Unità a sinistra. Dibattito
16 Dicembre 2007La sinistra e l’arcobaleno
Vincenzo Pillai
Un giudizio sul PD
Elio Pillai
Sempre sul PD
Marco Ligas
Cosa rossa e statutaria
Andrea Pubusa
La sinistra e l’arcobaleno
Vincenzo Pillai
8 dicembre 2007 (intervento agli stati generali)
Nei testi che ci sono stati consegnati e negli interventi che si sono svolti fino ad ora non ho trovato un adeguato riferimento alla relazione che intercorre fra potere e lingua; su come il dominante , sia esso nazione o classe, usa la propria lingua per rafforzare ed estendere il dominio. Proverò, nei cinque minuti assegnati, a richiamare almeno un aspetto del problema.
Di recente è emersa in alcuni studiosi la preoccupazione che l’italiano possa subire, con l’uso sempre più diffuso dell’anglo-americano, una progressiva e nefasta decadenza.
Qui non si fa ovviamente riferimento ai problemi che stanno a cuore ai cultori della Crusca, perché penso che una lingua viva debba realizzare uno scambio continuo con le altre lingue, ma a quel processo che accompagna, sul piano linguistico, il grande modello che abbiamo definito come società unidimensionale. E’ indubbio che una lingua come quella italiana, per la vastità delle opere prodotte , la ricchezza della sua struttura e la sua stessa capacità di inglobare novità che rispondono all’esigenza della vita reale, non corre rischi dall’oggi al domani, ma la preoccupazione di cui dicevo mi aiuta a sottolineare come molte delle lingue dei vinti siano state distrutte dai vincitori. E’ lontano il giorno in cui non si insegnerà più l’italiano nelle nostre scuole perché l’inglese ( o altro ? ) sarà la lingua dominante; molto più lontano ( ?!) dei cento anni che lo stato italiano ha usato per rendere moribonda la lingua sarda, per impedire lo sviluppo di un processo che portasse dalle varietà locali ad una koinè in grado di misurarsi, arricchirsi con il processo delle scienze e delle tecnologie ?
E’ stato sufficiente impedirne l’insegnamento a scuola , un insegnamento comparato con la lingua italiana; è stato sufficiente far introiettare ad ogni sardo , fin dall’infanzia, che la lingua dei suoi genitori non serviva per migliorare le proprie condizioni di vita. E tutti sappiamo cosa significa il taglio della lingua per un popolo : come per un bambino, è un trauma che pesa sulla sviluppo della sua personalità, della sua cultura , della stima di sé. Così i sardi non sono quasi mai riusciti ad essere nazione in sé e per sé, ma carne da macello sul Carso, banditi nei boschi delle Barbagie, borghesia compradora nelle città:
Ci sono voluti 60 anni dopo la Liberazione perché una Legge Regionale potesse definire, anche se in modo ancora del tutto insufficiente, l’insegnamento del sardo nelle scuole e le università potessero accettare tesi di laurea in sardo.
Forse è troppo tardi per avviare un processo attivo di koinè, ma il risveglio di una voglia di identità che si sta manifestando da alcuni anni in molti settori dell’arte e anche nella politica potrebbe fare il miracolo di conservarci come lingua attiva, e non folclore da riserva indiana, questa importante “ biodiversità”. Non è un risultato acquisito e ne parlo qui perché nel passato anche la sinistra tradizionale, sulla cui cultura ha pesato più la politica di Togliatti che non l’elaborazione di Gramsci, ha guardato al processo risorgimentale e anche a quello post fascista come esaltazione dell’unità della patria cui si potevano sacrificare i valori delle diversità, in tutti i campi.
Oggi, qui, noi avviamo un processo che vuole, invece, avere nell’ascolto, nella ricerca della condivisione, nell’attenzione al diverso, nella difesa di tutte le biodiversità, un punto cardine per la costruzione di una piattaforma politica che ci permetta di avere un programma e forme di lotta e di comunicazione all’altezza dei tempi, senza nulla perdere delle nostre radici, di ciò che gli errori commessi ci hanno insegnato.
Penso che per i Sardi, come nazione che non si è fatta stato, non serva oggi guardare al federalismo prerisorgimentale, ad una Italia sempre meno stato e più mercato, ma alle nazioni del Mediterraneo, come continente unico con radici comuni di culture e lingue che possono convivere e dare, come nel passato, un immenso contributo alla civiltà di uomini e donne che vogliano vivere in pace, liberi da ogni forma di sfruttamento .
Mentre vi parlo i compagni rimasti in Sardegna stanno manifestando, insieme ai rappresentanti dei movimenti dei migranti, contro il summit che si sta svolgendo a Cagliari di dieci ministri della difesa che discutono sì di emigrazione, ma per costruire nel Mediterraneo un muro di navi pattugliatrici, insormontabile dai i fragili vascelli dei disperati della terra.
Un giudizio sul PD
Elio Pillai
21 dicembre 2007
Caro Marco,
tu sei stato il principale estensore di questo documento/lettera,che io speravo di poter condividere.
Questo documento si rivolge ai nostri partiti e anche a quanti non si riconoscono nei 4 partiti (prc.pdci verdi,sinistra democratica) ma si riconoscono in questo processo di aggregazione della sinitra”radicale”, con l’obiettivo di stimolare una dibattito che si è aperto con l’evento politico dell’8 e 9 dicembre a Roma.
Dopo vari tentivi di limarlo un po’ da una parte e un po’ dall’altra si è finito per limarlo solo da una parte togliendo,a mio avviso, il senso politico che stava alla base della nostra discussione.
Infatti dal secondo capoverso del documento è stato cancellato questo passaggio:”Nello stesso tempo registriamo che le scelte politiche del Nuovo Partito democratico lo allontanano sempre di più dall’ispirazione della Costituzione Repubblicana.Questo partito non solo accetta le alleanze negli organismi internazionali in ruolo di subalternita’ sottovalutando persino il principio della sovranita nazionale,ma subisce il primato dell’impresa nei confronti del lavoro,non difende i valori della laicita’ dello stato e non preserva il paese dai pericoli di un disastro ambientale.”
A me sembrava chiaro che l’accelarazione della costituzione del Partito Democratico e la costituzione del nuovo partito di Berlusconi ha chiuso una fase politica perché entrambi stanno riddisegnando l’intero sistema politico.Queste sono le ragioni che ha costretto la cosidetta sinistra “radicale” a diventare “sinistra arcobaleno” avviando velocemente un processo di ri-costruzione della sinistra in Italia.Non ci sfuggono tutte le difficolta che sono dentro questo processo e infatti molte le denunciamo in questo documento.Non possiamo,pero’, prescindere dal fare un’analisi critica sui mutamenti avvenuti nel PCI,PDS,DS per approdare infine nel nuovo Partito Democratico.Da questi fatti la SINISTRA ARCOBALENO è incalzata a ri-costriure una sinistra di classe anticapitalistica,che lavora per la pace senza se e senza ma;che mette il lavoro,l’ambiente e la laicita’ al centro della propria politica.Per questo vogliamo discuttere anche dei rapporti interni,dei nostri comportamenti,della democrazia interna e quando serve , anche della questione morale CHE, qualche volta, tocca anche noi.
Se non fosse cosi’,che senzo avrebbe ri-costriure una sinistra di classe , recuperando valori che si vanno perdendo? Sarebbe sufficiente diventare la sinistra interna del Partito Democratico magari impegnandoci a spostare un po piu’ al centro l’asse della sua politica.Ho partecipato a quasi tutti i dibattiti,ma non all’ultimo dove è stato tolto il capoverso”incriminato” .Perche’?..qual’è la motivazione vera?.. L’analisi del Partito Democratico che viera contenuta era troppo dura?..ma non l’avevamo fatta a ragion veduta, in presenza di fatti concreti? Del resto non siamo stati affatto teneri nei confronti dei dirigenti dei nostri partiti.
Firmerò pertanto la tua lettera solo se verrà reintrodotto il giudizio sulla politica del PD
Sempre sul PD
Marco Ligas
22 dicembre 2007
Caro Elio, giustamente rilevi la differenza tra una delle ultime stesure della lettera-documento e quella che è stata scelta per la raccolta delle firme e poi pubblicata sul manifestosardo. Sei contrariato per questo cambiamento e sostieni che l’eliminazione della frase da te sottolineata altera il significato complessivo del documento. Io sono del parere che l’eliminazione di quella frase attenui semplicemente il giudizio critico rivolto al Partito Democratico ma non modifichi la valutazione complessiva che noi esprimiamo e che rimane presente nel documento: quella di un partito che si è ormai allontanato da valori da noi ritenuti fondamentali come la difesa del lavoro, la laicità dello stato, l’impegno reale per il mantenimento della pace. Del resto che senso ha l’affermazione ‘la nascita del Partito Democratico ha riproposto un vecchio problema: l’accelerazione di un processo di ricomposizione di tutte le forze della sinistra che non intendono liquidare i valori e le conquiste del movimento operaio ma vogliono ribadirne la validità e l’attualità’ se non quella di sottolineare la scelta liberista compiuta dal PD? Non risulta chiaro che il PD ha abbandonato i valori e le conquiste del movimento operaio?
Caro Elio, se tu fossi stato presente quando abbiamo preso la decisione definitiva sulla lettera-documento avresti colto senz’altro lo spirito unitario presente in tutti noi; nessuno ha voluto difendere rapporti privilegiati con nessuno ma ribadire il contenuto della lettera: cioè l’esigenza di un’ispirazione nuova nella fase di ricostruzione della sinistra arcobaleno. Proviamoci ancora, consapevoli delle difficoltà enormi che conosciamo e accantonando lo spirito di corpo, a volte eccessivo, che ancora condiziona tutti noi.
Cosa rossa e statutaria
Andrea Pubusa
23 dicembre 2007
Caro Palmiro, il punto del documento in cui si parla della statutaria non è una svista o un aspetto secondario, è uno dei punti centrali. E fa bene a non firmarlo chi si è battuto per il sì e non si è ravveduto. Una legge autoritaria e incentrata sui conflitti d’interessi (quello di Soru e quello delle incompatibilità: art. 38, comma 3) è del tutto fuori anzitutto dalle linee politiche almeno di PRC e Sd nazionali. Di Liberto, invece, proteggendo il suo 1,… per cento preferisce la forza contrattuale che dà la marginalità nel maggioritario spinto, anziché pensare ad un grande partito popolare capace di contare non per la sua debolezza, ma per la sua forza.
Quindi, caro Tolu, anziché esprimere giudizi astratti, spiega perché era corretto battersi per il sì ed errato battersi per il no, su quali punti la legge statutaria battuta dai sardi era condivisibile e perchè. Con argomenti di merito però, non con le menate opportunistiche dei dirigenti del PRC sardo. E spiega perchè sarebbe stata migliore la situazione con quella statutaria anzichè la situazione attuale in cui il dibattito sulle istituzioni è aperto a diverse soluzioni.
Su questo punto i firmatari del documento il sole lo hanno visto fin da subito per il semplice fatto che si sono mantenuti nell’alveo della tradizione della sinistra (almeno di quella di matrice comunista). La lettera di Vincenzo solleva invece un problema delicato di linea politica e di atteggiamento verso gli altri partiti, in particolare verso il PD. Nessuno di noi è così cieco da non vedere il dramma, per la sinistra e per i lavoratori, che la deriva PD comporta. Dramma non minore della frammentazione della sinistra. Ma proprio perché siamo consapevoli di questo abbiamo anche l’interesse a far sì che il PD mantenga alleanze e rapporti con le forze della sinistra, dal livello nazionale alle circoscrizioni comunali, nel sindacato e nelle organizzazioni di massa. D’altro canto, un partito della sinistra, secondo la tradizione comunista, deve cercare sempre di parlare all’insieme del Paese. Il nemico peggiore è l’estremismo e il minoritarismo. Certo, questo non vuol dire collaborazione a tutti i costi col PD nè che debbano nascondersi i punti di contrasto. Anzi, quando non ci sono le condizioni bisogna far valere con fermezza le nostre posizioni. E tuttavia non dobbiamo mai stancarci di mantenere aperta la comunicazione e il dialogo. Togliatti diceva che in questi casi bisogna essere unitari per due. La sinistra se vuole il consenso dei lavoratori deve ottenere risultati e questi si ottengono anzitutto se si è forti (se oggi i lavoro è vilipeso la colpa è anche della nostra frammentazione), in secondo luogo se si è capaci di creare sui temi centrali (pace, lavoro, democrazia etc.) le più ampie alleanze. Essere autonomi dal PD non vuol dire starne a distanza, ma semmai avere una linea che, rispondendo ai bisogni dei lavoratori, lo costringa a misurarsi con le nostre posizioni e battersi su obiettivi da noi posti al centro dell’agenda politica. Caro Vincenzo, sei troppo intelligente per non capire che nel PD c’è anche tanta bella gente, con la quale abbiamo interesse a mantenere aperto un confronto in vista di azioni comuni.