Controstoria della Sardegna dalla civiltà nuragica al dominio spagnolo di Francesco Casula
1 Marzo 2025[Giovanni Ugas]
Il 27 gennaio a Cagliari l’archeologo Giovanni Ugas, già docente universitario e sovrintendente nella provincia di Cagliari e di Oristano, ha presentato il nuovo libro di Francesco Casula. Ecco alcuni stralci della sua relazione.
Nel libro Controstoria della Sardegna dalla civiltà nuragica al dominio spagnolo, un testo corposo di 339 pagine, edito recentemente nel 2024 dalla Grafica del Parteolla,Francesco Casula tratta la complessa e articolata storia della Sardegna, materia tutt’altro che semplice da affrontare e raccontare perché richiede una conoscenza enciclopedica e infatti generalmente l’intera storia della Sardegna è oggetto di trattazione non di un solo studioso ma da parte di vari specialisti dei singoli periodi. Dunque, oltre che colto, come dimostrano i tanti libri che ha scritto, Francesco è anche molto coraggioso e la sua opera offre un percorso narrativo lineare proprio perché appresenta il punto di vista di una sola persona.
Il titolo Controstoria della Sardegnaè tutto un programma ed evidenzia che l’obiettivo di Francesco Casula è quello di scoprire la vera storia confutando quella ingannevole che talora emerge dalle antiche notizie letterarie e dagli studi moderni. La storia del passato della Sardegna, afferma Francesco, è raccontata per un lungo periodo da scrittori non sardi, adattata per lo più alle esigenze dei vari conquistatori e perciò finalizzata a esaltare il valore dei loro guerrieri, la loro superiore civiltà e il loro buon governo e per contro a denigrare i Sardi. Dai Romani agli Spagnoli e ai Piemontesi è proposto dunque un unico scenario in cui gli abitanti dell’isola appaiono incivili e perfino inetti.
La falsa storia deriva dunque principalmente dal fatto che non esistono documenti di argomento storico scritti dai Sardi. Solo al tempo dei Giudicati cominciano a comparire testi scritti in lingua sarda da Sardi, ma non trattano vicende storiche. Si comincia a scrivere di storia, oltre che della geografia dell’isola, solo nella metà del ‘500 con i primi umanisti sardi, Sigismondo Arquer, autore dell’opera Sardiniae brevis historia et descriptio e appresso Francesco Fara nelle opere De Rebus Sardois e Chorographia Sardiniae. Essi propongono in modo ancora acritico le notizie letterarie greche e romane e non poteva essere altrimenti perché l’archeologia nascerà solo tre secoli più tardi, tuttavia, l’Arquer che fu il primo martire della Sardegna moderna come mette in evidenza in un altro saggio Francesco Casula, ebbe anche il merito di essere stato il primo studioso a scrivere dell’aspetto e della funzione dei nuraghi, ritenuti fortezze dopo averli osservati.
Francesco Casula, con una prosa fluida e accessibile a tutti, che rispecchia il suo status di docente di lungo corso, getta uno sguardo sui tanti periodi della storia sarda e ne approfondisce i temi più rilevanti con un intento antologico, attraverso la selezione di brani letterari che lui chiama pimpirias de istoria, fiammelle di storia. Nella sua ricerca della vera storia, emerge un percorso, direi celebrativo, dei personaggi che hanno inseguito il sogno e la speranza della libertà dell’isola e talora dell’unità nazionale,
Francesco si sofferma particolarmente sull’età dei Giudicati, il solo periodo in dopo l’età nuragica, all’incirca tra il 900 e il 1300 dopo Cristo, i Sardi, pur divisi in quattro regni, furono liberi e in una fase di progressiva prosperità. Evidenzia il ruolo dei Giudicati non solo nella difesa della Sardegna e dell’Italia dalle mire di conquista degli Arabi, ma anche per la crescita dei valori culturali, tra i quali emerge la lingua sarda scritta, proposta inizialmente nei secoli XI-XIIIdai condaghes, cioè le rendicontazioni delle attività di monasteri e abbazie, e appresso nel sec. XIV dalla Carta de Logu, che raccoglie tre importantissimi testi di diritto civile e penale voluti da Mariano IV ed Eleonora d’Arborea.
Del periodo giudicale Francesco rileva le importanti testimonianze dell’architettura sacra e lo sviluppo delle attività economiche e dei commerci favorito anche dalla politica di espansione della chiesa romana e dalle relazioni con i comuni marinari di Pisa e Genova, anche se le loro ambizioni con gli innesti delle loro ricche famiglie nelle case regnanti giudicali e soprattutto con i loro conflitti contribuirono decisamente alla decadenza e alla fine degli stessi giudicati, agevolando con le loro divisioni le iniziative aragonesi per impadronirsi dell’isola
Sono tante le ragioni per apprezzare il lavoro di Francesco Casula, ma non entrerò nel merito dei contenuti delle vicende medioevali e moderne da lui considerate e porterò l’attenzione soltanto su alcuni argomenti e soggetti più antichi.
Riguardo alle guerre di Roma contro i Sardi, Francesco rimarca che il punto di vista degli autori romani non è attendibile. Gran parte di ciò che sappiamo delle guerre tra Roma e i Sardi alla fine del III e agli inizi del II secolo a.C. risale a Tito Livio che scrive due secoli dopo anche se poteva attingere a fonti più antiche. Lo storico romano subisce l’influsso del pensiero di Cicerone che emerge nel processo per concussione intentato nel 54 a.C. dai Sardi contro il propretore Marco Emilio Scauro.
Cicerone, come Livio legato alla fazione senatoriale di Pompeo contrapposta a quella di Cesare, nel difendeva Scauro afferma che i Sardi non avevano coraggio ed erano addirittura rozzi, vestiti di pelli e simili ai nordafricani, ma l‘acredine di Tito Livio nei confronti dei Sardi scaturisce soprattutto dal fatto che essi sostennero Cesare nella guerra civile contro Pompeo tra i 49 e il 45 a.C. e infatti poco dopo Karales, cioè Cagliari, fu nominata da Cesare municipium, dunque città amica dei romani, e ad un tempo i cittadini di Turris Libysonis, l’attuale Porto Torres furono considerati coloni romani; all’incirca nello stesso periodo rientra la dedica al Sardus Pater della moneta in bronzo coniata dal propretore Atius Balbus, forse omologato al Mars Pater latino.
L’attenzione di Francesco Casula è attratta particolarmente dalle vicende dei Barbaricini. Egli si chiede innanzitutto per quanto tempo essi restarono liberi ed è propenso a ritenere che sia un mito da sfatare l’idea che i Romani non abbiano occupato la Barbagia. Il tema è interessante e vale la pena soffermarsi. Intorno al 60 a.C., il già citato Diodoro, storico greco di Sicilia, vanta i Sardi Iolei o Iliesi perché furono capaci di resistere e opporsi ai Romani e con sentimento di simpatia assegna alla forte e coraggiosa popolazione sarda un’origine greca e la fa discendere dagli Eraclidi di Tespi in Beozia, condotti nell’isola da Iolao, eroe tebano attribuito a circa il 1300 a.C. e inoltre attribuisce al massimo artefice greco Dedalo l’antica meravigliosa architettura che oggi diciamo nuragica. Diodoro scrive che i Sardi, opponendosi con vigore ai Romani, conservarono la libertà nelle loro aree montane, sino al suo tempo, dunque sino alla prima metà del I sec. a.C., ma occorre chiedersi per quanto tempo gli Iliesi mantennero in seguito la libertà nelle zone interne dell’isola resistendo a Roma signora del Mediterraneo tra il III sec. a.C. e il V secolo d.C. I Romani chiamarono Barbaria la zona in cui si rifugiarono gli Iliesi e Barbaricini i suoi abitanti perché parlavano una lingua diversa dalla loro.
Francesco Casula propende a ritenere che alla fine della repubblica nel tardo I sec. a.C., i Romani fossero penetrati da per tutto nelle Barbagie e che di conseguenza vi siano rimasti sino alla caduta del loro impero, cioè sino al sec. V d.C., quando l’isola fu invasa dai Vandali. A questo pensiero inducono sia i ritrovamenti di manufatti romani di fine repubblica e di inizio età imperiale a Sirilò di Orgosolo, Sant’Efis di Orune e in altri siti dell’interno come Masilò, Norguiddo e nuraghe Dronoro di Fonni, sia la presenza di una mansio,cioè di unastazione romana, nel sito di Soròvile a Fonni, l’antica Soràbile, distrutta nel V sec. al tempo dell’arrivo dei Vandali.
Questo presidio si trova sulla strada che da Carales conduceva a Ulbia, nel tratto tra Biora, abitato romano nell’agro di Serri, e Caput Tirsi cioè le sorgenti del Tirso in agro di Buddusò. Su questi aspetti hanno portato la loro attenzione in particolare con la consueta dottrina Raimondo Zucca e Attilio Mastino. (…)
Francesco Casula non si è fatto sfuggire questo tema importante dei confini territoriali tra i Patulcenses e i Galillenses. L’iscrizione di Esterzili, realizzata a cera persa perché potessero essere ricavate più copie, è importantissima. In primo luogo, è rimarchevole il fatto che i confini tra i due popoli dovevano essere mantenuti, favorendo le richieste dei Patulcenses, come erano stati fissati in precedenza nel 115 a.C. dal console Marco Cecilio Metello che allora celebrò a Roma un suo trionfo in Sardegna dopo una campagna di guerra durata cinque anni. Nella sostanza i confini rimasero immutati a partire dalla fine del II secolo a.C. quando i Patulcenses Campani erano già insediati, forse qualche anno prima, in territori prossimi a quelli dei Gallilenses.
Nel suo libro, Francesco Casula affronta varie tematiche relative all’età nuragica e mi fa piacere che propenda a ritenere che gli Shardana siano i Sardi, come sostennero già i padri dell’archeologia isolana Giovanni Spano e Antonio Taramelli e come io stesso ho potuto accertare in seguito a un lungo e faticoso lavoro di ricerca.
Quest’idea che gli Shardana siano i Sardi è nella storia degli studi ed è pienamente in contrasto con le idee di studiosi che non sono archeologi, in particolare l’antropologo Carlo Mascia, il linguista Massimo Pittau, l’agronomo Mauro Peppino Zedda, l’architetto Franco Laner, l’ingegnere Paolo Littarru, oppure da archeologi come Fulvia Lo Schiavo e Mauro Perra che non hanno la stessa formazione degli allievi della scuola di pensiero di Giovanni Lilliu ed Ercole Contu. In effetti, sulle problematiche complessive della storia nuragica, Francesco, rispettando il titolo del suo libro, è attratto da chi propone già una controstoria nuragica e va in una direzione differente rispetto al tracciato degli studi percorso, attraverso gli scavi archeologici, da Giovanni Spano, Antonio Taramelli, Giovanni Lilliu, Ercole Contu e dagli allievi di questi ultimi.
Nell’immagine, l’esercito catalano–aragonese in marcia