Il Natale di Salvatore Cambosu

14 Dicembre 2024
Salvatore Cambosu ritratto da Foiso Fois (1951)

[Francesco Casula]

Ricorre quest’anno il 70^ anniversario di Miele Amaro, il capolavoro di Salvatore Cambosu, il grande scrittore e intellettuale di Orotelli, ingiustamente poco conosciuto dagli stessi sardi. Eppure, ci sarebbero molti motivi per studiarlo e apprezzarlo.

Possiamo considerare infatti Miele Amaro un bastimento carico di essenze e pimpirias di filosofia, arte e architettura, storia e paristoria, d’immagini preziose e di racconti, di miti e credenze e pratiche popolari. Ed anche una enciclopedia e un labirinto di segni e simboli, filastrocche e aneddoti e dicios, esprimenti la nostra antica sabidoria. E insieme un breviario di tutto ciò che un sardo può (e deve) conoscere e amare della sua Terra; un mosaico, insomma, della vita della Sardegna intera.

In essa, Cambosu, ora come etnologo e antropologo, ora come demologo e storico, ma soprattutto come narratore e poeta, racconta dall’interno, dal sottosuolo, facendosi portavoce del popolo, una sardità non mitizzante ma ancorata alla realtà.

Fra i tanti temi a lui molto cari e tra i più frequentati vi è il Natale. Ecco cosa scrive in proposito nel capitolo Poesie Natalizie liete e tristi: «Certo, ci vuole proprio un villaggio perché un bambino come Gesù possa nascere ogni anno per la prima volta. In città non c’è una stalla vera con l’asino vero e il bue; non si ode belato, e neppure il gri­do atroce del porco sacrificato, scannato per la ricorrenza. In città è persino tempo perso andar cer­cando una cucina nel cui cuore ne­ro sbocci il fiore rosso della fiamma del ceppo. E infine, con tante luci che vi oscurano le stelle, è troppo pretendere attecchisca la speranza che, alla punta di mezzanotte, i cie­li si spalancheranno e dallo squar­cio s’affaccerà una grotta azzur­ra…».

Riporta quindi una serie di gosos e poesie legate alla Natività:

Celesti tesoru/ d’eterna allegria/ dormi vida e coru/ riposa anninnia/

Dormi cun riposu /dormi fillu miu/ divinu pippiu/ de su mundu gosu/ fillu graziosu/ de s’anima mia.

 Su veru redentore/ passat da-e sas alturas/ cagliadebos creaturas/ ca dormit su Segnore.

E ancora:

Otto dies est a como/ chi su Segnore est naschidu/ a cantare est bessidu/ minoreddu e tantu abbistu/ In nomen de Gesù Cristu e de sa mama Maria…

E invece in un Racconto, Il Natale in Sardegna scrive «Nei miei ricor­di non c’è posto per un Natale senza neve. Il Bambino nasceva ogni anno, in quella chiesa pisana, intie­pidita dal calore della folla, tra una sparatoria, un abbaiare e uno scam­panio frenetico. Nevicava. Le donne, inginocchiate sul pavimento nudo, cantavano. Tutto ormai era a po­sto. La stella d’Oriente, che aveva viaggiato per gioco di fili dal porto­ne al tabernacolo, dove c’era il pre­sepe nascosto da una tendina, ades­so era a perpendicolo sulla testa del celebrante. La tendina rimossa, il Bambino sgambettava nudo, e Ma­ria era china sulla culla di paglia.

La felicità poco durava. Di punto in bianco le donne intonavano, in no­me suo, un’altra ninna nanna: il cuore materno, a tanto breve di­stanza dal primo vagito del Bambi­no, già presagiva tra i ceri accesi e il profumo degli incensi, l’ombra della Croce sul nudo Calvario».

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