PNRR. Gli interessi esistenti puntano ai soldi, il clima è a rischio

1 Dicembre 2021

[Alfiero Grandi]

Draghi martedì parteciperà, accompagnato da un folto gruppo di ministri, ad una iniziativa organizzata da chi svolge in questa fase sostanzialmente una funzione di freno verso la transizione ecologica, Confindustria energia ed Eni.

La resistenza organizzata da questi ed altri soggetti è preoccupante, perché punta a far pesare le aziende che producono energia, o usano energia da fonti fossili, su un fronte di resistenza ai cambiamenti necessari, perché non abbiamo un pianeta di ricambio. Sentiremo cosa dirà il presidente del Consiglio ad una platea riottosa che strumentalizza le comprensibili preoccupazioni dei lavoratori anziché offrire garanzie ai lavoratori e risposte sulla lotta al cambiamento climatico all’Italia. Eppure, la recente riunione del G20 a Roma e a ruota la Cop 26 a Glasgow hanno condiviso sia l’allarme degli scienziati ONU che hanno redatto una valutazione drammatica della crisi climatica del nostro pianeta, se non viene fermata in tempo, sia l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5 gradi.

Da Draghi è lecito attendersi coerenza con le sue affermazioni fatte nelle due sedi internazionali.

Certo, gli appuntamenti internazionali hanno dimostrato una debolezza preoccupante nel definire con chiarezza tempi e obiettivi indispensabili per mantenere entro 1,5 gradi l’aumento della temperatura. Obiettivo che non riguarda qualcuno di noi ma l’esistenza stessa del genere umano sul pianeta (Giorgio Parisi). È un dramma epocale e come tale va affrontato. Invece, concluse le conferenze in cui vengono lanciati gli allarmi e si discute su cosa fare e quando, riemergono le resistenze, i non detti, i tentativi di bloccare le innovazioni, quasi fossero scelte che si possono fare o non fare. È una classica miopia, di solito attribuita alla politica ma oggi attribuibile ancora di più ad interessi precisi, a settori dell’economia, a manager e amministratori delegati che puntano ad usare le risorse straordinarie del PNRR senza prendere impegni per realizzare i cambiamenti necessari nel tempo più rapido possibile. Questa sorda resistenza è forte e sostanzialmente conservatrice e si ammanta di motivazioni come la preoccupazione per quanto potrebbe accadere ai più deboli, ai lavoratori, all’occupazione. È evidente che una transizione ecologica seria pone problemi, che vanno risolti, pretende risposte per le aree più deboli ed esposte, ma questo deve obbligare tutti ad adottare i provvedimenti necessari nella consapevolezza che, se la temperatura andasse oltre, i costi economici ed occupazionali sarebbero molto più alti, quelli ambientali e umani insopportabili.

Il cambiamento climatico è destinato a creare problemi, a partire da quelli occupazionali, e occorre fornire risposte credibili, accompagnando le innovazioni in modo da evitare conseguenze sociali negative e senza regalare ai conservatori aree di manovra strumentale. Alcune dichiarazioni di Giorgetti sono illuminanti, la preoccupazione per le conseguenze dei cambiamenti diventa lo schermo per giustificare atteggiamenti di conservazione dell’esistente.

L’esistente deve cambiare o le conseguenze saranno terribili per tutti. Questa consapevolezza non sembra esserci in importanti decisori pubblici e privati.

Inoltre questi atteggiamenti conservatori rischiano di far perdere all’Italia occasioni per cambiare, innovare, diventare – senza ubriacature – un riferimento mondiale per contrastare la deriva climatica. Tutto questo ha anzitutto conseguenze politiche e pretende una politica di distensione, di disarmo e di collaborazione tra paesi e popoli, mentre i rumori guerreschi in questo momento prevalgono. È evidente che le enormi risorse necessarie per contrastare il cambiamento climatico sono tali solo se vengono considerate come aggiuntive dopo avere speso somme ancora maggiori per il riarmo, per produrre e vendere armi, per annientare, per le guerre. Contrastare il cambiamento climatico è oggi la priorità e attorno a questo obiettivo va rideterminato tutto il resto. Occorre fare una scelta di campo.

Alcune novità importanti.

Una delle grandi agenzie di rating (quelle che danno giudizi sugli investimenti finanziari, compresi i debiti degli Stati, che vanno tenuti in conto dagli investitori istituzionali) Deloitte ha presentato uno studio (Italy’s turning point) che individua nel 2043 l’anno in cui i benefici della transizione ecologica in Italia supereranno i costi, a condizione che il riscaldamento climatico globale non superi 1,5 gradi. Dobbiamo muoverci, sapendo che non siamo soli e quindi dobbiamo farlo con altri. Lo studio di Deloitte prosegue affermando che se l’Italia rafforzasse ulteriormente il proprio impegno sul fronte della de-carbonizzazione, con adeguati investimenti e ricerca nel prossimo decennio, sarebbe uno dei primi paesi europei a raccogliere i benefici della transizione ecologica. La maggioranza dei paesi europei ci arriverebbe solo nel 2050. Nel decennio dopo il 2043 l’Italia potrebbe registrare un significativo aumento del Pil e una importante crescita dell’occupazione. Deloitte afferma che raggiungere la neutralità climatica è un imperativo economico, mentre una crescita della temperatura oltre 1,5 gradi avrebbe conseguenze non solo ambientali ma economiche catastrofiche. Quindi non abbiamo scelta. Occorre andare avanti nelle scelte con la consapevolezza che occorre che tutti i paesi si muovano in questa direzione.

L’inviato speciale sul clima di Biden, Kerry, ha suggerito all’Italia di puntare sull’idrogeno come fonte per produrre energia elettrica e mobilità non inquinante. L’Arabia Saudita sta realizzando un mega impianto che funzionerà con energie rinnovabili per produrre idrogeno, che potrebbe arrivare in Italia sfruttando le condutture costruite per portare gas. Inoltre l’amministratore delegato di Snam ha dichiarato che l’idrogeno diventerà conveniente entro 5 anni e che le condutture esistenti per il gas sono in grado di trasportare idrogeno. Senza dimenticare che il PNRR già prevede investimenti per realizzare idrogeno in Italia e stoccaggi che possono consentirne l’utilizzo.

Il nuovo governo tedesco è alla vigilia dell’insediamento. Ci sono programma e attribuzione degli incarichi ministeriali. Il 6 dicembre dovrebbe ottenere il voto del parlamento. Le due settimane mancanti all’inizio del dopo Merkel non sono prive di pericoli perché la Francia, alla testa di una pattuglia di paesi europei, sta spingendo per ottenere il riconoscimento del nucleare come energia rinnovabile, quindi finanziabile dal Next Generation Eu. Purtroppo la presidente della Commissione Europea ha aperto verso questa scelta, ma il ruolo dei governi resta decisivo. I meccanismi decisionali europei sono complessi e prevedono maggioranze qualificate. Bisogna evitare che in questa transizione tedesca, tra vecchio e nuovo governo, arrivino forzature sul nucleare. Con il nuovo governo in carica difficilmente la Germania accetterà la scelta di finanziare il nucleare con i fondi europei e la Francia dovrà autofinanziare il suo costosissimo rilancio del nucleare. Il nucleare non è né può essere spacciato per un’energia rinnovabile come il fotovoltaico, l’idroelettrico, l’eolico, ecc. e questo vorrebbe dire che chi lo vuole usare dovrà finanziarsi – con crescente fatica – sui mercati.

Ormai è noto che le rinnovabili sono oggi una parte importante della produzione di energia e il loro costo è ormai inferiore alle altre fonti. Tuttavia Terna con la motivazione che l’erogazione delle rinnovabili non è abbastanza costante ha indetto delle aste (capacity market) per avere a disposizione energia in caso di necessità, soprattutto in alcune fasce orarie. Le aziende produttrici hanno partecipato alle aste impegnandosi a garantire la fornitura dell’energia elettrica necessaria alla rete e per questo pensano di rimettere in funzione vecchie centrali a combustibili fossili. L’ amministratore delegato dell‘Enel Starace, che ha ridicolizzato i tentativi di riproporre il nucleare in Italia, ha affermato qualche giorno fa, riferendosi a Civitavecchia, che “Enel non è affezionata alla decisione di riconvertire a gas naturale la centrale ed è aperta a qualsiasi soluzione alternativa da valutare insieme all’operatore di rete (Terna)”. La scelta di usare il gas per la transizione anziché puntare direttamente sulle rinnovabili è un errore, perché il gas naturale produce CO2, meno del carbone ma ne produce, e per di più la sua dispersione in atmosfera è molto più inquinante della stessa CO2. La disponibilità di Enel va verificata rapidamente dal governo, che dovrebbe coordinare i diversi attori in campo, a partire da Terna.

Il problema torna tutto politico e riguarda il governo.

Il governo deve decidere. Il ministro Cingolani continua a dissertare di un nucleare che è stato escluso in Italia da ben due referendum popolari. Dovrebbe invece chiedersi se non è il caso di prendere spunto dal programma del nuovo governo tedesco. La Germania uscirà dal carbone entro il 2030, conferma l’uscita dal nucleare nei tempi previsti, lancia un programma di investimenti per ben 200 GW nelle rinnovabili, conferma che entro il 2035 non verranno più prodotte auto con motori a scoppio. Sappiamo invece che in Italia con questo ritmo i 70 GW di rinnovabili li avremo a fine secolo. Quali sono gli interventi straordinari del governo, quale il suo piano? Quanti gli investimenti e quando? Il PNRR gestito per bandi senza una visione politica di insieme, per obiettivi, non funziona.

Terna procede per conto proprio, indicendo aste senza qualificare la fornitura come esente da fossili, mentre dovrebbe coordinare i suoi interventi in un progetto nazionale. Eni verrà chiamata a rivedere i suoi piani che prevedono il gas per decenni a venire anche dopo il 2050? Enel e altri grandi gruppi verranno invitati a scegliere di investire sulle rinnovabili in Italia e non solo all’estero?

Visto che Draghi parlerà ad un’assemblea che non è esattamente il portabandiera dell’innovazione per contrastare la crisi climatica dovrebbe cogliere l’occasione per rispondere ad alcune domande come quelle precedenti, altrimenti il PNRR rischia di finanziare la conservazione dell’esistente, di sprecare una grande occasione.

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