Giulio Angioni
Continuando le osservazioni sul progetto di un Museo delle Identità Sarde (MIS), già molto avanti nella sua realizzazione nei vecchi locali del Molino Gallisai, bisogna osservare che, pur con tutte le cautele nell’evitare fuorvianti glorificazioni, la vicenda della famiglia Guiso Gallisai e delle sue imprese, industriali e non, ha caratterizzato la storia di Nuoro nella sua trasformazione da grosso centro agropastorale in città capoluogo. Nel suo piccolo assomiglia a vicende come quella della famiglia Florio in Sicilia. Già nei primi due decenni del XX secolo, grazie ad artisti ed intellettuali, poi con la formazione di una prima classe dirigente avveduta, la città si era distinta nel panorama della Sardegna. Basti ricordare Francesco Ciusa che vinse il premio per la scultura alla Biennale di Venezia nel 1907, e il premio Nobel per la letteratura nel 1926 a Grazia Deledda. L’anno successivo anche Nuoro è premiata con l’istituzione della provincia. Le intraprese dei Guiso Gallisai, seppure di scala solo provinciale, portarono un grande contributo alla crescita economica, culturale e sociale della città. La meccanizzazione dell’attività molitoria, datata al 1884, segnala l’inizio di una stagione di sviluppo delle attività della famiglia, che condurrà alla realizzazione dell’impianto di illuminazione pubblica di Nuoro nel 1915 (magistralmente ricordata da Salvatore Satta ne “Il giorno del giudizio”), passando attraverso attività filantropiche come la cessione al Comune di un’area per la realizzazione dell’asilo infantile, ancora oggi esistente. Ma l’attività che, più di ogni altra, qualifica le capacità imprenditoriali e la visione del futuro dei Gallisai, è stata la diga sul fiume Cedrino, iniziata nel 1915, con la duplice finalità di fornire acqua per l’irrigazione e di produrre energia elettrica. Molto del valore storico e identitario sta quindi nella vicenda della famiglia che ha costruito Su Molinu, la cui storia e memoria troverà una opportuna sistemazione grazie alla Fondazione intitolata a Francesco Guiso Gallisai. Il suo scopo sarà di raccogliere e sistemare tutta la documentazione relativa alla famiglia ed alle sue varie attività dalla seconda metà dell’800 fino alla fine della seconda guerra mondiale: oltre al mulino, al pastificio ed alla fabbrica del ghiaccio, tutti nel medesimo edificio, ed alla produzione e vendita dell’energia elettrica, i Guiso Gallisai si occuparono di estrazione e lavorazione del talco, di produzione ceramica, di agricoltura. Realizzato nella seconda metà dell’800 e poi sopraelevato durante gli anni ’20 del 900, il mulino ben rappresenta quel momento della storia dell’architettura nel quale non si era ancora individuato e perfezionato un tipo edilizio specifico per l’industria, né le normative edilizie avevano colto il carattere peculiare dell’edificio industriale, e si ricorreva quindi a modelli noti di architettura urbana. Il mulino sorge così “a filo strada”, come prevedeva il Piano di abbellimento della città del 1838 per le nuove costruzioni con l’intento di migliorare il decoro urbano, omogeneizzando il modo di insediarsi ed eliminando progressivamente dal tessuto edilizio le continue variazioni del profilo stradale che lo avevano fino ad allora caratterizzato, dovute all’alternarsi di piccoli cortili affacciati su strada, di profondità variabili, e di edifici costruiti sul filo stradale. Le facciate del mulino, prive di particolari articolazioni plastiche, hanno carattere urbano, ritmate da ordinate aperture, ad arco al piano terra e rettangolari ai piani alti. Se immaginiamo l’originario edificio a due piani possiamo dire che celava dietro una facciata da “palazzo” la sua funzione di edificio ”del lavoro”. Negli anni ’20 una aggiunta di tre livelli ha ripreso le linee architettoniche dell’edificio preesistente, senza modificare il carattere urbano del mulino. Da quel momento l’edifico raggiunge quasi i 20 metri di altezza, avendo uno sviluppo, lungo la via Grazia Deledda, di 58 metri: la sua imponenza lo differenzia dal basso tessuto edilizio circostante, che domina e sovrasta. La sua posizione ai margini dell’abitato su Badde Manna marca lo skyline di Nuoro. Il “Molino Gallisai” è un buon documento e una buona occasione come sede di documentazione museale di una fase della vita cittadina nuorese, ma anche dell’intera Sardegna, perché si colloca anche simbolicamente nel punto di svolta tra la molitura e la panificazione domestica tradizionale, con la mola asinaria tipica, e la molitura e la panificazione artigianal-industriale così come si è verificata in tutta l’isola nel medesimo periodo di tempo. Anche se bisogna notare che durante tutto il periodo di attività del Molino Gallisai la panificazione anche a Nuoro è rimasta principalmente di tipo artigianale, e ancora in grande misura di fattura domestica, con tipi e forme tradizionali. ll “Molino Gallisai” può essere dunque valorizzato come documento di se stesso, di quello che è stato e di cui testimonia nel suo stato residuale, come appunto sede di un museo che si definisce della identità sarda. Le attività erano plurime, Se la principale era la molitura, anche nel modo tradizionale del molino a cui i singoli portavano grano da macinare giungendo persino dai villaggi anche lontani da Nuoro, vi era anche un pastificio (probabilmente di paste almeno in parte tradizionali locali) e vi era anche una “fabbrica del ghiaccio”, tipico impianto urbano tra Ottocento e Novecento in Europa e altrove, che succede all’uso già secolare se non millenario, delle neveras, della neve conservata in buche per l’estate, come accadeva ad Aritzo fino a Novecento inoltrato. Nel “Molino Gallisai” si produceva anche energia elettrica, distribuita poi per usi privati e altri usi. Da qui si attinse l’energia per la prima illuminazione elettrica pubblica a Nuoro nel 1915. Interessante il porcile, residuo e simbolo di un modo di risolvere in maniera tradizionale il riciclo dei residui delle lavorazioni delle granaglie da macinare, panificare e pastificare. Il valore documentario, storico-identitario di questo manufatto in disuso dipende da come il suo riuso come sede di museo (ma anche come documento di se stesso) è attuato in una progettazione museografica. Sono numerosi i casi di edifici e complessi di archeologia industriale trasformati in centri culturali o musei, e quasi sempre con risultati di ottima qualità, sia dal punto di vista architettonico e museografico sia in termini di ricadute culturali ed economiche. In Italia il MACRO (Museo d’Arte Contemporanea di Roma) nell’ambito dell’ex fabbrica del ghiaccio Peroni, il centro polifunzionale nell’ex manifattura tabacchi Centola a Pontecagnano, l’Auditorium Paganini nell’ex zuccherificio Eridania a Parma. In ambito sardo si possono citare il Centro Italiano della Cultura del Carbone di Carbonia, all’interno della vecchia Lampisteria di Serbariu, le diverse realtà dell’area del cosiddetto Parco Geominerario (Montevecchio, Ingurtosu, Porto Flavia, Villasalto, ecc.), e altri casi di riuso culturale come l’Exmà(cello) o il Lazzaretto di Cagliari. Tutti si avvalgono della capacità evocativa dei luoghi storici del lavoro, dell’appartenenza dei luoghi alla identità delle popolazioni, dell’utilità economica, e anche di armonia dell’edificato, di conservare antichi edifici già integrati nel contesto urbano e paesaggistico.
Continuando le osservazioni sul progetto di un Museo delle Identità Sarde (MIS), già molto avanti nella sua realizzazione nei vecchi locali del Molino Gallisai, bisogna osservare che, pur con tutte le cautele nell’evitare fuorvianti glorificazioni, la vicenda della famiglia Guiso Gallisai e delle sue imprese, industriali e non, ha caratterizzato la storia di Nuoro nella sua trasformazione da grosso centro agropastorale in città capoluogo. Nel suo piccolo assomiglia a vicende come quella della famiglia Florio in Sicilia. Già nei primi due decenni del XX secolo, grazie ad artisti ed intellettuali, poi con la formazione di una prima classe dirigente avveduta, la città si era distinta nel panorama della Sardegna. Basti ricordare Francesco Ciusa che vinse il premio per la scultura alla Biennale di Venezia nel 1907, e il premio Nobel per la letteratura nel 1926 a Grazia Deledda. L’anno successivo anche Nuoro è premiata con l’istituzione della provincia. Le intraprese dei Guiso Gallisai, seppure di scala solo provinciale, portarono un grande contributo alla crescita economica, culturale e sociale della città. La meccanizzazione dell’attività molitoria, datata al 1884, segnala l’inizio di una stagione di sviluppo delle attività della famiglia, che condurrà alla realizzazione dell’impianto di illuminazione pubblica di Nuoro nel 1915 (magistralmente ricordata da Salvatore Satta ne “Il giorno del giudizio”), passando attraverso attività filantropiche come la cessione al Comune di un’area per la realizzazione dell’asilo infantile, ancora oggi esistente. Ma l’attività che, più di ogni altra, qualifica le capacità imprenditoriali e la visione del futuro dei Gallisai, è stata la diga sul fiume Cedrino, iniziata nel 1915, con la duplice finalità di fornire acqua per l’irrigazione e di produrre energia elettrica. Molto del valore storico e identitario sta quindi nella vicenda della famiglia che ha costruito Su Molinu, la cui storia e memoria troverà una opportuna sistemazione grazie alla Fondazione intitolata a Francesco Guiso Gallisai. Il suo scopo sarà di raccogliere e sistemare tutta la documentazione relativa alla famiglia ed alle sue varie attività dalla seconda metà dell’800 fino alla fine della seconda guerra mondiale: oltre al mulino, al pastificio ed alla fabbrica del ghiaccio, tutti nel medesimo edificio, ed alla produzione e vendita dell’energia elettrica, i Guiso Gallisai si occuparono di estrazione e lavorazione del talco, di produzione ceramica, di agricoltura. Realizzato nella seconda metà dell’800 e poi sopraelevato durante gli anni ’20 del 900, il mulino ben rappresenta quel momento della storia dell’architettura nel quale non si era ancora individuato e perfezionato un tipo edilizio specifico per l’industria, né le normative edilizie avevano colto il carattere peculiare dell’edificio industriale, e si ricorreva quindi a modelli noti di architettura urbana. Il mulino sorge così “a filo strada”, come prevedeva il Piano di abbellimento della città del 1838 per le nuove costruzioni con l’intento di migliorare il decoro urbano, omogeneizzando il modo di insediarsi ed eliminando progressivamente dal tessuto edilizio le continue variazioni del profilo stradale che lo avevano fino ad allora caratterizzato, dovute all’alternarsi di piccoli cortili affacciati su strada, di profondità variabili, e di edifici costruiti sul filo stradale. Le facciate del mulino, prive di particolari articolazioni plastiche, hanno carattere urbano, ritmate da ordinate aperture, ad arco al piano terra e rettangolari ai piani alti. Se immaginiamo l’originario edificio a due piani possiamo dire che celava dietro una facciata da “palazzo” la sua funzione di edificio ”del lavoro”. Negli anni ’20 una aggiunta di tre livelli ha ripreso le linee architettoniche dell’edificio preesistente, senza modificare il carattere urbano del mulino. Da quel momento l’edifico raggiunge quasi i 20 metri di altezza, avendo uno sviluppo, lungo la via Grazia Deledda, di 58 metri: la sua imponenza lo differenzia dal basso tessuto edilizio circostante, che domina e sovrasta. La sua posizione ai margini dell’abitato su Badde Manna marca lo skyline di Nuoro. Il “Molino Gallisai” è un buon documento e una buona occasione come sede di documentazione museale di una fase della vita cittadina nuorese, ma anche dell’intera Sardegna, perché si colloca anche simbolicamente nel punto di svolta tra la molitura e la panificazione domestica tradizionale, con la mola asinaria tipica, e la molitura e la panificazione artigianal-industriale così come si è verificata in tutta l’isola nel medesimo periodo di tempo. Anche se bisogna notare che durante tutto il periodo di attività del Molino Gallisai la panificazione anche a Nuoro è rimasta principalmente di tipo artigianale, e ancora in grande misura di fattura domestica, con tipi e forme tradizionali. ll “Molino Gallisai” può essere dunque valorizzato come documento di se stesso, di quello che è stato e di cui testimonia nel suo stato residuale, come appunto sede di un museo che si definisce della identità sarda. Le attività erano plurime, Se la principale era la molitura, anche nel modo tradizionale del molino a cui i singoli portavano grano da macinare giungendo persino dai villaggi anche lontani da Nuoro, vi era anche un pastificio (probabilmente di paste almeno in parte tradizionali locali) e vi era anche una “fabbrica del ghiaccio”, tipico impianto urbano tra Ottocento e Novecento in Europa e altrove, che succede all’uso già secolare se non millenario, delle neveras, della neve conservata in buche per l’estate, come accadeva ad Aritzo fino a Novecento inoltrato. Nel “Molino Gallisai” si produceva anche energia elettrica, distribuita poi per usi privati e altri usi. Da qui si attinse l’energia per la prima illuminazione elettrica pubblica a Nuoro nel 1915. Interessante il porcile, residuo e simbolo di un modo di risolvere in maniera tradizionale il riciclo dei residui delle lavorazioni delle granaglie da macinare, panificare e pastificare. Il valore documentario, storico-identitario di questo manufatto in disuso dipende da come il suo riuso come sede di museo (ma anche come documento di se stesso) è attuato in una progettazione museografica. Sono numerosi i casi di edifici e complessi di archeologia industriale trasformati in centri culturali o musei, e quasi sempre con risultati di ottima qualità, sia dal punto di vista architettonico e museografico sia in termini di ricadute culturali ed economiche. In Italia il MACRO (Museo d’Arte Contemporanea di Roma) nell’ambito dell’ex fabbrica del ghiaccio Peroni, il centro polifunzionale nell’ex manifattura tabacchi Centola a Pontecagnano, l’Auditorium Paganini nell’ex zuccherificio Eridania a Parma. In ambito sardo si possono citare il Centro Italiano della Cultura del Carbone di Carbonia, all’interno della vecchia Lampisteria di Serbariu, le diverse realtà dell’area del cosiddetto Parco Geominerario (Montevecchio, Ingurtosu, Porto Flavia, Villasalto, ecc.), e altri casi di riuso culturale come l’Exmà(cello) o il Lazzaretto di Cagliari. Tutti si avvalgono della capacità evocativa dei luoghi storici del lavoro, dell’appartenenza dei luoghi alla identità delle popolazioni, dell’utilità economica, e anche di armonia dell’edificato, di conservare antichi edifici già integrati nel contesto urbano e paesaggistico.
Questo articolo è stato pubblicato
domenica, 16 Maggio 2010 alle 00:12
e classificato in Identità.
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23 Agosto 2012 alle 21:03
L’illuminazione pubblica a Nuoro dovrebbe essere stata realizzata nel 1911, su progetto dell’ingegnere elettrico Giuseppe Luigi Sannio di Lula.