Fenomenologia del vino di Ulisse [6]
30 Aprile 2023[Alfonso Stiglitz]
Nel recente Vinitaly di Verona, nell’ambito delle manifestazioni del padiglione sardo, si è tenuta una iniziativa organizzata dalla Fondazione Mont’e Prama con la Dinamo Sassari e la Fasi (Federazione delle Associazioni Sarde in Italia) dal titolo suggestivo: “Il vino in Sardegna ai tempi di Ulisse”. Titolo intrigante che ti fa viaggiare con la fantasia nel tempo, nello spazio, nella letteratura e che può avere due svolgimenti: uno molto intrigante e uno bambo.
Il primo partecipa della complessità del viaggio fuori dal tempo o dalla geografia o, meglio, in un tempo e in una geografia che non sono i nostri, dotati come siamo di cronometri e Gps. Un viaggio affascinante e pieno di rimandi letterari e storici. Ulisse, a dire il vero, non è personaggio storico ma letterario, di una particolare forma di letteratura che è l’epica. A differenza del romanzo storico, l’epica omerica situa il personaggio e le sue avventure in un tempo storicamente non definito, lontano, un po’ orecchiato un po’ immaginato e in una geografia altrettanto inventata (nel senso ampio del termine). La connessione degli avvenimenti di quella guerra di Troia (quella omerica) con la (presunta) crisi del 1200 è cosa tarda, di autori lontani da quel tempo e, soprattutto, è fascinazione nostra.
Quindi, se il nostro racconto sul vino si riferisce a Odisseo – così lo chiamava in realtà Omero – si può parlare del vino della fine dell’Età del Bronzo, tra XIII e XII secolo prima della nostra era. L’archeologia sarda, infatti, ci sta fornendo i primi dati concreti sui vitigni coltivati in quest’epoca nella nostra isola, dai quali venivano tratti vini bianchi e rossi, anche se poco sappiamo del modo con il quale lo consumavano i nuragici e in quali occasioni. Piano piano ci arriveremo a capirlo.
Se, invece, ci riferiamo ai tempi di Omero o degli omeridi, visto che molte delle descrizioni dell’Iliade e dell’Odissea appartengono in realtà all’epoca della formazione dei poemi, più o meno l’VIII secolo avanti la nostra era, i dati sono decisamente più ampi e, quindi, più intriganti, non solo in Sardegna. Da noi avviene una rivoluzione vitivinicola nel senso della produzione, dell’esportazione e, soprattutto, del modo di bere. L’incontro, a partire almeno dal IX sec. tra il modo di fare e bere vino nuragico con quello fenicio cambia tutto: è il momento nel quale viene creato e fabbricato un contenitore che permette non solo la conservazione ma, soprattutto, la sua movimentazione via mare.
Vengono prodotte in tutta l’isola vere e proprie anfore da trasporto che derivano dal rapporto tra le tradizioni manufatturiere nuragiche e fenicie, con la creazione di contenitori ibridi, per usare il linguaggio postcoloniale (anche se io preferisco chiamarli meticci, ma questa è un’altra storia). La tipologia del contenitore permette l’esportazione del vino in tutto il Mediterraneo occidentale, nell’Italia centrale, a Cartagine, Utica e nell’Atlantico Mediterraneo, a Cadice, Huelva e così via. Nel viaggio, il vino contenuto nelle anfore è accompagnato dal set per mescerlo: una bottiglia (askos) tipicamente nuragica e un mortaio in ceramica per sminuzzare le erbe che saranno mescolate al vino, tipicamente fenicio. È il modo orientale di bere il vino riletto alla sarda. Arriveranno anche i set da vino greci ed etruschi, ma legati ad altri modi di bere il vino.
Odisseo, ad esempio, lo beveva mescolato con acqua – era da barbari berlo puro –, con miele e, tocco finale, una bella grattugiata di formaggio caprino (Iliade XI, 628-643). Indicatore archeologico di questo modo greco di bere sono le grattugie che si trovano nelle tombe dell’Italia centro-meridionale e in Grecia. Le grattugie mancano in Sardegna, segno che si preferisce l’altro modo di bere, quello sardo-orientale.
Se invece ci riferiamo ai poemi omerici come li leggiamo noi, si dovrebbe parlare del vino di età arcaica, visto che il ‘nostro’ testo venne messo per iscritto e modificato ad Atene per volere di Pisistrato, nel V secolo prima della nostra era; altre città fecero lo stesso. La Sardegna in quest’epoca vede la compresenza di corredi da vino fenici e greci, mentre ormai sono praticamente scomparsi i vasi nuragici a esso legati.
Ma Ulisse è il nome romano, mentre Omero lo chiamava Odisseo; quindi, potremmo riferirci al vino sardo in età romana che godeva di pessima fama, come si lamentavano i funzionari inviati nell’isola, già da allora. Magari lo possiamo raccontare decostruendo questo pregiudizio frutto di visioni colonialiste o, più semplicemente, di livore per la destinazione di lavoro o di esilio.
Per noi, continuando in questa ipotetica conferenza, per la nostra mentalità Ulisse è quello di Dante che gli fa costeggiare la Sardegna – «L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, / fin nel Morrocco, / e l’isola d’i Sardi,/ e l’altre che quel mare intorno bagna» – e, quindi, quanto di meglio sarebbe stato un assaggio del modo di fare e bere vino in età giudicale, ai tempi del ‘divino poeta’. Per non parlare di Joyce e del suo Ulisse, che passò la giornata in un’altra isola, diversa e allo stesso tempo simile alla nostra. Ma rischieremmo di fare notte e altre notti ancora.
In realtà niente di tutto questo avete sentito nella conferenza di Verona ma solo una serie di ‘primati’ più o meno inventati (nel senso ristretto del termine), utili per dimostrare (?) che Ulisse, in realtà Odisseo, durante il lungo assedio di Troia, bevesse vino sardo portato dai Nuragici-Shardana ovviamente artefici principali della guerra di Troia: che, poi, nel lungo assedio quel vino si sarà pure spunto.
Nel mio piccolo, ho sempre detto a Ulisse, mio coetaneo cocciuto, “mai accettare vino dagli sconosciuti”.
PS.
Questo è il link alla conferenza: https://www.facebook.com/watch/live/?ref=watch_permalink&v=6527140414035181
Un suggerimento di lettura per entusiasmarvi al lungo percorso del vino bevuto: Laura Pepe, Gli eroi bevono vino. Il mondo antico in un bicchiere, Bari-Roma, Editori Laterza, 2020: 12 euro ben spesi.
Fenomenologia nel senso di «Descrizione dei fenomeni, ossia del modo in cui si manifesta una realtà» (Enciclopedia Treccani) cfr. https://www.manifestosardo.org/fenomenologia-di-un-nuraghe-1/
Nell’immagine il vestibolo di Polifemo nella Villa Romana del Casale.
Le fenomenologie di Alfonso Stiglitz: Fenomenologia di un nuraghe [1], Fenomenologia dei cornuti [2], Fenomenologia di un nuraghe alchemico [3], Fenomenologia della Mac’Archeology [4], Fenomenologia dell’isola che non c’è [5].