Discriminazione di genere e di provenienza. Intervista a Poullette Stefano

16 Febbraio 2019
[Alessandra Liscia]

Poullette Stefano è nata in Perù e all’età di nove anni è venuta in Italia per ricongiungersi con la sua famiglia. Ho voluto porle qualche domanda non solo sulla sua esperienza in Ungheria in un centro per il rimpatrio, ma anche sulla parità di genere. Un doppio binario, quello della xenofobia e del maschilismo, che diviene unico nella discriminazione (di genere e di provenienza) in quanto spesso vede queste due problematiche muoversi di pari passo.

La politica anziché arginare questi gravi problemi e trovare soluzioni concrete, al contrario li alimenta con proposte di legge che vanno a penalizzare sia i diritti intoccabili degli esseri umani (come quello di potersi spostare da un paese all’altro per necessità umanitarie, come qualsiasi cittadino del mondo) che quelli conquistati soltanto di recente dalle donne.

Poullette ha accettato l’intervista da cui è nata una lunga e stimolante chiacchierata che l’ha portata a stilare delle valide -seppur ipotetiche e astratte- soluzioni.

L’intera storia di Poullette è stata pubblicata nell’articolo “Cittadinanza e interazioni”.

In Perù le donne sono discriminate rispetto agli uomini?

Direi di sì. Come accade nelle società prevalentemente maschiliste o addirittura che partono da una famiglia patriarcale e che quindi hanno quel tipo di cultura, le donne sono quel supporto, quel sostegno ai figli e ai mariti. L’uomo diventa invece l’asse portante della famiglia.
Basta vedere che in Perù c’è un alto tasso di uomini in politica e nel pubblico gli stipendi sono più alti nei confronti di professionisti maschi rispetto a quelli femminili.

C’è la violenza. Purtroppo, come in Italia, c’è un alto tasso di femminicidio.

Sono tutte piaghe sociali che ancora abbiamo nel nostro Paese.

Mi sento di dire che spesso sono le basi culturali quelle che mancano o comunque se ci sono, sono sbagliate perché non ci permettono di superare queste dinamiche e questo modo di vedere la donna come essere fragile, come figura capace soltanto di stare a casa, di procreare e di badare ai figli.”

Secondo te queste discriminazioni di genere sono più presenti in Italia o in Perù, oppure le condizioni sono simili?

Secondo me sono simili. L’aspetto diverso tra questi due paesi è che l’Italia è più sviluppata economicamente e da quel punto di vista ci sono magari famiglie che hanno potuto mandare i figli a scuola o a studiare fuori garantendo una maggiore formazione e una maggiore cultura. Sicuramente ci sono più famiglie che tengono alla parità dei sessi. Ma conosco tantissime famiglie peruviane, tra i quali anche alcuni miei parenti, che hanno una mentalità molto aperta e che di conseguenza pretendono la parità di genere. Facendo una piccola riflessione su queste figure femminili, posso dire che in realtà sono donne che si sono fatte da sole. Quindi spesso sono state seguite soltanto dalle madri e quindi si è creata quella forza femminile che secondo me è fondamentale per un cambiamento. La stessa cosa noto qui, in Italia. Se hai un’educazione familiare patriarcale e cresci nel tuo nido dove tuo padre porta a casa i soldi e tua madre ti culla fino ai venti, trent’anni, è probabile che tu crescerai con quell’imprinting. Quindi sarai una donna adulta che per forza deve mettere su famiglia, si deve sposare, deve soddisfare il suo uomo, deve pulire e cucinare in casa.”

Nel pezzo uscito il primo luglio 2017 su “il manifesto sardo” narri la tua esperienza nel centro di rimpatrio ungherese. Sebbene fossi piccola, ha influito in qualche modo essere una bambina (e dunque non un bambino)?

Da un certo punto di vista ha influito in modo favorevole perché io e mia cugina eravamo due minorenni e siamo state agevolate un paio di volte perché ci hanno portato fuori in giardino a giocare, al contrario di bambini rom presenti nel centro. Che sia stata una discriminazione di genere o razziale per provenienza etnica non ci è dato saperlo.”

Sei rimasta un mese nel centro di rimpatrio. Hai assistito a maltrattamenti su altre persone? Le donne come sono state trattate?

Non ho visto differenze di trattamento o discriminazioni di genere sulle altre donne perché ero bambina e se anche ci fossero stati, non li avrei compresi. Confrontandomi con mia cugina abbiamo capito che c’era sicuramente violenza psicologica per tutti. Quello che ho percepito è il sentimento di solidarietà tra i presenti, soprattutto tra le donne, che ricordo con affetto e riconoscenza, perché in questi casi è quello che ti salva dalla frustrazione mentale e dalla sensazione di sentirti perso, di provare paura. Sono situazioni in cui vince l’umanità. Mi ricordo che tra le donne si era creato un gruppo di mutuo ascolto e di supporto.”

Oggi sei una donna. Hai mai ricevuto molestie sul luogo di lavoro o nella vita privata?

In ambito lavorativo, in passato, ho ricevuto avance. Non parlo di molestie perché non lo erano, ma una ragazza di vent’anni circa, come ero io allora, si può sentire insicura. Un’esperienza di questo tipo a me ha creato delle insicurezze che mi hanno portato ad avere il dubbio sul perché io fossi lì. Mi ponevo domande come: “Ma io sono qui perché sono in gamba e perché me lo merito o perché il capo si aspetta qualcosa da me?”. Mi è capitato di pensare questo ed è stato molto frustrante perché in realtà ogni tipo di lavoro che ho fatto, l’ho svolto sempre con grandissima passione, mettendoci tutta la mia serietà, sia quando ho fatto la commessa, la cameriera ma anche quando mi sono occupata di immigrazione. Quindi sentirmi in qualche modo discriminata perché donna e magari abbastanza carina era molto avvilente. Ho fatto una lunga riflessione negli anni su questi punti e mi sono data una risposta: nel momento in cui mi sentirò molestata probabilmente chiuderò quella porta, essendo consapevole delle mie potenzialità e delle mie competenze, non dovendo così niente a nessuno. E se ero lì, probabilmente era perché me lo meritavo.

Anche nella vita privata non ho ricevuto molestie, ma mi rendo conto della poca empatia che certi uomini hanno. In discoteca è capitato di essere stata palpata e ho dovuto reagire. Anche di recente è capitato un episodio in cui non ho ricevuto molestie ma dei ragazzi hanno urtato la mia sensibilità. Sembra quasi che una donna non possa stare seduta in un tavolo da sola che viene subito importunata. In quel momento ho sentito in qualche modo che la mia voglia di star da sola fosse stata violata perché ero una donna, una donna sola che magari poteva piacere. Il problema è che hanno insistito, nonostante il mio ignorarli. La sensibilità maschile, certe volte, è assente. Mi è capitato anche in aereo. Non sono vere molestie, le intendo più come delle mancanze di rispetto perché sono una donna da sola. Ho viaggiato spesso da sola, in aereo o nei bus, ma ci sono quei ragazzi che non capiscono e che fraintendono. E’ un mio diritto stare da sola. Se fossi un uomo sono certa che non capiterebbero queste situazioni e non insisterebbero. In questi casi porto a casa un po’ di fastidio. E capita a tantissime persone. Secondo me è più una mancanza di rispetto, vista forse come una cosa innocua, senza valore. Però bisogna partire dalle piccole cose per dare valore anche all’essere donna e alla propria dimensione.”

La tua testimonianza è preziosa e significativa. Lanci un bellissimo messaggio che noi del manifesto sardo sosteniamo e condividiamo in toto: “L’immigrazione è un diritto dell’essere umano. L’integrazione è un dovere di entrambe le parti”. Cosa pensi riguardo la discriminazione femminile e secondo te come si può risolvere questa piaga becera e antica?

Partiamo dall’umanità. Nel senso che, così come gli esseri umani sono esseri umani al di là della propria provenienza, secondo me anche il genere dovrebbe essere quello umano e non donna/uomo.

Come combattere la disparità di genere? E’ un argomento talmente antico che ci portiamo avanti con tante lotte. Mi vengono in mente i movimenti di oggi, per esempio “Non una di meno” e i provvedimenti di legge, come il disegno di legge Pillon contrapposto al No Pillon. Quest’ultimo disegno di legge per esempio non tiene conto che la donna è la figura più svantaggiata perché intanto si fa nove mesi di gravidanza, poi c’è la maternità. Molto spesso le donne devono lasciare il posto di lavoro per poter badare al figlio o anzi, spesso lo perdono proprio perché licenziate in seguito alla gravidanza. In aggiunta il decreto prevederebbe che in qualche modo si paghi anche la mediazione per la separazione. Quindi in questo caso ci rende pari senza tuttavia tenere conto di tutto il resto. Si cerca una parità dove non è stata creata una parità dalla base. Ha senso se tu hai reso disponibile il congedo di “paternità”, per esempio. Perché anche io, donna, posso desiderare di voler rientrare al lavoro dopo la gravidanza per cercare di mantenere la mia carriera. Ci sono tante lotte in questo momento che vedono il mio appoggio. Al di là dell’argomento in sé che è molto complesso penso che si debba partire dalle basi e quindi dall’educazione a scuola, è la mentalità che deve cambiare. Le solite banalità che poi banalità non sono. Perché le bambine devono giocare solo con le bambole o vestirsi di rosa e il bambino di celeste e giocare con le macchinine o con il pallone? Partiamo quindi da questo, ossia anche dall’educazione familiare. Come per il razzismo: un bambino non nasce razzista, non nasce con la xenofobia inclusa nel suo DNA, ma è la famiglia che fa la differenza. Quindi l’educazione prima di tutto a scuola ma anche in casa. Apriamo le menti verso una parità di genere per una parità umana.

Vorrei aggiungere che secondo me una donna, per evitare certi tipi di discriminazioni, oltre ad essere solidale con le altre donne, che è fondamentale, deve innanzitutto imparare a volersi bene. Se una donna non rispetta se stessa, è probabile che certe persone se ne approfittino. Prima di tutto veniamo noi stesse in quanto donne, poi tutto il resto. Un uomo non ci salva, lui deve essere un compagno, un complemento e non deve rappresentare noi in quanto individui singoli e autonomi.”

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