Il Liceo Dettori ha un problema con la comunità Lgbt
1 Giugno 2021[red]
Pubblichiamo la nota stampa di tre studentesse del Liceo Classico Dettori che compongono il collettivo Novantanovegradi. Attraverso la loro pagina instagram hanno raccontato ciò che è successo questa settimana all’interno della scuola riguardo la richiesta di un’assemblea d’istituto con temi identità di genere e orientamento sessuale, rifiutata dal corpo docente.
Vorremmo informarvi su cosa ci sia accaduto in questi ultimi giorni. Caldo da morire, ultime interrogazioni da dare prima della fatidica maturità, ed episodi tanto spiacevoli: la nostra scuola, infatti, il liceo classico Dettori di Cagliari, si è rivelata come una realtà non ancora pronta ad affrontare una discussione sulle tematiche ‘multicolore’, come piace chiamarle a noi.
Dopo aver tentato invano per circa tre mesi (l’iniziativa risale a febbraio) a causa di vari impedimenti legati alle normative anti-covid, di organizzare un dibattito aperto su orientamento sessuale e identità di genere – il quale era stato approvato per via ufficiosa dal dirigente scolastico – abbiamo visto la nostra richiesta rifiutata, dopo essere stata presentata al consiglio di istituto, con le seguenti argomentazioni:
- la maggior parte dei docenti del consiglio ha votato contro la proposta, sostenendo che occorresse una controparte a ‘fronteggiare’ le due esperte da noi convocate per la gestione dell’assemblea, ritenute di parte in quanto appartenenti alla comunità lgbt;
- i nostri stessi compagni di scuola, chiamati a rappresentare gli studenti dell’istituto, si sono opposti non per motivi ideologici contro il tema, ma per dinamiche studentesche interne circa la formalità della nostra richiesta (ragioni che a nostro parere però dimostrano la scarsa importanza di fondo riconosciuta all’iniziativa).
Ora, non sappiamo cosa avrebbe dovuto rappresentare questa controparte: l’assemblea era stata pensata per essere un dialogo, che offrisse chiarimenti, che accogliesse gli eventuali interventi, ovviamente anche contrari (sembra che occorra specificarlo) di chiunque fosse presente; non c’è mai stato l’intento da parte nostra di un’impostazione di stampo politico o ideologico, ma sembra essere passata questo tipo di minaccia sottesa. Si trattava, ripetiamo, di un dibattito aperto all’ascolto reciproco di tutti gli studenti, all’informazione pacifica, si trattava di un’attività facoltativa programmata per l’ultimo giorno di scuola, per fare qualcosa di diverso dopo un anno scolastico dai ritmi particolarmente serrati.
Il consiglio di istituto ha discusso la nostra proposta questa settimana. È stata categoricamente respinta, senza che noi fossimo convocate personalmente per avere l’opportunità di chiarire meglio le nostre intenzioni sull’assemblea. Forse avremmo potuto dettagliare meglio la richiesta formale inviata al dirigente, e portata davanti al consiglio, ma abbiamo avuto l’ingenuità di credere che non fosse necessario, non immaginando che una semplice assemblea potesse essere di così oscura interpretazione e suscitare tante perplessità sulla sua presunta natura “ideologica” o “politica”; non sappiamo ancora bene le ragioni di questa mancata convocazione.
Al di là dello sconforto che suscita il fatto in sé, volevamo almeno evidenziare qualche domanda che sorge spontanea da tutta questa esperienza: perché un individuo viene considerato un’ideologia? Perché c’è sempre così tanta cautela e timore nel parlare delle tematiche multicolore? Perché se vengono considerate tematiche delicate e complesse si preferisce direttamente eluderle, non discuterne e non informarsi, a meno che non ci sia una “controparte”? Che tipo di minaccia costituisce esistere ed esprimersi per come si è? E poi, soprattutto, cosa poteva essere realmente questa controparte?
Come collettivo Novantanovegradi e come studentesse, la nostra intenzione non è quella di tirar su una campagna contro il nostro istituto, ma di portare alla luce quanto ancora sia radicata nel nostro paese una mentalità di disuguaglianza, anche inconsapevole, che danneggia determinate categorie di cittadini, di esseri umani. Ci teniamo semplicemente a non lasciar passare l’accaduto in sordina, ma a raccontarlo, per far conoscere a tutti/e/ə che la realtà in cui viviamo è ancora imperfetta, poiché disinformata, intimorita davanti a determinate prese di posizione, e inconsapevole della diseguale distribuzione dei privilegi. Eppure, se le nostre scuole per prime non sono luoghi accoglienti, e non sono divulgatrici di informazione, allora non sappiamo proprio quale ruolo attivamente e immediatamente benefico possano avere per la società. Solo in un ambiente dove l’espressione non viene negata si può crescere, ma l’espressione dev’essere assicurata a tutti.