incolpevoli cittadini subiscono la condanna di vivere in condizioni di povertà da quando il lavoro non è più un diritto, ma un’occasione che nelle piazze, o chiamale call center, è offerta come qualsiasi merce del “prendere o lasciare”. Un metodo, anche questo, che trascina nel limbo dell’insicurezza buona parte del ceto medio. Tanto è che la mancanza o l’insufficienza reddituale e l’inefficacia del welfare nega a 18 milioni di italiani, tra poveri assoluti e a rischio povertà, la fruizione dei diritti fondamentali, quali sanità, istruzione, lavoro, casa ecc. In tempi come questi è abbastanza consueto che in molte famiglie figli e nipoti stiano peggio dei propri genitori e nonni, le due generazioni che conobbero il boom economico, fatto crescere il welfare e il PIL reale, adottato lo Statuto dei Lavoratori, art. 18 compreso ecc. Cioè le generazioni che fra i trenta e i trentacinque anni furono in grado di crearsi un programma di vita a 360°, mentre oggi gli stessi coetanei aspettano il fine mese, per attingere qualche spicciolo dalle pensioni dei genitori e nonni. Si tratta di uno smottamento economico sociale che ha creato nuove sacche di povertà e, di riflesso, senza banali e inutili generalizzazioni, l’inaridimento delle coscienze, della comprensione e della solidarietà. Valori che dovrebbero accomunare chi vive in condizioni di bisogno, invece, sempre più frequentemente, assistiamo a episodi con effetti e reazioni totalmente contrarie. Un tempo si diceva: ” Nessuno aiuta il povero meglio del povero”, oggi invece i tempi stanno cambiando in peggio, non a caso sono sempre meno rari episodi di sopraffazione, violenza, intolleranza che travolgono come un’onda anomala i senza dimora, i viandanti poveri, i senza patria e famiglia, ormai sinonimi di queruli invadenti, noiosi ed elemosinanti, cioè migranti, zingari, negri. Sono i diseredati del pianeta, ossia i bersagli preferiti da chi pratica ciecamente la violenza e sventola simboli di odio e di morte, memori di un passato in cui la regola dell’ordine costituito si basava sulla coercizione.
Già i poveri, i poveri tra i poveri che subiscono quello che sono, che iniziano a infastidire anche i preti, come se non bastassero gli altri intrisi di cultura xenofoba e razzista. Conseguentemente, c’è di che meravigliarsi se il Censis ha rilevato che il rancore è la caratteristica che cova nell’animo di tanti italiani? Che si diffonde tra reti e canali televisivi, alimentando irrefrenabili populismi e atti di violenza e intolleranza? In questo clima don Mariani, prete e sociologo, quando scriveva per redarguire i mendicanti sicuramente il vangelo l’aveva lasciato in sagrestia. Egli, come dichiarato, ha esposto un’analisi sociologica, i cui toni e parole rispondono a una visione della società più corrispondente alle tesi leghiste e alla destra in generale. Di certo non condivido l’analisi del sociologo Francesco Mariani.
Da laico e non credente, però, un consiglio lo voglio dare a Francesco, il prete: “Tenere il vangelo sempre a portata di mano come fa Francesco, il Papa, che se lo è portato appresso fino all’altro capo del mondo per confortare il popolo dei Rohingya”. I diseredati del pianeta, vittime dell’incomprensione, della violenza, dell’intolleranza, dell’egoismo, dell’individualismo e del fastidio che la loro povera esistenza arreca ad altri popoli.