Una proposta per la costruzione di un’intersindacale sarda

16 Aprile 2020

Roberto Pili (manifestosardo)

[Niccolò Piras]

Ospitiamo una riflessione per la costruzione di un’intersindacale sarda a firma di Niccolò Piras, militante della sinistra sarda e studente cagliaritano di Scienze Politiche alla Statale di Milano. La proposta mira a tracciare una strategia per ricostruire un rapporto tra le lotte anticolonialiste e quelle del lavoro in Sardegna, in un momento di grave crisi per entrambe (red).

Uno dei maggiori punti di debolezza dell’indipendentismo ed anticolonialismo sardi, che ha mostrato tutti i suoi problemi nella vicenda dell’RWM, è una sostanziale incapacità di penetrare il mondo del lavoro. Non esiste oggi una proposta politica che possa convincere lavoratrici e lavoratori della bontà della causa indipendentista, quando ne esiste una della causa coloniale-ovvero la possibilità di trovare impiego nella Pubblica Amministrazione o nei settori industriali funzionali alle necessità dello Stato Italiano (petrolchimico, industria militare, alluminio).

Le formazioni indipendentiste non sono state in grado di provvedere una sintesi di un pensiero ecologista e socialista, appiattendosi spesso sul primo. Tuttavia, sappiamo che senza un piano di riconversione la chiusura di un impianto inquinante va a svantaggiare più i lavoratori che la classe dirigente.

Oggi la sinistra indipendentista si trova ad affrontare più chimere: quella della destra italiana, con forti legami con l’industria pesante e militare, che lega a doppio filo produttivismo ed asservimento nazionale; quella della sinistra servile italiana, che si nasconde dietro lo stesso dogma produttivista senza però godere della stima politica di cui la destra si bea; quella del capitale estero, che grazie ad un’immediata disponibilità di liquidità compra interi segmenti di servizi (il Qatar e la sanità) o di filiere produttive-e rispetto a questo il popolo sardo non ha capacità di confrontarsi da pari a pari, innescando rapporti di dipendenza.

Non è possibile pensare di procedere senza costruire un movimento delle lavoratrici e dei lavoratori sardi. Tuttavia, le esperienze del sindacalismo nazionalista (CSS) o di quello conflittuale (COBAS, USB) hanno avuto scarsa presa-escluse l’Assemblea dei Precari Autoconvocati della Scuola o la campagna Telèfonu Ruju. .

Questo si deve sia a delle difficoltà delle suddette organizzazioni sul piano italiano, sia ad un sostanziale monopolio dell’interlocuzione sindacale da parte dei sindacati confederali. Si tratta queste di organizzazioni variegate al loro interno, che hanno perso-in nome dell’unità sindacale- una vera discussione interna sulle decisioni, appellandosi di volta in volta all’indipendenza di categoria e dei territori.

Questo è emerso particolarmente nella travagliata vicenda dell’RWM, dove FEMCA e FILCTEM (rispettivamente categorie tessil-chimiche di CISL e CGIL) hanno sbandierato, congiuntamente a Confindustria, la necessità di tenere aperta la fabbrica di morte per il bene di lavoratori, territorio e Stato Italiano. Mentre militanti e segreterie balbettavano, quello che mancava fuori dalle nostre bacheche facebook era un dibattito dentro le organizzazioni.

I lavoratori dei sindacati già esistenti rappresentano un bacino di militanza irrinunciabile per gli indipendentisti-senza che questo distolga l’attenzione dal penetrare nelle masse non sindacalizzate. Arrivati a questo punto, senza una vera organizzazione partitica, si configura la necessità di sfruttare a nostro vantaggio le conflittualità troppo a lungo sopite e le potenzialità contrattuali dei sindacati. Solo così si potrà costruire una proposta di alternativa nella gestione del lavoro e del profitto in Sardegna, che dia finalmente corpo alla necessità di decolonizzare la nostra produzione ed il nostro lavoro.

Che forma dare però a questa strategia? La mia proposta non è quella di fondare una nuova organizzazione, ma di fare rete tra le organizzazioni esistenti. Creare un gruppo di lavoro intersindacale, che non si ponga l’obiettivo di diventare un soggetto autonomo ma di essere prima di tutto luogo confronto e condivisione di buone pratiche. L’intersindacale dovrà comporsi di tutti i membri sindacali che sostengono le cause indipendentista ed anticolonialiste come individui.

Deve organizzare incontri periodici e seminari, agire in modo da creare correnti interne nei sindacati maggiori che possano essere egemoniche, senza però andare a rompere le strutture (ovviamente deve anche includere chi viene dalle esperienze del sindacalismo conflittuale e nazionale). Questo passaggio sarà affrontabile in un secondo momento, ma ora la rottura con le confederazioni nazionali non è percorribile.

Deve rimanere chiaro che l’obiettivo è quello di raggiungere una situazione simile a quella gallega, con la CIG indipendentista primo sindacato (di natura socialista e conflittuale), in grado di confrontarsi da pari a pari con i sindacati confederali spagnoli.

Tuttavia, scontiamo troppi anni di inattività e negligenza sotto questo fronte. Serve quindi lavorare e costruire. Occorre individuare personalità dentro le organizzazioni che siano in grado di aggregare consenso tanto a livello di base quanto di apparato, in modo da lavorare tanto sul piano dell’organizzazione quanto su quello della militanza.

Deve avere uno statuto “forte”, che espliciti i principi di indipendenza, anticolonialismo, femminismo e socialismo, che eviti strumentalizzazioni e regoli in maniera precisa il funzionamento delle assemblee. Deve essere pubblica, e non un’organizzazione ombra, perché troppo a lungo abbiamo pensato che nasconderci e mimetizzarci dentro le strutture fosse una strategia fruttifera, ma ha portato solo alla delegittimazione nell’ambiente indipendentista.

Questa proposta può servire tanto per uscire dal circolo vizioso dell’approvazione dei pari che sembra affliggerci, quanto per costruire nuove sinergie e portare nuova linfa ad elaborazioni vecchie o mai sviluppate appieno.

La natura di questa proposta è aperta: il nostro dibattito è stantio ed incapace di muoversi-e qualche ragionamento articolato non può che farci bene.

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