Una proposta per tutelare la vita delle persone detenute
26 Agosto 2023Foto Roberto Pili
[Ornella Favero]
Salviamo davvero qualche vita e non bastano certo due telefonate in più al mese. È da anni che noi portiamo avanti la battaglia perché alle persone detenute sia data la possibilità di curare gli affetti e rafforzare le relazioni.
Abbiamo tirato un sospiro di sollievo a leggere che il ministro Nordio si era reso conto dell’importanza di dare una svolta a tutta la negatività che sta travolgendo le carceri puntando proprio in particolare sull’aumento delle telefonate. Ma poi siamo ripiombati nella dura realtà di proposte inconsistenti, perché crediamo che tutti quelli che come noi entrano tutti i giorni in carcere tale reputino la proposta di aumentare da quattro a sei le telefonate mensili. Ma cosa cambierebbe con due miserabili telefonate in più al mese di 10 minuti l’una in quelle vite di solitudine isolamento lontananza dalle famiglie?
Da quando è scoppiato il Covid abbiamo continuato a dire che quelle telefonate in più (concesse dopo le rivolte con cadenza quotidiana o quasi) che avevano salvato il sistema dal disastro, non potevano più essere tolte, anzi andavano potenziate.
E invece è successo quello che non doveva succedere: fermata l’epidemia si è deciso di fermare anche molte delle telefonate in più, salvo in quelle carceri dove la forza del volontariato e del Terzo settore, delle persone detenute e dei loro familiari ha trovato una risposta saggia delle direzioni e il buon uso delle loro prerogative per mantenere le telefonate.
Sappiamo benissimo che sarebbe importante la modifica della legge, però sappiamo anche che molto si può fare già da ora, e soprattutto che non bisogna mollare la presa, tanto più in un periodo in cui in carcere si manifesta sempre più alto il disagio con suicidi e atti di autolesionismo, uniti alla desertificazione delle estati negli istituti di pena.
A chi risponde che hanno sbagliato e devono pagare’ non si ricorda mai abbastanza che secondo la nostra Costituzione le pene devono tendere alla rieducazione e non si rieduca rispondendo al male con altrettanto male.
I nostri governanti sembrano ignorare che la pena detentiva consiste nella privazione della libertà e non in altre ‘torture’ che possono spingere anche al suicidio, come la mortificazione degli affetti.
Perché qui si fa del male anche ai familiari, che non hanno nessuna responsabilità, anzi hanno bisogno di essere incoraggiati e aiutati. E ricordiamoci che ci sono paesi in cui le famiglie indigenti vengono sostenute dalle istituzioni. Le telefonate le persone detenute in Italia se le pagano: qualcuno non venga a dirci che non si possono creare differenze tra chi può pagarne di più e chi non può, si tratta piuttosto di aiutare e sostenere chi non ha possibilità, tanto più che se queste persone avessero come prescrive la legge un lavoro, questo problema non esisterebbe.
Sono anni che Ristretti Orizzonti e la Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia portano avanti importanti battaglie in particolare sul tema degli affetti (che significa anche colloqui, colloqui intimi, massimo ampliamento dei colloqui con terze persone,…). In quest’ultimo anno si è aggiunta poi l’associazione Sbarre di zucchero, nata in seguito al suicidio di una giovane donna detenuta, Donatela Hodo, una realtà che ha portato in queste battaglie passione, intelligenza e capacità di comunicazione.
Insieme chiediamo al Ministro della Giustizia un gesto di cambiamento vero.
Chiediamo di sostenere questa nostra richiesta al presidente Mattarella e a Papa Francesco.
Ornella Favero è la presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia