Per Rossana Rossanda
9 Maggio 2024[Massimo Serafini]
Il 23 aprile scorso Rossana Rossanda avrebbe compiuto cento anni. Pubblichiamo un articolo in sua memoria firmato da Massimo Serafini su il manifesto in rete.
Non desidero parlare dei miei tanti ricordi personali con Rossana, accumulati in oltre 50 anni di conoscenza ed esperienze di vita e lotte politiche comuni. Tantomeno aggiungere cose a quanto sarà già stato detto sul vuoto di idee che la sua assenza ha lasciato nel paese e in ognuno di noi. Basterebbe pensare alle guerre e alla crisi evidente del movimento pacifista. Ucraina e Gaza ripropongono un tema caro alla cultura politica del manifesto, soprattutto a te e Lucio Magri che su questo punto avete scritto tanto a cominciare da “Spazio e ruolo del riformismo” che Lucio scrisse mi pare nel lontano ‘73.
In buona sostanza l’esaurirsi per il capitalismo delle possibilità di risposte riformiste alla domanda progressista che saliva dal paese determinandone la sua crisi profonda, crisi che la globalizzazione non ha risolto. Aggiungevamo allora che mancava al capitale per la forza della domanda di cambiamento anche la possibilità di reprimere quella spinta. Oggi che la domanda di alternativa sociale è debole il capitale pensa seriamente per uscire dalla sua crisi di praticare scelte autoritarie. Insomma, Trump non è una stranezza, come non sarebbe un imprevisto che le prossime elezioni europee ci consegnassero un’Europa non solo governata dalle destre ma a forte egemonia dei paesi che erano sotto il dominio dell’ex Unione Sovietica, largamente. Quindi riarmo generalizzato e definitivo ridimensionamento dello stato sociale. Senza una fuoriuscita dal capitalismo ciò che prevarrà saranno le barbarie.
Sicuramente avresti condiviso che la crisi del pacifismo è correlata alla sua mancanza di radicalità, al venir meno di una sua proposta alternativa di società. C’è poi un dato evidente, ma ampiamente sottovalutato, che sicuramente avrebbe suscitato una discussione fra noi, e cioè che le guerre e il riarmo derubricano la lotta al cambiamento climatico in cui è evidente che ogni ulteriore ritardo rende concreta la possibilità della sua ingovernabilità e quindi della sopravvivenza stessa della specie umana. Le recenti immagini del desertico Qatar allagato dicono molto su ciò che ci aspetta.
L’ordine dei problemi che sto sommariamente elencando fa capire bene quanto manchi il contributo di Rossana. Non manca però solo una persona, una grande e colta intellettuale comunista. Manca molto di più. Siamo privi della Rossana portatrice di un progetto politico collettivo con cui contrastare la deriva in atto. Non credo che una serie di suoi stimolanti articoli ci toglierebbero dai guai in cui siamo.
Manca cioè la Rossana politica, quella legata a un disegno politico collettivo, cioè la Rossana protagonista, insieme al cosiddetto gruppo storico, del progetto politico del Manifesto, che sminuiremmo se lo riducessimo solo a un giornale, perché è stato soprattutto un movimento politico organizzato addirittura un partito il PDUP.
Certo pur di averla fra noi mi accontenterei e ci accontenteremmo anche della grande intellettuale, delle sue straordinarie intuizioni che i suoi scritti e i suoi libri ci lasciano. Ma ciò che manca davvero è il suo contributo alla ridefinizione di un progetto collettivo anticapitalista, Ci manca la Rossana che insieme al gruppo poi radiato dal PCI diede vita alla rivista del manifesto e al progetto politico che lo ispirava. Di questo percorso lei è stata parte fino alla rottura che partì da un giudizio diverso che demmo del movimento del 77, proseguito poi negli anni successivi e che si consolidò nel 79 nel congresso di Viareggio del PDUP. Una rottura tutta politica e non come molti sostengono una lesione dell’autonomia del giornale da parte del partito. Come sia poi andata è noto, nell’84 sulla base della svolta impressa da Berlinguer alla linea del PCI, gran parte del PDUP per sostenerla decise di rientrare nel partito comunista, diventando poi un pezzo importante di quel 30% del PCI che cercò di impedirne lo scioglimento; mentre Rossana, Pintor, Valentino, con l’intero collettivo del giornale continuarono a fare il quotidiano comunista. È tutto molto semplificato ma non ho il tempo di un’analisi approfondita.
Non mi nascondo ovviamente che il progetto su cui nacque il Manifesto è stato sconfitto e lo è stato per tutti, per il giornale, per il PDUP.
Non capirei però il bisogno di continuare a chiederci “cosa avrebbe detto Rossana” la stessa iniziativa di oggi, l’inserto fatto dal manifesto, o il fatto che da tre anni un centinaio di militanti che sostennero le scelte di Magri si ritrovino a Rimini/Bellaria per discutere su che fare, ecco non capirei tutto questo come fatto nostalgico senza cioè quell’ambizione collettiva con cui abbiamo provato a ridare un senso alla parola comunismo e soprattutto alla rivoluzione sociale necessaria per realizzarlo.
Rammento i tuoi interventi Rossana in quelle interminabili riunioni, in sale piene di fumo più che di popolo, con cui riuscivi a fare mediazioni intelligenti che davano a chi ti ascoltava argomenti per agire il giorno dopo nella sua fabbrica nel suo quartiere nella sua scuola. Insomma, vai ricordata, cara Rossana, come una protagonista della storia politica italiana proprio in quanto animatrice del Manifesto e della sua idea di fondo di rifondare la cultura politica del PCI, cioè del più grande partito comunista dell’occidente. Il tema che vi e ci assillava, per il quale avete sfidato la rigida disciplina del PCI facendo la Rivista che poi vi è costò la radiazione, fu come era possibile garantire uno sbocco politico alla spinta al cambiamento che veniva dalla società, prima col 68 e poi con l’assalto al cielo degli anni 70 della classe operaia.
Schematicamente sostenemmo che andava costruito un movimento politico organizzato in grado di rifondare la cultura politica riformista e moderata del movimento operaio e in particolare del PCI per favorire l’incontro con la nuova sinistra espressione delle lotte studentesche ed operaie. La rivista prima e poi Il giornale e quei 7000 compagne e compagni organizzati sul territorio sono stati gli strumenti con cui abbiamo cercato di realizzare questo obiettivo. Come sia andata è noto
In questo itinerario ci siamo certamente divisi ma poi anche nuovamente incontrati, prima di tutto nei conflitti, le lotte operaie in difesa dei consigli, il terremoto dell’Irpinia i 35 giorni della Fiat, la lotta contro i missili a Comiso. Ma soprattutto abbiamo ritrovato un progetto comune dopo lo scioglimento del PCI pubblicando, grazie alla testardaggine di Filippo Maone, la seconda rivista del manifesto che nel pieno del movimento dei social forum riunì tutta la sinistra comunista e non solo. Non sostengo che si sarebbe evitata la sconfitta, ma non smetto di pensare che forse la crisi del PCI avrebbe potuto prendere una diversa direzione se tante compagne e tanti compagni che hanno partecipato a questa seconda rivista del manifesto avessero condiviso la prima rivista e il suo progetto.
Questi sono stati i temi delle discussioni fra me e Rossana, l’impegnativo confronto che abbiamo avuto negli ultimi anni della sua vita. Prima a Parigi in cui io e Marina Turi spesso insieme a Filippo Maone venivamo a trovarti. Quegli incontri produssero uno scambio di lettere con cui insieme abbiamo tentato di raccontare i reciproci punti di vista sulla nostra storia, dal manifesto, al PDUP.
Tutte e tutti sappiamo che eri Rossana una donna straordinariamente curiosa e quindi non ci confrontavamo solo sul passato, ma anche sul presente sulle cose da fare. La discussione scivolava spesso sull’esperienza spagnola e su Podemos, a cui io mi ero iscritto. La colpiva il fatto che la rivolta degli indignati avesse prodotto un partito ambientalista e femminista che in pochi anni aveva coagulato attorno a sé fino al 20% della società spagnola e almeno in parte imposto quello che al Manifesto non era riuscito un cambiamento radicale della linea del PSOE che ha permesso in Spagna un governo di coalizione di sinistra che ancora regge, unico in Europa. Era il programma della coalizione che ti stupiva e ad ogni visita ci chiedevi se fossero rimasti solo buoni propositi o realmente le cose concordate venivano realizzate. Non ho il tempo per rattristare ognuno di noi con le difficoltà che oggi attraversa l’esperienza spagnola mi limito a raccontare una vicenda che evidenzia proprio la passione che metteva Rossana sugli spazi di luce che si aprivano a sinistra.
Dopo il secondo congresso di Podemos a cui Marina Filippo ed io partecipammo, andammo da Madrid a Parigi per raccontarlo a Rossana. La discussione che facemmo per un intero pomeriggio si trasformò in una intervista di Marina a lei, cosa che riportò sul Manifesto Rossana. Il femminismo spagnolo fu un altro tema su cui voleva sapere e durante una nuova visita a cena zittì me e Filippo e si fece raccontare da Marina lo straordinario sciopero dell’otto marzo in Spagna. Rossana condivise un passaggio e cioè che se si voleva dare un senso a qualsiasi progetto di rifondazione della politica i femminismi dovevano essere una priorità.
Il confronto continuò dopo il suo ritorno a Roma che coincise col mio rientro da Fuerteventura. A Marina e me colpì la sua voglia di fare, di impegnarsi. Appena arrivata con i bagagli ancora da disfare ci propose di fare una rivista da allegare al manifesto. Sapevamo e lei stessa lo sapeva che non c’erano né le forze né la disponibilità del giornale, ma ricordo che nessuno di noi si sottrasse. Io in particolare cercai di convincerla che ciò che serviva era un foglio ambientalista e femminista.
Per rilanciare la giustizia sociale e sostenere i diritti del lavoro come lei sosteneva andava rovesciato il paradigma indirizzando le risorse sui bisogni collettivi inevasi come il bisogno di ambiente di aria e acque pulite di cibi sani di un clima amico. Per dare un senso ad una nuova soggettività politica servono conflitti ed è dal territorio che bisogna farli ripartire, dove si concentrano il grosso delle contraddizioni sociali che la stessa riconversione ecologica della società produce, il luogo dove più forte è la necessità di unire i soggetti oggi divisi che animano lotte.
È questo il luogo nel quale la CGIL può uscire dalla trincea in cui ha messo se stessa e chi lavora ed essere protagonista di una vera transizione ecologica e non della difesa del lavoro che c’è inquinante precario e pericoloso. Ascoltava queste mie riflessioni e poi obiettava che non vedeva le forze in grado di realizzare questo salto. Sono state belle e utili discussioni che mi fanno sentire ancor di più la sua mancanza.
Chiudo dicendo che mi ritengo una persona fortunata, molto fortunata non solo per essere stato un compagno che ha condiviso con lei e l’insieme del gruppo storico la storia appassionante del Manifesto, ma essere stato anche un suo amico che ha potuto condividere le cose belle e brutte che la vita riserva ad ognuno di noi.