Perché l’Autonomia differenziata fa male al Sud e alla Sardegna

4 Marzo 2023

[Graziano Pintori]

L’Autonomia differenziata è uno storico obiettivo egoista della Lega, sostenuto da settori locali dell’imprenditoria e della finanza perché convinti che sia un percorso favorevole verso l’aggregazione con aree economicamente solide della Germania e del nord Europa.

Un modo per attuare la rottura del patto di solidarietà che unisce il territorio italiano. Questa idea anticostituzionale e scombiccherata del “fai da te” ha radici nella riforma del titolo V della Costituzione, fortemente voluta dal nei centrosinistra nei primi anni del 2000 con lo scopo di togliere consensi alla Lega. Il trasferimento di competenze dallo Stato alle regioni  a statuto ordinario (vedi gettito fiscale) ha fatto si che Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, nella prima decade del nuovo millennio, si facessero promotrici di referendum, e in particolare la regione Veneto poneva quesiti, fortunatamente non riconosciuti dalla Corte Costituzionale, del tipo: “ Vuoi che la regione Veneto mantenga almeno l’80% dei tributi riscossi nel territorio? Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente?”

Con questa pseudo ideologia separatista, celata da una pelosa richiesta di autonomia, il movimento leghista non rinuncia al progetto di minare la coesione nazionale sotto tutti i punti di vista. Aldilà del significato politico attribuito, la parola Differenziata tra le altre cose significa discriminazione funzionale nei confronti di aree geografiche, leggi Mezzogiorno d’Italia. Se avesse finalità politiche diverse l’Autonomia differenziata si sarebbe potuta chiamare Autonomia Paritaria o Solidale, il che sarebbe una contraddizione, perché nei fatti l’Autonomia differenziata, grazie alla forza condizionante della politica leghista e della destra in generale, tende ad aumentare il divario già esistente tra Nord e Sud. Non a caso non è mai venuto meno da parte della Lega di alimentare la sottocultura della corruzione amministrativa e delle infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione del Meridione: una criminalizzazione capillare per giustificare le disparità dei redditi, dei diritti e dei servizi a vantaggio dei cittadini del nord.

La regionalizzazione della sanità, per esempio, mette in risalto l’enorme discrepanza tra Nord e Sud, concretamente evidenziata dalle circa 800 mila persone malate che dal sud si muovono verso il centro nord, per essere curate in strutture sanitarie degne di questo nome. Parliamo di strutture il più delle volte a conduzione privatistica seppure convenzionate con il SSN. Quel SSN che Tina Anselmi nel 1978, in qualità di ministro della Sanità presentò in Parlamento, il quale si caratterizzava su quattro principi: Globalità delle Prestazioni; Universalità dei Destinatari; Eguaglianza del Trattamento; Rispetto della Dignità e della Libertà della Persona”.

Un’altra epoca, un altro Parlamento. Per tornare ai giorni nostri, le rivendicazioni di autonomia della Lega mettono in discussione non solo la gestione della fiscalità, da cui dipende il patto di solidarietà tra regioni, ma mette a repentaglio anche il sistema scolastico, cioè quella struttura formativa, culturale e educativa che per decenni ha tenuto saldamente uniti gli italiani e l’Italia. Il leghismo mira a sovvertire il legame tra lo Stato Centrale e Enti Periferici, un qualcosa che nulla ha a che fare con il valore dell’autonomia che compete, secondo Emilio Lussu, soltanto a chi coltiva in sé i valori della Libertà, della Dignità, del Rispetto e della Solidarietà. Un insieme di questioni delicatissime, che non possono essere affrontate e risolte nel regionalismo leghista e tanto meno dalla cultura post-fascista presente nel governo Meloni.

FdI spinto dalla vittoria di G. Meloni alla guida del governo post-fascista, per dimostrare che il loro programma elettorale non è stato del tutto sacrificato sull’altare del draghismo, pone al centro del dibattito politico lo storico cavallo di battaglia del Presidenzialismo, di chiara matrice populista e sovranista. Il presidenzialismo è funzionale all’Autonomia differenziata, perché l’eventuale Presidente della Repubblica eletto non indosserebbe gli abiti del garante dell’Unità d’Italia – come previsto dalla Costituzione -. Infatti, si tratterebbe di un Presidente a capo di una fazione che in caso di vittoria otterrebbe anche la maggioranza in Parlamento. Una specie di monocrazia parlamentare con il potere di rendere la Carta costituzionale un tappeto su cui pulirsi le scarpe.

Nella sostanza, con il presidenzialismo e l’Autonomia differenziata la Costituzione del ’48 nata dalla Resistenza e dall’Antifascismo sarebbe completamente stravolta, perciò l’Anpi, che non si occupa solo della memoria della Resistenza, lancia l’allarme sul rischio del venir meno degli equilibri democratici. I sintomi di una certa precarietà delle nostre istituzioni sono avvertiti da tempo, per esempio l’ultima riforma che ha previsto la diminuzione dei parlamentari, conseguente alla prassi consolidata di assistere alla delegittimazione del Parlamento, svilito dal continuo ricorso al voto di fiducia e alla decretazione d’urgenza. Si considerino, inoltre, le varie riforme elettorali tese ad allontanare sempre più i cittadini dalla partecipazione alla vita pubblica.

Riforme che nel loro insieme sono state definite contrarie al progresso democratico e istituzionale. L’Anpi ribadisce che per un effettivo cambiamento della nostra società in termini di democrazia, uguaglianza, libertà e diritto al lavoro è necessario che tutte e tutti i sinceri democratici si impegnino per l’applicazione integrale della Costituzione  nata dalla Resistenza e dall’Antifascismo.

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