Il razzismo del terzo millennio
1 Aprile 2019[Ottavio Olita]
“Oggi più che mai è urgente una bonifica delle parole: troppa retorica, troppa demagogia, troppo spaccio delle illusioni. Eppure le parole dovrebbero essere la via d’accesso alla verità, non uno strumento per manipolarla!”. Così scrive don Luigi Ciotti a pagina 32 del suo ‘Lettera a un razzista del terzo millennio’, un libricino di 78 pagine, edito dal Gruppo Abele, di formidabile semplicità, profondità, comprensibilità. Costa solo 6 (sei) euro e a mio giudizio dovrebbe entrare nelle case di ognuno di noi e nelle scuole perché la minaccia razzista sta diventando sempre più forte e pericolosa, anche per quanti credono di esserne immuni.
E la minaccia riguarda anche i più piccoli. “Quale cultura respirano i bambini che stanno crescendo in questi anni? Che parole ascoltano? Che cosa si forma nella loro testa quando vedono alunni della loro classe esclusi dalla mensa scolastica perché i genitori non sono in grado di pagare la retta, o che da un giorno all’altro non trovano più il compagno o la compagna di banco perché la sua famiglia è stata raggiunta da uno sfratto o spazzato via da uno sgombero?” (pag. 49).
Pensiamo a parole come ‘suprematista’ utilizzata in massa e spudoratamente per definire quell’australiano che in trasferta in Nuova Zelanda si è fatto massacratore di musulmani in preghiera. Perché inventarsi una nuova parola? Non sarebbe bastato razzista, o fascista, o nazista? O a quei conduttori di telegiornali che per introdurre le scellerate decisioni del ministro Salvini contro i migranti definiscono ‘parole chiare’ quelle utilizzate per negare i diritti previsti da un qualunque codice umanitario?
Come, ad esempio, ‘bloccare l’invasione’ in nome di ‘Prima gli italiani’. “Il secondo luogo comune che accompagna il racconto propagandistico dell’invasione è quello secondo cui i migranti sono dei privilegiati che vivono alle nostre spalle mentre, proprio perché in Italia aumenta la povertà, la priorità dovrebbe essere quella di ‘occuparsi degli italiani’ “(pag 32). Parole ingannevoli e false che hanno costruito solo consenso elettorale e fortuna politica. Per dimostrarlo don Ciotti mette a disposizione dei lettori cifre, valutazioni, dati, tutti tratti da fonti ufficiali. In particolare contro la ‘bufala’ dei 35 euro giornalieri dati a ogni emigrante, quando quella stessa cifra va (anzi, andava, perché da pochi mesi è stata ridotta a 20 euro) per il 90 per cento alle strutture italiane che si occupano di accoglienza.
E poi don Ciotti scrive (pag. 35): “Il rifiuto, i provvedimenti restrittivi, le espulsioni, i gesti di peggior razzismo non riguardano i migranti in quanto tali, ma i migranti poveri. Hai mai visto dimostrazioni per cacciare gli svizzeri, gli svedesi o gli statunitensi che vivono in Italia? O per rimandare nel loro Paese gli attori o i calciatori che si sono stabiliti nelle nostre città o i ricchi inglesi e americani che hanno acquistato ville e vigneti nelle campagne toscane e piemontesi? O proteste di piazza per dare il benservito agli amministratori di società multinazionali che si sono impadronite di nostre imprese (spesso per poi trasferirle altrove)? Ovviamente no”.
E da qui don Ciotti sviluppa l’analisi delle cause vere delle paure che attraversano la società e che si scaricano ingiustamente e scorrettamente sui migranti: “…a cominciare dalla fragilità di un sistema che non produce lavoro, che priva i giovani del futuro, che degrada i diritti a privilegi e genera, per questo, ingiustizie e preoccupazioni” (pag.40). Come in un passato, neppure tanto lontano, accadde agli emigrati italiani in Svizzera, Francia, Stati Uniti. Qui, addirittura, un giornale scientifico la North American Review, scrisse, nel 1922: “Non abbiamo spazio in questo Paese per ‘l’uomo con la zappa’, sporco della terra e che scava guidato da una mente minimamente superiore a quella del bue, di cui è fratello (…). Dobbiamo opporci agli arrivi dall’Italia, con il 63,4 per cento di immigrati catalogabili al gradino più basso della scala” (pag. 47).
Sconfiggere le paure, frutto di ignoranza, che “…costruiscono muri, anche se i muri, come le armi, non attenuano (le paure, ndr) ma le ingigantiscono. E quando dico ‘muri’ intendo tutto quello che ostacola, impedisce il passaggio: muri veri e propri, ma anche fili spinati, eserciti e polizie schierate, porti chiusi, frontiere blindate. Realtà che si moltiplicano: in Italia, in Europa, negli Stati Uniti. Solo i Paesi poveri sembrano esserne esenti, eppure la maggior parte delle migrazioni è interna all’Africa e all’Asia” (pag 50).
“Ai muri esterni si affiancano quelli interni tesi a rendere difficile la via dei migranti più precari, a cominciare dai richiedenti asilo (…). In questo contesto si assiste alla chiusura o allo smantellamento di alcune delle esperienze di accoglienza più significative anche in termini di convivenza tra migranti e popolazione locale. Ricordo per tutte quella di Riace su cui si sono concentrate iniziative amministrative e giudiziarie che sono andate ben oltre il doveroso controllo di legalità e correttezza amministrativa e che hanno prodotto, nei fatti, l’interruzione di un modello di accoglienza che aveva generato lavoro e sicurezza e costruito la ricchezza sociale e umana di una comunità” (pag.51).
Un buona accoglienza produce effetti positivi, dunque, un possibile modello per “…ricostruire una civiltà che vive una profonda crisi di umanità e di speranza, una società corrosa dal cinismo e dall’indifferenza, lacerata dal rancore e paralizzata dalle paure” (pag. 61).
Il messaggio di don Cotti è chiaro e lungimirante, così come lucido e profetico era stato l’allarme lanciato da Papa Francesco con l’enciclica ‘Laudato sì’. Tra migrazioni e crisi ambientale c’è una stretta correlazione, così come quella esistente tra indifferenza, ignoranza e risorgente razzismo. La ‘Lettera’ di don Ciotti, rivolta a ‘un razzista’, va ben oltre e fa appello a tutti noi perché non restiamo, opportunisticamente, a bocca chiusa. Non a caso la citazione finale è tratta da quel che diceva don Tonino Bello: ”Delle parole dette mi chiederà conto la storia, ma del silenzio con cui ho mancato di difendere i deboli dovrò rendere conto a Dio”.