Le maldicenze su Grazia Deledda

2 Ottobre 2024

[Francesco Casula]

Il 27 settembre scorso ricorreva il 153^ Anniversario della nascita di Grazia Deledda: una scrittrice più famosa che conosciuta e studiata. Anche perché la Scuola italiana non prevede lo studio delle sue opere e della sua figura.

Basti ricordare che è ancora in vigore un DPR 89/2010, nel quale Mariastella Gelmini, all’epoca Ministro dell’Istruzione, dettava le linee guida per i docenti, e definiva i fondamentali degli insegnamenti ritenuti strategici per le scuole superiori.

Ebbene in questo documento, per quel che concerne la poesia e la narrativa del ‘900 da affrontare nei licei, sono indicati a titolo esemplificativo diciassette autori principali a cui fare riferimento: non c’è Grazia Deledda, finora unica donna in Italia che abbia avuto il Premio Nobel per la Letteratura. Come non c’è un romanziere di levatura europea come Salvatore Satta. C’è invece un certo Meneghello (con tutto il rispetto per lo scrittore vicentino).

Ma non basta: sulla scrittrice nuorese, a piene mani vengono ancora distribuite e diffuse maldicenze e persino contumelie infamanti.

Ne ricordo due in particolare rivolte alla sua persona.

Sarebbe stata una donna “provinciale”, arretrata, con lo sguardo rivolto solo al passato, premoderna, chiusa. Niente di più falso. Nel 1909 accettò la candidatura, per il collegio di Nuoro, del Partito radicale, per le elezioni politiche. Il Partito radicale era allora il Partito più aperto e “progressista”, specie in relazione ai diritti civili. Tanto che fin da allora sosteneva una legge sul divorzio. A questo proposito la Deledda, intervistata nel 1911 dal Quotidiano “La Tribuna” sostenne che il divorzio diventa indispensabile quando i due coniugi sono impossibilitati a convivere. Ce lo ricorda Neria De Giovanni, una delle massime studiose della Deledda (in Grazia Deledda, Maria Pacini Fazzi editore, Lucca, 2016) cui Neria ha dedicato ben 13 libri.

    La seconda “maldicenza”, ancor più grave, è l’accusa di essere stata fascista o comunque corriva con il Fascismo, grazie al quale avrebbe ottenuto il Premio Nobel. Si tratta di un vero e proprio falso storico. In realtà – è sempre Neria De Giovanni a documentarlo – pare che in quell’anno Mussolini avesse segnalato Ada Negri non la Deledda, cui il Premio non arriva comunque improvvisamente. Ha infatti avuto ben “12 candidature negli anni passati, la prima nel 1913 e poi, una all’anno fino al 1927, con l’esclusione del 1916, 1919, 1926”.

    E a proposito del suo atteggiamento verso il Fascismo ecco il racconto di Neria De Giovanni nel libro sopracitato (pagine 57-58): ”Dopo il Nobel, a Roma la vuole incontrare Mussolini. Il duce manda una macchina per condurla a Palazzo Venezia nella sala del Mappamondo. Dopo averle donato una sua foto con cornice d’argento e dedica: «A Grazia Deledda con profonda ammirazione», Benito Mussolini, le domanda cosa può fare per lei. Grazia risponde decisa che non vuole niente per sé, ma chiede clemenza per il proprietario della sua casa natale di Nuoro, Elias Sanna, che era al confino benché lei garantisca essere persona onesta sotto tutti i punti di vista… Appena congedata da Mussolini, un funzionario di partito le chiede che cosa volesse fare per il Fascismo, vista la benevolenza del duce e lei risponde asciuttamente: «L’arte non conosce politica».

    Come ritorsione ci fu «un consiglio» ai librai di non esporre i libri della neo Premio Nobel. I diritti d’autore sulla vendita dei libri, quell’anno, furono molto più scarsi del previsto per questa motivazione che lo stesso editore Treves svela in una lettera di risposta alla Deledda, seccata per il poco guadagno.

    Bene. Questa la verità storica sui rapporti fra la Deledda e il fascismo. Ma, premesso che uno scrittore deve essere valutato per le sue qualità letterarie ed estetiche e non per le sue appartenenze politiche, perché si tira fuori l’improbabile “fascismo” a proposito della Deledda e non si fa cenno a proposito di autori e intellettuali come – e sono solo degli esempi – Ungaretti, Malaparte, Soffici?

    Ma soprattutto a proposito di Pirandello? Che aderì al esplicitamente al Fascismo nel settembre 1924, in uno dei momenti di massima crisi di Mussolini e del movimento, dopo il caso del delitto Matteotti? E aderì attraverso un telegramma pubblicato il 19 settembre del ’24 su “L’impero”, un giornale fascista dell’epoca, con una vergognosa dichiarazione di servilismo?

    Ecco il testo del telegramma: “Eccellenza, sento che per me questo è il momento più propizio per dichiarare una fede nutrita e servita sempre in silenzio. Se l’Eccellenza Vostra mi stima degno di entrare nel Pnf pregerò come massimo onore tenervi il posto del più umile e obbediente gregario. Con devozione intera, Luigi Pirandello”. L’anno seguente Pirandello sottoscriverà anche il “Manifesto degli intellettuali fascisti” di Giovanni Gentile.

    Ma tant’è: verso i Sardi il dileggio e/o l’autodileggio. Verso gli italiani l’esaltazione e le lodi.

    Cando l’amus a acabare?

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