Quarant’anni fa un golpe come in Cile
16 Marzo 2018[Ottavio Olita]
Quarant’anni fa, il 16 marzo, aveva inizio, con una strabiliante e totalmente incontrastata operazione militare, un golpe contro la democrazia italiana. Non un tentativo da operetta, come alcuni di quelli scoperti negli anni precedenti, ma uno vero, che raggiunse completamente il suo scopo: il rapimento a Roma, in via Fani, di Aldo Moro.
Cinque anni prima, l’11 settembre, un’altra operazione militare, anche quella incontrastata, che trovò il suo culmine nel bombardamento aereo del palazzo presidenziale, aveva portato alla morte Salvador Allende e la sua democrazia frutto della volontà popolare cilena. Lì lo strumento fu dato dai traditori capi dell’esercito, qui dalla collaudatissima macchina da guerra delle Brigate Rosse, sempre capace di colpire impunemente.
Le coperture e i segreti sostegni di cui godette quell’apparato militare si mostrarono in tutta la loro potenza non solo nell’agguato, ma anche, e soprattutto, durante la gestione dei 55 giorni di quel tragico rapimento: depistaggi, poliziotti che si fermarono davanti ad appartamenti trasformati in covi perché le porte erano chiuse, dirigenti politici che discettarono se affermare o no la ’fermezza dello Stato’ mentre la sorte di Moro era già stata segnata; e tanto altro.
Sì perché la coscienza democratica di Aldo Moro, che lo aveva portato a ragionare per il bene collettivo del popolo italiano, allargando il più possibile la capacità di incontro e di proposta, si scontrò violentemente innanzi tutto con gli interessi contrapposti delle due grandi potenze divise dalla cortina di ferro e che non potevano consentire il successo di quel progetto.
Agli Usa faceva paura che l’esperimento italiano potesse espandersi in molte altre aree del mondo occidentale, non solo in Europa. Così come avevano temuto potesse accadere in Cile rispetto a tutto il Sudamerica. L’Unione Sovietica vedeva come fumo negli occhi quell’Eurocomunismo che Berlinguer aveva avuto il coraggio di affermare proprio nella massima assise del PCUS a Mosca e che andava incontro alla strategia politica di Aldo Moro.
E le Brigate Rosse? Forse qualcuno di quei dirigenti lo capì e cercò di limitarne il condizionamento nella fase decisionale; altri nella loro miopia pensarono che comunque fosse opportuno utilizzare strumentalmente infiltrati, fiancheggiatori dei servizi, agenti segreti stranieri. L’illusione di mettere la firma sull’atto finale, parcheggiare la R4 rossa con il corpo di Moro a metà strada tra Piazza del Gesù e via delle Botteghe Oscure – dove avevano sede le direzioni di Dc e Pci –, gli si ritorse talmente contro da trasformarsi nel testamento della lotta armata.
Il golpe di quarant’anni fa uccise l’idea che il Paese fosse più importante delle singole parrocchie partitiche, idea che ha continuato a fare disastri, ad accentuare gli squilibri tra nord e sud, a precarizzare il lavoro come mai si sarebbe pensato allora, a ridurre drasticamente il welfare, a smantellare la scuola, a privatizzare sempre più la sanità.
Ma quale volontà c’è, oggi, perché si rifletta sulla ragione vera, politica, di quella terribile agonia? Ossessionati dai bilanci, dal fiscal compact, dai ‘doveri’ verso partner europei che hanno avuto la capacità di costruire benessere e lavoro per i loro giovani, ci arrabbattiammo solo sui tagli delle spese. Come se il Meridione, senza investimenti pubblici oculati, potesse mai risorgere, o come se l’eliminazione dell’articolo 18 avesse davvero rappresentato – come è stato ripetutamente sbandierato – la chiave per favorire nuova occupazione.
Se si continuerà a spacciare per ‘populismo’ il bisogno popolare di una nuova politica finiremo per far completare la parabola antidemocratica cominciata quarant’anni fa col Golpe Moro.
18 Marzo 2018 alle 20:20
Quel sequestro e omicidio venne eseguito per ordine dei governi di Gran Bretagna, Germania, Francia Usa. Vedi “il puzzle Moro”, di Giovanni Fasanella