Israele e l’Iran, perché non succeda l’irreparabile
16 Dicembre 2024[Fernando Codonesu]
Il prossimo passo, secondo molti osservatori oramai imminente, dovrebbe essere l’attacco all’Iran.
Tutto lascia supporre che Israele sarà autorizzato a breve, e logisticamente aiutato, a completare quel suo lavoro sporco partito molti decenni prima del 7 ottobre 2023. Ma tant’è, sembra che l’unica data che conti sia proprio il 7 ottobre 2023, visto come spartiacque tra un prima (dimenticato) e un dopo, ricordato a piè sospinto tutti i giorni da tutti i media internazionali e nazionali, il cosiddetto mainstream. I morti sono tutti uguali? No, come ci ricorda la storia delle rappresaglie durante la resistenza italiana, dove in diversi casi i nazisti usavano un moltiplicatore per dieci per ognuno dei loro morti in danno dei partigiani o della popolazione civile, donne, vecchi e bambini che fossero poco importava. Così succede ora, ma nessuno dice veramente con parole forti (ma bastano le parole?): fermatevi!
Ci vorrebbero azioni concrete mirate alla pace da parte degli organismi internazionali, ad incominciare dall’Europa, ma non si intravedono proprio e non se ne profila nemmeno traccia all’orizzonte.
Negli attacchi mirati e nei bombardamenti generalizzati dell’esercito israeliano sono morte a Gaza e negli altri paesi del Medio Oriente sotto invasione di fatto da parte israeliana circa 60.000 persone: vi sembran poche? Si può parlare di risposta proporzionata in base al danno, come pare sia scritto da qualche parte del diritto internazionale di cui Israele e il suo datore di lavoro principale, gli Stati Uniti, si fanno comunque bellamente beffe?
E non si dica che ora sarà peggio perché c’è Trump!
Quando si tratta di politica estera sia i democratici sia i repubblicani hanno un solo comandamento: America First. La differenza tra i due schieramenti politici consiste solo nel fatto che tale comandamento (per loro è un principio!) va esercitato con ogni mezzo ad ogni latitudine del mondo. Per Trump e i Repubblicani va sbandierato e scritto a caratteri cubitali. Invece i Democratici non agiscono così, almeno apparentemente, ma tutti i presidenti democratici lo hanno comunque sempre esercitato con la forza militare ovunque, senza bisogno di doverlo affermare verbalmente.
Per cui prossimamente tutto ci fa intravedere un attacco definitivo all’Iran. In nome di cosa, della democrazia contro la teocrazia/autocrazia, del bene contro il male, dell’ebraismo contro l’islam, o meglio contro una parte di esso, lo sciismo?
Non mi pare che le religioni abbiano un ruolo in questa storia e nemmeno nella distruzione di massa decisa dalla guerra di annientamento di Israele contro i palestinesi di Gaza, in parte della Cisgiordania, del Libano e di tutta l’area mediorientale.
Più realisticamente, se si dà un colpo mortale all’economia del petrolio dell’Iran si raggiungeranno due risultati con un’unica operazione. In primo luogo, si ridurrà alla fame tutto quel grande paese, circa 90 milioni di abitanti, e forse, ma non è detto, ci sarà un cambio di regime, di cui si ignora comunque la direzione: la Siria docet. Il secondo risultato tocca ancora una volta l’energia. Ad oggi gli USA sono il più grande esportatore di gas e petrolio nel mondo. Come stati europei, dopo il sabotaggio del NordStream 2, compriamo gas americano con un prezzo che oscilla tra il doppio e il triplo di quello che arrivava dalla Russia. Continua comunque ad arrivare anche gas russo, giacché i flussi fisici dell’esportazione e dell’import non sono cambiati, nel senso che non sono entrati in produzione altri impianti estrattivi negli ultimi due anni e mezzo, da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Quello stesso gas russo che prima arrivava in Europa attraverso l’Ucraina oggi arriva via Turchia e Azerbaijan, ma tutti fanno finta di non sapere e non vedere: che ipocrisia!
Negli ultimi due anni, il ruolo dell’Opec è stato ridimensionato e messo in un angolo, ma pare non basti ancora. E veniamo quindi al secondo risultato che comporterebbe un attacco all’Iran.
Si renderebbe permanente almeno per un decennio, forse più, il dominio degli USA appena acquisito anche nell’esportazione del petrolio.
Si osserva che gli USA hanno raggiunto questi livelli di produzione con due tecnologie estrattive estremamente dannose per l’ambiente, conosciute come trivellazione orizzontale e fracking applicate allo “shale oil e shale gas”, quindi trivellazione orizzontale anziché verticale e fratturazione idraulica. Tali tecnologie, già note a fine ‘800 e brevettate a metà del secolo scorso, hanno ripreso piede vigorosamente nel 2011, in piena presidenza Obama, perché gli USA non volevano dipendere da importazioni dall’estero per il gas e il petrolio.
Ci si spiega allora perché gli USA non abbiano mai preso sul serio gli obiettivi e gli impegni delle conferenze sul clima delle Nazioni Unite, note come COP che si sono susseguite negli anni. Ed ecco perché le ultime sono state gestite, senza alcun problema, dai paesi produttori ed esportatori di petrolio, come la COP 28 e la COP 29, tenutesi a Dubai e a Baku.
Per colmo e paradosso, in entrambe queste COP per ogni scienziato o ricercatore ambientale ed ecologico c’erano almeno tre/cinque lobbisti di aziende operanti nel settore dei combustibili fossili!
Come si fa a prendere sul serio i propostiti di diminuzione delle emissioni in atmosfera di CO2?
Infatti, non solo non diminuiscono, ma continuano ad aumentare come ci conferma il grafico di Charles David Keeling, usato come bibbia laica dagli ambientalisti e dagli ecologisti del mondo, che ci ricorda come nel 2023 abbiamo superato 420 parti per milione di CO2 in atmosfera.
In tempi recenti, come inquilino della Casa Bianca, Trump si era ritirato in pompa magna dall’accordo di Parigi del 2015, il nuovo inquilino Biden vi era rientrato abbastanza sottovoce, come è costume della visione dei democratici, ma le due tecniche estrattive su citate hanno ripreso forza e vigore con i democratici e hanno continuato ad essere usate con tutte le amministrazioni, indipendentemente dal colore rosso o blu del partito di appartenenza!
Si diceva del probabile attacco israeliano contro l’Iran e del secondo risultato sul fronte dell’energia.
A quel punto i flussi di petrolio provenienti dal Golfo non saranno disponibili per alcuni anni, 10 o 20 chi lo sa, e gli USA diventeranno per lungo tempo il più grande esportatore di petrolio oltre che di gas nel mondo.
A me pare che questo sia l’obiettivo fondamentale degli USA e del governo israeliano.
E l’Europa che fa?
Pare proprio niente, con una politica estera inesistente e appaltata alla NATO, che torna indietro sul Green Deal, che si accontenta di scrivere volumoni di regole apparentemente per tutti ma che al momento attuale hanno comportato il tracollo del sistema manifatturiero legato all’automotive.
Insomma, si prospetta una notte lunga e buia, ma purtroppo siamo appena all’inizio della giornata.
La nuova Commissione a guida Von der Leyen è la più a destra da quando c’è l’Europa, si procede presi per mano dal padre/padrone d’oltre Atlantico quasi autocompiaciuti di essere vassalli servili di Trump e di Musk.
Aveva ragione Eduardo”Adda passà ‘a nuttata”, ma forse dovremmo fare tutti un po’ di più, a tutti i livelli, perché questa brutta notte non arrivi o che almeno possa passare nel più breve tempo possibile.