Sull’attualità dell’antifascismo

20 Settembre 2023

[Antonello Murgia]

In questo scorcio di secolo abbiamo sentito sempre più spesso la destra giudicare l’antifascismo come del tutto inutile in quanto il fascismo al quale si vorrebbe opporre non esisterebbe più.

Sembra una famosa scenetta di Totò “e perché dovrei lavarmi, sono una persona pulita, io”.  parte il fatto che le manifestazioni fasciste sono state tenute a freno in questi quasi 80 anni proprio dall’esistenza dell’antifascismo, mi sembra ancor più ridicolo doverne giustificare l’esistenza in una fase politica nella quale il fascismo storico gode di consensi che dalla sua caduta non erano stati mai così alti e in cui i suoi eredi costituiscono il 1° partito in Parlamento e stanno occupando progressivamente i gangli del potere e dell’informazione.

Ma questi sono i tempi nei quali ci è dato vivere e per questi tempi dobbiamo attrezzarci.

Se il 19,8% degli italiani ritiene che Mussolini sia stato un grande leader che ha solo commesso qualche sbaglio e se il 15,6% pensa che lo sterminio degli ebrei non sia mai avvenuto, come è emerso dal Rapporto Italia 2020 di Eurispes, io credo che dell’antifascismo ci sia molto bisogno e lo penso ancora di più se la negazione della Shoah nel 2004 convinceva solo il 2,7% degli intervistati. E’ evidente che in questi ultimi decenni è stata presa per buona una narrazione non corrispondente alla realtà: come è stato possibile?

Forse perché, come dice Francesco Filippi nel suo “Mussolini ha fatto anche cose buone” del 2019 “pensare ad un ipotetico passato positivo lascia una speranza nell’animo di chi è scontento del proprio presente”. Sia vero o no, la battaglia per la memoria della Resistenza è andata di pari passo con quella per la difesa dei più deboli ed ha costituito l’impegno principale dell’ANPI che i cittadini hanno anche apprezzato come dimostrano le iscrizioni in costante crescita nonostante l’attuale diffusa disaffezione dalla politica.

Siamo impegnati da un lato a diffondere la ricerca storica e a mettere in guardia dalle narrazioni di comodo che in quella ricerca non hanno mai trovato riscontro e dall’altro a coltivare lo spirito della nostra Costituzione e la richiesta della sua applicazione ampiamente disattesa. Mi riferisco in particolare all’art. 3 che impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.

Oggi dal punto di vista politico e sociale la situazione è decisamente più preoccupante rispetto a quella del 7 luglio di quel 1960 nel quale avvenne, ad opera della polizia, la strage di 5 operai che manifestavano pacificamente a Reggio Emilia. Allora la CGIL e l’opposizione di sinistra si mobilitarono impedendo che a Genova venisse celebrato il congresso del MSI e costringendo alle dimissioni il governo Tambroni che aveva autorizzato l’uso delle armi da fuoco contro manifestanti inermi. Oggi il partito erede del fascismo storico è addirittura il primo partito italiano e guida la compagine governativa con provvedimenti di chiaro stampo autoritario come il decreto chiamato anti-rave che è chiaramente anti-manifestazioni pubbliche e che è stato approvato in fretta e furia approfittando di un concerto non autorizzato ma che non ha comportato nessun pericolo pubblico. E nonostante questo ed altri preoccupanti provvedimenti, la mobilitazione di partiti, sindacati e associazioni della società civile è oggi molto più tiepida rispetto al 1960.

Francesco Filippi, nel saggio già citato, dice che “mostrare la realtà di quel passato è un primo passo per evitare che quel passato diventi futuro”. Giusto: vediamo qualche esempio. Il primo che mi viene in mente, oggi che abbiamo la prima Presidente del Consiglio donna è l’atteggiamento che il regime tenne nei confronti delle donne. Tra regio decreto 1054 del 1923 – la cosiddetta riforma Gentile – e regio decreto 2480 del 1926 venne stabilito:

  • la direzione delle scuole medie e secondarie vietata alle donne;
  • raddoppio delle tasse scolastiche alle studentesse per scoraggiare le famiglie dal farle studiare;
  • esclusione delle donne dalle cattedre di lettere e filosofia nei licei;
  • divieto per le donne di essere nominate dirigenti o presidi di istituto.

La legge 221 del 1934 limiterà poi notevolmente l’accesso delle donne ai concorsi e il decreto legge del 5 settembre 1938 fisserà un limite del 10% all’impiego di personale femminile negli uffici sia pubblici che privati.

Nel 1938 l’ideologo del fascismo Ferdinando Loffredo, scriveva nel suo saggio “Politica della famiglia”: “Avendo l’esperienza dimostrato che l’apporto dato dalla donna emancipata allo sviluppo della civiltà è negativo nel campo della scienza e delle arti e anzi costituisce il più certo pericolo di distruzione per tutto quanto la civiltà bianca ha finora prodotto, la donna deve tornare sotto la sudditanza assoluta dell’uomo, padre o marito”. Loffredo faceva queste affermazioni a 4 anni dalla morte di quell’assoluto genio scientifico che fu Marie Skłodowska Curie, doppio premio Nobel, per la fisica nel 1903 e per la chimica nel 1911. E’ evidente, nel fascismo, la pretesa di dominio dell’uomo sulla donna. Una pretesa che nel 2023 sembra aver lasciato ancora strascichi: nonostante le tante battaglie e conquiste del movimento delle donne, Giorgia Meloni pretende ci si rivolga a lei come Presidente del Consiglio usando il maschile.

I nostalgici del ventennio ci dicono che come tutte le ideologie, anche il fascismo non può essere messo al bando in una società democratica e pluralista. Non dicono però che era un’ideologia che predicava l’odio, difendeva la pretesa del più forte di sottomettere il più debole, escludeva la possibilità di espressione per tutte le altre idee, la manifestazione delle quali metteva a repentaglio la libertà personale e talora la vita.

E nei rapporti internazionali le cose erano ancora peggio, anche se i difensori del fascismo hanno sempre cercato di accreditarlo come movimento mite, di “italiani brava gente” a differenza dai nazisti. Come ci ricorda Angelo Del Boca nel suo “Le guerre coloniali del fascismo” del 1991, ciò che contraddistinse il ventennio fu la giustificazione anche ideologica dei crimini coloniali. Invito a leggerlo è disponibile in libera consultazione sul web ed è illuminante; Del Boca è il più grande storico delle avventure coloniali italiane. Per citare solo alcuni di questi crimini, il massacro dei 449 inermi e pacifici monaci a Debrà Libanòs, l’uso nella guerra italo-etiopica del 1935-36 del gas iprite letale e messo al bando dalle convenzioni internazionali, la deportazione di massa effettuata in Libia nel 1930, una delle più massicce della storia del colonialismo europeo. Quando ancora i campi di concentramento nazisti non erano stati neanche pensati, i fascisti “italiani brava gente” edificavano in Africa luoghi di reclusione e sterminio: dei 100.000 internati nei campi della Sìrtica, alla loro chiusura, 3 anni dopo, ne sopravvivevano 60.000.

E la narrazione che gli eredi del fascismo hanno sempre cercato di imporre per sollevare il regime dalle sue gravissime responsabilità, ebbe a lungo una fortuna piuttosto scarsa. E allora cos’è che è cambiato, cos’è che ha fatto sì che l’estrema destra in questi anni ricevesse consensi crescenti? Il crollo della 1a Repubblica con la scomparsa dei partiti presenti nell’Assemblea Costituente, la svolta della Bolognina del PCI e lo sdoganamento dell’estrema destra da parte di Berlusconi hanno avuto certamente il loro peso, così come, alle ultime elezioni politiche, il mancato accordo fra le principali forze progressiste, ma credo che un ruolo importante lo abbia avuto anche l’accettazione di quello sdoganamento da parte di esponenti di primo piano della sinistra. MI riferisco, per esempio, al discorso di Luciano Violante nel maggio 1996 per l’insediamento come Presidente della Camera, quando dice ai deputati, “occorre sforzarsi di capire i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò”. Violante, parlando nell’esercizio delle sue funzioni, riconosceva a quei motivi una dignità politica che a sinistra fino ad allora non era stata riconosciuta.

E ancora più importante, in questo processo di sdoganamento, trovo sia stata l’istituzione nel 2004 del “giorno del ricordo” che avvenne certo su pressione della destra, ma che fu approvato con 502 SI e solo 15 NO; cioè incontrò favori anche a sinistra, ad esempio nel Presidente della Repubblica Napolitano che fece sua l’accusa di pulizia etnica nei confronti degli italiani che avevano colonizzato la regione oltre il confine di Nord-Est, pulizia etnica assolutamente negata dagli storici. E il giorno del ricordo è stato usato in Friuli e Veneto, ma non solo, per avviare un progetto articolato di revisionismo storico che sta già dando i suoi frutti avvelenati.

Vorrei ricordare che antifascismo e Resistenza sono stati la contrapposizione non solo alla violenza autoritaria, ma anche all’egoismo individualistico e hanno rappresentato i valori di una società che vuole crescere insieme e non come risultato dello scontro fra corporazioni. L’antifascismo ha ragione di esistere anche per questo importante motivo ed esso, a mio parere, viene indebolito anche quando si accettano scelte come quella dell’autonomia differenziata che è all’ordine del giorno dell’agenda politica e che rappresenta un chiaro esempio di quell’egoismo, di quel noi contro loro, che fu un tratto caratteristico, anche se non esclusivo, del fascismo.

Nel nostro piccolo cerchiamo di portare avanti i valori di uguaglianza e solidarietà con i nostri convegni, le nostre pagine sui social, gli interventi nelle scuole da quella Primaria all’Università. Quest’anno nella città metropolitana di Cagliari l’intervento su 21 classi della scuola Primaria ci ha fatto toccare con mano quanto i temi della Resistenza, della Costituzione e dei diritti fondamentali possano essere trattati proficuamente anche con i bambini.

Nel 1944, quindi in piena Resistenza, Aldo Capitini aveva detto: “Antifascista può diventare un giorno una parola inutile o molesta nel ricordo, come fascista. Tranne un caso. Quello che i residui del fascismo ancora ricomparissero accanto o dentro nuovi allineamenti politici”. Personalmente sono convinto che di motivi ce ne siano anche altri, ma non ci sono dubbi che il motivo indicato da Capitini sia purtroppo presente in questa fase di egemonia politica della destra e questo ci chiama all’impegno.

Antonello Murgia è il coordinatore regionale dell’ANPI in Sardegna

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI