Ricordando Michelangelo Pira
16 Luglio 2019[Francesco Casula]
Oggi Sabato 20 luglio, in un convegno organizzato a Quartu Sant’Elena (ore 19.00, Dom’ ‘e Farra) verrà ricordato (e onorato) Michelangelo Pira. Io, nel mio intervento, lo ricorderò così.
Illustre antropologo, scrittore e studioso della lingua sarda, Michelangelo Pira ha lasciato il segno nell’intera cultura sarda. Soprattutto con l’opera monumentale “La rivolta dell’oggetto”, andata in stampa nel 1978, due anni prima della sua morte, dove affronta il problema dell’identità attraverso il ribaltamento del rapporto di dipendenza della cultura sarda.
Considerata la sua opera principale, con essa l’intellettuale bittese offre un contributo determinante per comprendere le dinamiche culturali operanti nell’Isola tra gli anni cinquanta-ottanta.
La Rivolta dell’oggetto, possiamo definirlo una vera e propria summa di tutto il lavoro svolto dall’antropologo di Bitti, soprattutto durante la sua attività universitaria ma anche negli anni precedenti.
“Questo libro – è lo stesso studioso a scriverlo nella premessa – è dettato dal bisogno, anche personale, di mettere ordine con strumenti critici (segnatamente quelli forniti dalla linguistica, dalla semiotica o semiologia, dall’antropologia culturale e nel complesso dal materialismo storico) negli effetti contraddittori di un’esperienza incominciata una quarantina d’anni fa nella scuola elementare di un paese della Barbagia, quando un bambino si sentì dire che il suo nome e il suo cognome non erano quelli che credeva di sapere fin dalla nascita e con i quali fino a quel momento era stato «chiamato» da tutti, riconosciuto e istituito come soggetto, ma erano altri, nei quali si sentì trattare come un alunno-oggetto e nei quali faticò non poco a riconoscersi, a re-istituirsi come soggetto”.
Quel bambino, – che poi è lo scrittore stesso – che per tutti era sempre stato fino ad allora, Mialinu de Crapinu: per la famiglia come per la comunità ma soprattutto per se stesso, a scuola, nella scuola “ufficiale”, dello Stato, si sente nominare Pira Michelangelo. Di qui la lacerazione e la mutilazione culturale prodotta dalla negazione della sua identità, specie linguistica “Ora che a subire la lacerazione e la mutilazione culturale e ad averne coscienza non sono più soltanto pochi intellettuali, – scrive ancora Pira nella premessa – ma sono grandi masse popolari, di uomini e donne costretti a migrazioni bibliche e a riciclaggi dolorosi e alienanti, quel progetto si sviluppa in programma di rivolta: è già una rivolta”.
Scriverà a proposito de “La Rivolta dell’oggetto” Gaspare Barbiellini Amidei “In pagine documentate, ora appassionanti, ora dotte, in ricostruzioni che si arricchiscono di molti validi contributi della scienza socioantropologica e in particolare di chi ha scritto sulla Sardegna, questo libro ci dice che non si tratta di scegliere fra una lingua e un dialetto, fra una cultura nazionale e una cultura periferica, fra una economia veteroagricola e uno sviluppo industriale avanzato, si tratta di riconoscere la sua intera dignità, e le sue coordinate logiche a un modo di partecipare a una lingua, a una cultura, a una economia, a uno sviluppo, a una crescita sociale che è poi di tutto il paese.
Pira ci aiuta a intendere questo modo, decifrando non soltanto lo specifico sardo, ma all’opposto anche lo specifico, ottusamente etnocentrico e capitalistico, con il quale dal di fuori si è violentato lo specifico sardo e si è impedito e si impedisce alla Sardegna di svilupparsi non alternativamente ma autonomamente, nel senso di conservare dentro il comune sviluppo nazionale una propria identità”.
In un passo celebre dell’opera, Un’Identità in divenire Pira descrive in modo analitico il drammatico conflitto fra la lingua italiana e la lingua materna. L’incontro di due culture, una forte e “armata” e l’altra debole si traduce – secondo l’autore – in uno scontro che in ultima analisi è scontro di politiche e di interessi opposti. Di qui l’attenzione ai problemi politici dell’uso delle due lingue in Sardegna “Il presidente della regione, (per dire le istituzioni e le organizzazioni politiche sarde autonomiste) ha l’obbligo di essere compiutamente bilingue” e all’importanza dei problemi dell’identità culturale “che non sono meno importanti di quelli dello sviluppo economico”.
Un’economia e una cultura esterne, non mediate attivamente dalla popolazione locale finiscono per assumere i caratteri del dominio neocoloniale e favoriscono comunque il formarsi di un apparato che esercita tecniche, pratiche e ideologiche egemoniche.
Secondo Pira c’è dunque la necessità di una traduzione integrale della cultura subalterna sarda nella cultura egemone. Ma tradurre integralmente presuppone la conoscenza di entrambi i piani delle due culture e delle due lingue: la salvaguardia infatti dei valori tradizionali dei codici di comportamento, dei mezzi espressivi e linguistici doveva essere finalizzata non alla rivolta contro la nuova cultura ma al suo impossessamento, al padroneggiamento dei nuovi mezzi di comunicazione, compresi i “media elettrici”. Il problema dunque non era se entrare nell’epoca moderna ma come entrarci.
L’analisi – suffragata spesso da dotte citazioni – dell’incontro-scontro fra cultura sarda e culture esterne è condotta senza toni lagnosi e senza rancori: ma non si tratta di un’analisi asettica, come se volesse prendere in esame i sardi e la loro cultura disponendoli come un cadavere da sezionare sopra un freddo tavolo di marmo. Essa è infatti sostenuta da una coscienza e conoscenza scientifica e pragmatica ma insieme profetica e poetica: di qui l’abbondante ricorso certo alla antropologia, alla psicologia e alla linguistica ma anche alla letteratura e all’arte; di qui il linguaggio caldo e creativo con lacerti in lingua sarda.
In conclusione, il senso e il significato di “La rivolta dell’oggetto” a me pare questo: nell’urto oppositivo di poteri e modelli culturali, la Sardegna esce perdente, viene “reificata”, cioè fatta oggetto, in quanta privata della sua specificità. Prendendo però coscienza della “reificazione” subita nello scontro con culture forti ed egemoni, può e deve operare un “rovesciamento”, rivoltandosi e ridiventando soggetto, padrone della propria identità e della propria storia.