Il Parco geo-minerario della Sardegna
30 Aprile 2007Marcello Madau
“Si rende noto che la gara a procedura ristretta indetta dalla società ‘Interventi Geo Ambientali S.p.A.’ (Igea), rappresentata dalla Regione Autonoma della Sardegna – Assessorato degli Enti Locali, Finanze ed Urbanistica – Direzione Generale Enti Locali e Finanze – Servizio affari generali, bilancio, gestione personale e contenzioso, per la “Cessione, riqualificazione e trasformazione di ambiti di particolare interesse paesaggistico del Parco Geominerario della Sardegna (Masua – Monte Agruxau, Ingurtosu, Pitzinurri – Naracauli)” è stata dichiarata deserta, con determinazione n. 785/AG del 4 aprile 2007, in quanto nessuna delle tre società prequalificate ha presentato alcuna offerta entro il termine inderogabile fissato nelle ore 13,00 del giorno 2 aprile 2007.”(estratto dal sito della Regione Sardegna)
Un freddo annuncio, un epitaffio funebre, la parola fine della Regione Sardegna sulla vendita di una delle parti più pregevoli del Parco Geominerario.
Lo scampato pericolo non chiude la discussione: Renato Soru dice che aveva sempre preferito la concessione (ma perché allora una gara del genere?) e che l’esito appare adeguato ai dubbi ed alle proteste emerse. Speriamo lo sia anche il prossimo bando.
Monte Agruxau, Ingurtosu e Naracauli, nel Sulcis-Iglesiente, sono un complesso pregiato nel sistema del parco geominerario che comprende 8 aree, campo paradigmatico della cultura materiale e delle vicende dell’isola.
Da questo parco, nobilitato fra il 1997 ed il 1998 dal riconoscimento UNESCO e dalla conseguente “Carta di Cagliari”, arrivano storie lontane, dal neolitico all’età nuragica ai fenici ai romani (con il loro temutissimo e punitivo ad metalla), sino a dure ed anche sanguinose vicende operaie. E’ un patrimonio che non può essere lasciato ‘così com’è’: è urgente prendersene cura, risanarlo – costoso, ma non meno del danno – dall’inquinamento ambientale, dal degrado e dissesto architettonici, ed eventualmente trasformarlo in ricchezza. Un bene comune riconoscibile, alla luce delle vigenti normative di tutela, come un complesso di importante interesse. Prima occupiamoci di garantire al meglio, a partire dall’apposizione dei necessari vincoli, la protezione pubblica, poi, sulla base di tale protezione, cerchiamo il reddito, con l’attenzione che i processi non modifichino la natura del bene. E’ curioso che l’area interessata dal bando per la vendita (pardon, cessione) non sembri toccata dal censimento e dalla catalogazione che la Regione Sarda ha condotto con l’IBC dell’Emilia-Romagna (VALUTAZIONE EX-ANTE AMBIENTALE, fasc. 2, allegato 3, Quaderni della Programmazione in Sardegna, XXXVIII, dicembre 2005).
E’ noto come una visione puramente vincolistica del bene culturale e paesaggistico sia inadeguata a far raggiungere un pieno godimento pubblico del bene, ma i siti minerari di Monte Agruxau, Ingurtosu e Naracauli hanno più di una ragione per essere vincolati, al fine di creare un quadro insuperabile, definendosi anche in questo modo beni comuni e pubblici, per gli usi successivi: vi è un eccezionale patrimonio architettonico e di macchinari (in grave e crescente degrado, con assoluta necessità di capitali per interventi conservativi difficili e urgenti, e persino oggetto di reiterati furti), elementi decorativi liberty, profili archeologici, racconti immateriali che costituiscono un filo di memorie del lavoro della preistoria sino a quello della moderna civiltà industriale come fece irruzione nell’isola.
Per le ragioni esposte, se non era solo la natura del bando a porre problemi (la destra ha innescato una ovvia speculazione, ma è facile pensare a dove possano portare le sue proposte di autonomia degli enti locali nella tutela ambientale), quanto l’insieme della visione legata alla cosiddetta valorizzazione turistica delle aree, la vendita rappresentava di per sé un confine da non toccare, in realtà accettato non solo dal bando ma anche da non pochi pezzi importanti della sinistra, del sindacato (CGIL e UIL) e del movimento ambientalista (le aperture di Legambiente alla vendita dei siti ed anche ai campi da golf).
E’ evidente come nella sinistra continui una certa superiorità ed ‘attrazione fatale’ verso un modello di occupazione e sviluppo che ammette gravi cedimenti sul versante della tutela dei beni culturali e del paesaggio. Una storia ben nota in Sardegna, dai petrolchimici al carbone alla destinazione dell’Isola dell’Asinara, ed un ritardo grave nell’elaborazione di modelli operativi di ‘sviluppo sostenibile’, da collocarsi in una più generale arretratezza dei modelli di sviluppo economico proposti dalla modernizzazione capitalistica, pur in evoluzione con l’esperienza Soru: oggi infatti, rispetto a ieri sono finalmente più decisi, fino a punte pianificatrici di grande qualità, paletti e compatibilità dettate da una migliore consapevolezza sulla necessità di fermare il consumo di un territorio. Ma da non poche scelte progettuali emergono limiti di consapevolezza del vero pregio delle risorse culturali e paesaggistiche, limiti nelle conseguenti letture di architettura del paesaggio e nella capacità di veicolare i densi valori di tali risorse nel ‘mercato’ del tempo libero.
Così l’Asinara, occasione strepitosa di contesto ad alta conservazione da proporre di per sé configurando il consumo al pregio, dove ancora una volta (nuovamente con l’approvazione sindacale e della sinistra) si sceglie la via dell’albergo, della spiaggia e della tintarella, invece di farne un parco scientifico e paesaggistico a tutela integrale da offrire come tale: non a pochi eletti, ma ad una formazione continua ed esemplare proponibile a tutto il mondo.
Come se non ci fossero spiagge per riempirsi di sole e creme, anche di fronte, nella già dissestata linea della spiaggia della Pelosa e dintorni.
Come sarà il nuovo bando ‘in concessione’? Ci sarà la consapevolezza di come l’offerta di un bene irripetibile e tutelato in maniera puntuale e filologicamente corretta possa rovesciarsi con grande suggestione e specificità nel mercato del tempo libero? Che la cura di tali contesti, anche da parte privata, dovrebbe essere fatta a tutele stabilite dalla legge, come quando si prende in gestione un bene culturale, con oneri, onori e ricavi. Mettereste un campo da golf ai Fori Imperiali o a Pompei?
Vi è infine un altro aspetto di rilevanza storica e sociale: questi luoghi minerari videro un ruolo centrale del lavoro materiale, contesti antropici permeati dallo sfruttamento dei corpi e dei luoghi eppure da una grande dignità nelle generazioni, radicata profondamente nella memoria della costruzione di famiglie, vite, lotte operaie, produzioni di ricchezza ed abilità lavorative. Tale centralità sembra ora progressivamente spostarsi verso il lavoro immateriale, ed in esso – una grande sfida alla quale rispondere – un lavoro cognitivo che possa organizzare un nuovo concetto della sosta, dell’accoglienza, dell’uso alto del tempo libero.
E’ il lavoro dell’organizzazione dei saperi, della ricerca, della ricostruzione della memoria come collante delle comunità sino al racconto competente, parole, scenari ed eventi da proporre al visitatore attento; di un’offerta che non faccia sconti sul valore dei luoghi, definiti di per sé come bene pubblico e comune, diretti – almeno in ruolo compartecipe – dalle popolazioni residenti eredi delle passate vicende.
Marcello Madau
8 Maggio 2007 alle 18:29
Ad Oliena, sul Monte Maccione, c’è una struttura turistica nel cui giardino campeggia una scritta che ci ricorda come le risorse naturali non le abbiamo avute dai nostri padri ma ce le abbiamo in prestito dai nostri figli. In soldoni mi sentirei di affermare che dovremmo rinunciare a qualche posto da manovale o cameriere oggi per cercare attività più qualificate domani, in cui i nostri figli potranno essere studiosi, ricercatori e comunque addetti a queste risorse ambientali che, se ben conservate, nel medio periodo creano ricchezza. La politica, poi, ha il dovere di trovare dignitose soluzione ai manovali e ai camerieri ai quali eventuali politiche pro-ambiente di oggi creano difficoltà spesso drammatiche. Grazie
22 Maggio 2007 alle 15:47
(commento a mo’ di corsivo)
curioso. il commento di Lianu – preso alla lettera – potrebbe essere interpretato così:
“ai nostri figli cerchiamo di creare occasioni per cui possano fare gli studiosi, i ricercatori e gli addetti (gli esperti?) alle risorse ambientali (impiegati alla regione?) – a fare i camerieri e i manovali ci pensino i figli degli altri. Ai quali la “politica” (quale?) dovrà trovare “dignitose soluzioni” (di assistenza? di permessi di soggiorno più velocemente concessi?)
Mi piacerebbe chiedere a Lianu a quali “figli di altri” pensi (sperando che non si riferisca a tutti i figli che non siano i suoi, dei suoi fratelli o dei suoi cugini): per caso ai figli dei senegalesi, dei marocchini, dei rumeni e degli albanesi già immigrati nell’isola o di quelli che sbarcheranno domani o dopodomani?
Non che Lianu possa essere minimamente sospettato di discriminare tra figli e figli di…ma non ricordo più quale umorista diceva, verso la metà del secolo scorso: “gratta il modernizzatore e quasi sempre ci trovi il razzista”.
Sicuramente non è aforisma da applicare all’ottimo Lianu, ma lo terrei lo stesso presente.
15 Aprile 2008 alle 09:43
Dall’ epoca della concessione andata deserta è passato un anno. Nel frattempo ho letto un sacco di dichiarazioni, idee e programmi, ma non riesco a capire se ci sia qualcuno che fa sul serio…
Dopo parecchi anni ho rispolverato un reportage fatto in questa zona (si può vedere a questo link) ci tornerò tra pochi giorni e spero di trovare delle novità. Soprattutto per la gente di quest’area che vive una situazione di depressione economica forse unica in Italia.