Unitǝ per un diritto al futuro

16 Ottobre 2021

[Aldo Lotta]

Il 4 0ttobre il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU (Ohchr) ha presentato i risultati di una propria inchiesta nel territorio libico, sulla base di una missione indipendente della durata di un anno e conclusasi nel giugno 2021.

Dal virgolettato di un articolo di Marina della Croce su Il Manifesto dedicato alle conclusioni dell’indagine dell’Ohchr emerge che  «Le nostre indagini hanno stabilito che tutte le parti, compresi gli Stati terzi, combattenti stranieri e mercenari, hanno violato il diritto internazionale umanitario, in particolare i principi di proporzionalità e distinzione, e alcune hanno anche commesso crimini di guerra».

Un altro report dello stesso Ohchr ci ricorda che “in Yemen tutte le parti del conflitto continuano a commettere violazioni delle leggi internazionali sui diritti umani con scarso rispetto dei principi fondamentali del diritto umanitario”.

La stessa logica del nemico a tutti i costi porta nel frattempo 12 paesi della Comunità Europea (a cui si aggiunge l’approvazione della Slovenia e quella entusiastica e puntuale del nostro Salvini) ad uscire senza nessun pudore allo scoperto per chiedere il finanziamento da parte della UE di “più di mille chilometri di recinzioni, barriere, ostacoli e tutto ciò che è possibile utilizzare per fermare i migranti”.

Solo a tratti luci livide e impietose rivelano ai nostri occhi uno scenario tragico e agghiacciante che circonda e pervade sottilmente il nostro piccolo mondo (presunta e presuntuosa “Fortezza Europa”). Scenario che cerchiamo in gran parte di occultare, complice troppo spesso l’odiosa e perniciosa indifferenza (a volte prona nei confronti di un’egemonia fascista e incline a trasformarsi in ogni momento in cieca violenza) e il chiassoso mainstream delle beghe e vicende poco entusiasmanti ma molto partecipate della politica interna nostra ed europea. 

Ma gli stupri, le torture indicibili in lager carichi di persone inermi, le uccisioni di massa con le conseguenti fosse comuni, sono lì, appena oltre il “mare nostrum”. In una nazione, la Libia, che recentemente abbiamo contribuito a bombardare, per poter poi intrattenere coi nuovi signori della guerra rapporti e scambi “(in)civili” e militari. Fornendo ad un Paese che non ha mai aderito alle convenzioni di Ginevra per i rifugiati e richiedenti asilo un esteso “supporto logistico” per la ri-cattura e mattanza fisica o psicologica di chi fugge dalla fame e dalle nostre guerre (abbiamo così evitato di incorrere, almeno in prima persona, nel grave crimine internazionale costituito dai respingimenti collettivi).

Situazione che non può non evocare i nostri floridi rapporti commerciali nel settore militare con l’Egitto, altro Stato che dei diritti umani non sa proprio cosa farsene. Così sacrifichiamo volentieri le sorti giudiziarie dell’efferato “caso Regeni” e ci rassegniamo all’assuefazione sulla detenzione amministrativa dello studente dell’università di Bologna Patrick Zaki (19 mesi trascorsi in regime di detenzione cautelare!), sbavando di fronte alle prospettive dello sfruttamento condiviso del giacimento di gas di Zhor, scoperto recentemente dall’ENI nel mare aperto davanti all’Egitto (altro che transizione energetica!).

A dispetto dunque di qualsiasi proclama umanitario e pacifico o improntato a progetti di sviluppo sostenibile mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili, le politiche neo-colonialiste ed estrattiviste del nostro Paese rimangono di fatto sempre più instancabili e decise.

La nostra industria militare, in concorrenza con le nazioni consorelle europee, è di fatto la punta di diamante della politica estera italiana, consentendo fiorenti legami commerciali e strategici sopratutto con altri Stati mediorientali e nordafricani con regimi liberticidi e di apartheid, come Qatar, Arabia Saudita, Israele e Marocco.

Tutto ciò non può scuotere le coscienze di tutti. Perché è difficile pensare che delle persone consapevoli possano davvero accettare che i propri governi (mentre la vita quotidiana di ognuno scorre tra mille difficoltà, spesso legate a gravi carenze strutturali della politica economica, sanitaria, dell’istruzione) si dedichino primariamente e senza sosta e con un cinismo agghiacciante a delle cause mortifere, rinnegando il fondamento stesso dei principi costituzionali che dovrebbero servire.

Anche perché questa corsa verso la devastazione sempre più grande di una parte del mondo già estremamente fragile e impoverita dai (mai trascorsi) colonialismi potrebbe divenire presto irreversibile. Già le ondate di migranti sono sempre più costituite da profughi che fuggono da guerre, carestie, cambiamenti climatici estremi. Tanti di loro vanno incontro a dei destini tragici e sempre di più, troppi, giacciono in fondo ad un mare che dovrebbe, invece, costituire un’ incubatrice di vita, facilitando scambi commerciali e incroci culturali di immensa ricchezza.

Dobbiamo dunque pensare, accettare, che il nostro potenziale bellico in continua crescita, insieme alle infami barriere europee di filo spinato serviranno a fermare le prossime ondate di uno tsunami umanitario originato dalle nostre stesse guerre, estrazioni, sfruttamenti? E, insieme, confidare ancora una volta sulla sbandierata previsione di crescita di un PIL, trainato in massima parte da investimenti in campo militare, dallo sfruttamento e cementificazione del suolo e da “grandi opere” fortemente inquinanti? (a proposito di impatto ambientale, sappiamo che quello del settore militare sfugge alle statistiche ufficiali, per quanto con un recente articolo il Fatto Quotidiano lo valuti, relativamente al solo ambito europeo, alla pari di quello prodotto da 14 milioni di auto. Ma, come i sardi sanno bene, a ciò andrebbero aggiunti altri effetti micidiali, come quelli del torio, uranio impoverito ed altri metalli pesanti, sulla salute degli abitanti e e dell’ ambiente naturale esteso).

No, certo questi orientamenti politico-strategici non possono coincidere con le aspirazioni della società civile. Ciò che ognuno di noi auspica per il proprio futuro e per quello dei propri figli è sicuramente qualcosa di diverso. Sono sempre di più le persone consapevoli che le politiche di sfruttamento del suolo, delle risorse fossili e di sconvolgimento del clima debbano cedere subito il passo ad una reale politica di riconversione etico-energetica.

Il monito ai politici di pochissimi giorni fa da parte del premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi nelle sale del nostro Parlamento è esplicito ed inequivocabile: ”Il PIL dei singoli paesi sta alla base delle decisioni politiche e la missione dei governi sembra essere quella di aumentarlo il più possibile. Obiettivo che però è in profondo contrasto con l’arresto del riscaldamento climatico”.

Sappiamo bene che già oggi questo monito è probabilmente un eco lontano che non risuona nemmeno fiocamente nelle coscienze di chi dovrebbe reindirizzare la politica nazionale, ma sta a noi coglierlo, farlo nostro ed amplificarlo perché alla politica lo si possa imporre.

Questo può concretamente avvenire solo con una vasta azione comune, che superi una volta per tutte gli steccati, i particolarismi, i distinguo esasperati, da parte di tutti: le persone, le associazioni, i movimenti e i comitati impegnati in politiche sociali, ecologiche di solidarietà e accoglienza. Un progetto globale, con un orizzonte concettuale e pragmatico ampio, di segno necessariamente opposto alle attuali politiche neoliberistiche e guerrafondaie.

L’estesa confluenza di organizzazioni internazionali come il giovanile e dirompente Friday for Future di Greta Thunberg, o di respiro europeo comeDIEM 25, insieme alle innumerevoli esperienze interattive nazionali (di cui ricordo solo le recentissime interessanti: comitati  Per il clima fuori dal fossile e il Collettivo Eutopia) rappresenta oggi lo strumento fondamentale e indispensabile per garantirci un futuro misurandoci in maniera incisiva e risolutiva contro le forze auto-distruttive del profitto su tutto e tutti.

“..con tutte le nostre forze noi protestiamo contro la guerra come uomini, come cittadini, come lavoratori. La guerra è il risveglio di istinti selvaggi e di rancori nazionali…il mezzo adoperato dai governanti per soffocare la libertà di tutti”.   Dal Manifesto degli internazionalisti francesi (La Comune di Louise Michel, 1898; ed. Clichy, 2021)

Fonte immagine: ispionline.it

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