Una sconfitta culturale

1 Aprile 2010

madau

Marcello Madau

Io credo che le ragioni di questa sconfitta elettorale non si trovino nelle percentuali e negli spostamenti, che ne sono una logica e comunque pallida conseguenza. La sconfitta è più profonda, a destra come a sinistra.
Negli anni passati condividevo, con altri militanti del campo della cultura e dell’ambiente, una ricorrente protesta nei riguardi dei programmi politici: che non si parlasse, o si parlasse poco, di beni culturali e di paesaggio (se non in qualche formazione ‘a tema’ come ‘I Verdi’ che peraltro non possono godere, per gli evidenti limiti di approccio e letture sociali, del successo e dell’affidabilità altrove registrata).
E’ da qualche decennio che questo rilievo viene elaborato e comunicato. Ma ora è più grave e serio, perché – a dimostrazione di come la decennale denuncia non fosse infondata – l’assalto al territorio non si identifica ‘semplicemente’ in quello, che so io, della speculazione edilizia, ma permea in maniera più complessiva e profonda la visione della politica e delle stesse organizzazioni sindacali, eccezion fatta per qualche settore della CGIL, in particolare la FLC.
Oggi la situazione appare più grave dato che la crisi del capitalismo è molto radicale.
Il silenzio a destra ce lo aspettiamo, perché non vi è nei ceti che vi esercitano l’egemonia alcun interesse a muoversi verso un modello alternativo e, parallelamente, ad ostacolare i margini di profitto che residuano alle ultime generazioni del sistema: esse ne colgono meglio di altre la crisi drammatica e perciò lo difendono sino a pratiche ormai eversive e anticostituzionali. Non hanno altre prospettive, né altri saperi, né possono pensarli.
Ma è più singolare, anche se spiegabile, che il pensiero della sinistra, ovvero di quella parte storicamente molto critica o radicalmente critica verso il capitalismo e con maggiore tradizione sui temi della cultura e del paesaggio, proprio su tali punti sia assente o debolissimo.
Nel momento in cui si deve proporre non dico la fuoriuscita dal capitalismo, ma la necessità o almeno la plausibilità di un nuovo modello di ‘sviluppo’, il silenzio diventa totale.
Probabilmente scontiamo il terribile peso di una storia politica incapace di guardare al di là della sua autorappresentazione, omologata, nella sostanza e infine negli interessi prevalenti, a questo sistema. Di una tradizione intellettuale idealistica e palatina, incapace se non in casi molto rari di mettersi in primo piano come soggetto del conflitto sociale e delle proposte di cambiamento. Di una classe intellettuale spesso decisamente baronale, che ci ha portato, ben prima di madama Gelmini, alla crisi del sistema universitario.
In Sardegna persino un PPR solo in apparenza radicale, ma in realtà moderato, ha prodotto forte allarme nel nucleo principale del centro-sinistra (forse non solo), sino alla devastante crisi che ci ha consegnato il governo Cappellacci. E il brutto piano triennale del governo Soru sui beni culturali esprimeva una visione elitaria nella gestione e nelle letture concettuali degli stessi.
L’assenza nella campagna elettorale dei temi della cultura e del paesaggio, e soprattutto di un’alternativa di sistema che li vedesse in prima fila, ha quindi condotto ad una sconfitta inevitabile, ma la sconfitta era già decretata dall’assenza di tale concezione nelle teste, nei cuori, perciò nei programmi. Nessuna attenzione ai valori del territorio, al suo patrimonio culturale, ai paesaggi, alle relative economie ‘sostenibili’.
Dove tale presenza c’è stata, nel programma e nella società civile, e mi riferisco alle Puglie, la sinistra ha vinto.
Non si tratta di orpelli o di qualche parola d’ordine che renda meno tetro il programma complessivo delle varie parti del centro-sinistra. Neppure basta proporre – e la proposta, beninteso, è in sé ragionevole – qualche importante riconoscimento Unesco, che rischia di non avere senso e di apparire persino strumentale se avulso da un progetto più generale (probabilmente esso è ancora assente).
Ora la sfida, se la lettura è corretta, si sposta alle elezioni regionali della Sardegna, dove il nostro stupefacente territorio si presta come forse nessun altro ad essere laboratorio alternativo per ricchezza del patrimonio culturale e paesaggistico: credo allora che la sinistra sarà sinistra anche – per quanto mi riguarda, soprattutto – se in grado di porre i temi culturali e del paesaggio (dalla tutela alla valorizzazione), i beni comuni come l’acqua (massacrati in modo bipartisan) e la salute, il no al nucleare al centro dei programmi elettorali. Chiedendo la riconversione industriale verso la creazione di ricchezza pulita, fonti energetiche rinnovabili, investimento strategico sul lavoro cognitivo e materiale di tutti i settori del cosiddetto ‘sviluppo sostenibile’, presenti, in maniera unica, in tutto il territorio.

1 Commento a “Una sconfitta culturale”

  1. Benedetto Sechi scrive:

    Condivido l’analisi di Marcello Madau, si tornerà a vincere solo se si avrà la forza di imporre, all’attenzione dei cittadini, un progetto sociale di governo del territorio, dei servizi, della promozione del lavoro. Insomma si perde se si continua a discutere dell’ordine del giorno dettato da Berlusconi, che non accresce il suo consenso, e per questo la sconfitta è ancora più bruciante. Insomma perdere quando l’avversario è così debole, impone allla sinistra tutta, una decisa inversione di marcia, abbandonando “l’alleanzismo”, come lo chiama Vendola, ed iniziando a parlare ai cittadini, tutti, di sinistra di centro e di destra, ma con linguaggi e progetti innovativi. Se si è fatto in Puglia, regione storicamente di centro destra, per usare una categoria che non serve più a capire la società, lo si può fare in tutto il paese.

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