Dialogare della morte

11 Maggio 2023

[Mario Fiumene]

Ho conosciuto Michela Murgia in occasione della presentazione del suo libro Accabadora edito da Einaudi. Una bella serata d’estate a Bosa nel sagrato dell’ex Convento dei Capuccini. Appena scemato il pubblico presente, con mia moglie ci siamo avvicinati all’autrice per chiedere se potessimo farle una domanda e siamo rimasti lì, a lungo, con lei, a parlare della morte.

Ho sempre trovato quel libro, al di là del romanzo, una fonte di riflessione non solo per la mia persona ma soprattutto per le persone che avevo incontrato e che avrei ancora incontrato tutti giorni per tanti anni in Ospedale e nelle loro case. La condizione di lavoro mi ha portato a guardare la morte delle persone attraverso i loro occhi e gli occhi dei loro familiari, soprattutto i giovani.

Avevo avuto un confronto con la morte da giovane volontario in terra d’Africa, con bambini affetti da parassitosi e conseguente mal assorbimento. A tante persone è capitato di sentire la descrizione della morte che fa l’uomo di Assisi meglio noto come San Francesco, la chiama sorella morte. Non c’è nessuno, forse c’è, che abbia una adeguata preparazione ad affrontare la propria e l’altrui morte. Nemmeno i venditori di armi, almeno credo, possano avere un barlume di pietà. Molti anni prima di incontrare la scrittrice venni a conoscenza di un corso di formazione dal titolo Comunicare con il morente.

A quel tempo svolgevo la funzione di Coordinare un Reparto (oggi unità operativa complessa) di Medicina interna. Come si può ben capire in quel luogo la morte era di casa. Proprio per il ruolo da me ricoperto avevo sentito doveroso fare domanda per poter frequentare il corso di due giornate e mezza. Era prevista la possibilità di soggiorno nella struttura delle Suore Giuseppine di Donigala Fenughedu nei pressi di Oristano, una struttura spesso utilizzata per incontri e per momenti formazione di vario tipo. Non mi furono concessi i giorni di permesso per aggiornamento con questa dicitura che conservo ancora gelosamente: “pur ritenendo il tema importante non è pertinente alla attività del Coordinatore”.

Restai basito, ma non mi lasciai tarpare le ali. Chiesi tre giorni di ferie e andai ad ascoltare tra gli altri il Porf. Thomamichel, psichiatra esperto sul tema della morte, che veniva dalla Svizzera. Da quel corso di formazione sono trascorsi 20 anni e tanti sono i corsi che ho frequentato sul tema della morte, del dolore. Tante le persone che ho visto morire, poter stringere le loro mani, vestire i loro corpi: anche i miei genitori per malattie come quelle della scrittrice Michela Murgia con la consapevolezza che non puoi fermare il male che gli affligge e non puoi impedire la loro morte.

Nel 1999 durante il mio periodo di volontariato sanitario e con la terrificante guerra in Kossovo a noi volontari la morte veniva raccontata dai sopravvissuti alle bombe, da chi per giorni era rimasto sotto sequestro, con il mitragliatore puntato alla testa dei loro figli, attraverso le violenze morali e fisiche subite. Dolore, sofferenza e morte vanno tutti nella stessa direzione di significato, denotano l’essere umano come esposto continuamente alla sua fine. È una condizione che l’uomo in parte condivide con ogni organismo vivente ed in parte vive in un modo unico. «Solo l’uomo fra tutte le creature sa che deve morire, solo lui piange i suoi morti, seppellisce i suoi morti, ricorda i suoi morti. La mortalità è stata considerata a tal punto segno di riconoscimento della conditio humana che l’attributo «mortale» è stato monopolizzato per l’uomo (H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica).

Dunque, quando si parla di dolore, sofferenza, morte si deve sempre essere consapevoli che si parla di una condizione che definisce la persona umana come tale. Durante i 42 anni della mia attività professionale non si è mai slegato il nodo teoretico e pratico di tutta la questione della pratica di allora e anche odierna sia della medicina che della infermieristica, esiste un “proprium” della dignità umana?

Potrei dire, ma non affermare che l’uomo (e ciò che è umano) ha uno status diverso, quando comparabile, superiore rispetto agli altri esseri viventi. Le difficoltà profonde di cui soffre la nostra vita quotidiana, nascono dalla progressiva trasformazione di esse. Si nega sempre più l’esistenza di un confine fra l’umano ed il non-umano, la reciprocità è sempre più intensa come una contrattazione di tutto, la donazione è sempre più sostituita dal calcolo di una dare-avere che deve sempre chiudersi almeno in parità, in termini dei propri interessi individuali.

Quanto appena detto è stato spazzato via dalle parole di Michela Murgia, lei ha fatto a tutti noi un grande dono, ci ha detto che si può, si deve comunicare con la morte e ancora di più che si deve comunicare con il morente. A lei il mio personale grazie e l’augurio che possa accabbare il romanzo della sua vita con la presenza delle persone a lei care.

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