Cities by night di Valentina Medda. Donne che indagano i quartieri di San Michele e Is Mirrionis

24 Marzo 2023

[Roberto Loddo]

“Cities by night” di Valentina Medda approda a Cagliari per indagare i quartieri di San Michele e Is Mirrionis. Il progetto, realizzato collaborazione con Donne al Traguardo Onlus, esplora lo spazio urbano per indagare la percezione del pericolo nella città da parte delle donne. Due le performance in programma ogni sera da questa sera, venerdì 24 fino a domenica 26 marzo dalle ore 21.00 alle ore 22.00.

“Apparentemente raffiguranti un’esperienza meramente personale, i confini geografici, fisici, emotivi e politici mostrano come non solo il genere ma anche le convinzioni condivise, i pregiudizi e il background culturale plasmino, ridefiniscano e contraggano lo spazio urbano e il nostro accesso ad esso” Sono le parole di Valentina Medda, artista interdisciplinare sarda che attualmente vive e lavora a Bologna. La sua pratica artistica si snoda tra immagine, performance e interventi site specific, indagando la relazione tra pubblico e privato, corpo e architettura, città e appartenenza sociale. Il suo lavoro è stato in mostra in diversi contesti nazionali e internazionali.

Il tuo è un progetto partecipativo che è approdato a Cagliari dopo Parigi, Amsterdam, Bologna e Imola, Bergamo, Trondheim, Pristina e Milano. Quale elemento ha influito di più nel radicare e unire la costituzione del gruppo delle donne guida?

L’elemento centrale è la definizione del pericolo. Il progetto è partito dopo un primo incontro laboratoriale tra me e il gruppo delle donne che è servito a definire che cosa intendiamo per pericolo e la conseguente distinzione con la percezione del pericolo e della paura. Perché la paura non è oggettiva ma è legata ad un insieme di fattori e quindi anche le zone della città non possono essere in assoluto pericolose. Sono percepite molto spesso come pericolose per una serie di preconcetti, percezioni, sensazioni e pregiudizi, per il tipo di gente che le abita e per il tipo di corpi che le attraversano insieme alle loro diversità.

Come si svolgeranno le performance guidate?

Durante il laboratorio abbiamo messo a fuoco le definizioni che rappresentano il fulcro del progetto e poi ho chiesto al gruppo delle donne di andare mappare con la costruzione degli itinerari i due quartieri di Cagliari macchiati da nomee colme di pregiudizi. Gli itinerari delle performance saranno guidati dal gruppo delle donne che condurranno gli spettatori e le spettatrici verso le zone che hanno maggiormente percepito come non tranquille e contaminate dal disagio, dal pericolo e dalla paura. Una persona alla volta del pubblico sarà accompagnata da una delle 13 performer-guida.

Leggendo le premesse di questo progetto le donne vengono considerate come soggetti politici protagonisti della loro stessa liberazione. Si va quindi oltre la narrazione della donna come vittima bisognosa di tutela e protezione e si cerca di analizzare le forme che costruiscono le discriminazioni connesse al genere e all’appartenenza territoriale, culturale, etnica e di classe.

Sì. È proprio il senso del progetto. Ho chiesto alle donne performer di essere lì con la loro esperienza e di essere per una sera guide, e padrone della città all’interno del progetto. Sono loro a guidare gli altri e questo elemento produce un senso di forza, di emancipazione ed autodeterminazione alle donne che partecipano a partire dal processo di mappatura e di costruzione dell’itinerario. loro stesse hanno declinato le loro paure e, a volte, i loro stessi pregiudizi. Questo processo di familiarità che magari non era presente all’inizio del progetto, perché alcune persone non conoscevano bene i quartieri, in qualche modo si sta consolidando e ora queste donne, mettendosi alla prova in un ruolo attivo verso loro stesse e il pubblico, ora riescono a vedere e riconoscere i propri limiti dando loro una nuova prospettiva e una nuova dimensione a loro stesse e alle loro paure.

Perché la paura in queste strade è frutto di percezioni?

Perché le statistiche ci raccontano che la violenza sulle donne è maschile ed è domestica. Non è una violenza che si riproduce nelle strade. La percezione per me è sullo stesso piano di un dato reale e lo dimostra anche il senso di questo progetto. Anche se frutto di percezioni, le paure sono legittime, perché nella realtà sono davvero invalidanti fino al punto di non farci uscire per le strade.

La nuova prospettiva di cui parli, mi pare di capire che non sia sono solo legata alla percezione della paura da parte delle donne nelle strade ma è legata anche alla visione del territorio e delle sue strade. Quanto è importante depurare questi quartieri dai pregiudizi e dallo stigma? Quanto è determinante nella costruzione del vostro progetto l’idea che chi abita nella parte della città più emarginata possa riscattarsi dal senso comune escludente?

È molto importante. Perché la paura non è mai neutra. Così come non è neutro un corpo che attraversa la città. Gli spazi non sono neutri, perché proiettiamo su di essi ciò che sentiamo, la nostra cultura, la nostra provenienza, il colore della nostra pelle, la familiarità o la mancanza di familiarità. Ho iniziato il progetto per una delle cose che mi è più rimasta in testa negli anni e mi ha fatto arrabbiare tanto nel momento in cui l’ho razionalizzata. Nel 2006 vivevo a Bruxelles, lavoravo come artista e anche in un bar e sono sempre rientrata a casa da sola attraversando una zona senza mai aver avuto paura. Fino a quando dei locali mi dissero che quella strada non potevo più attraversarla da sola, perché la notte era pericolosa per una donna. Perché questa zona era abitata principalmente da persone migranti e in particolare di origine araba. E io ho permesso che questa percezione, non mia, questo senso comune colmo di pregiudizi, mi inquinasse, contaminasse la mia visione, la mia esperienza diretta, innescando in me delle percezioni che prima non c’erano. Focalizzarsi su dei quartieri come San Michele e Sant’Elia è un modo per me di provare a disinnescare questo senso comune. Il progetto è composto da un gruppo di 13 donne, 13 prospettive diverse, perché sono persone che conoscono più o meno il quartiere e quindi che hanno più o meno una percezione della paura differente legata al modo in cui abitano il territorio.

Ho notato infatti che parte delle donne che compongono il gruppo del progetto abita nei quartieri oggetto dei percorsi guidati. È anche un modo per evitare una modalità di performance verticale e “colonizzante” da parte di un soggetto esterno e lontano dal tessuto urbano del quartiere?

Sì. Questa è proprio una delle ragioni del progetto. Abbiamo ricercato un gruppo di donne che conoscessero e risiedessero nel quartiere. Ma abbiamo anche aperto ad alcune donne che fossero esterne al quartiere. Un modo per creare un dialogo con gli sguardi e orientamenti diversi attraverso un confronto nel laboratorio iniziale che ho condotto. È stato interessante vivere dinamiche differenti tra persone che conoscono la zona e quelle che non la conoscono, anche rispetto all’età e al diverso bagaglio culturale.

Per maggiori informazioni si può visitare il sito di Sardegna Teatro o consultare i social di Sardegna Teatro e di Donne al Traguardo onlus, anche per la prenotazione e l’acquisto dei biglietti.

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