Annozero e l’Asinara
16 Maggio 2010
Stefano Sylos Labini
Ad Annozero si è parlato della protesta all’Asinara e Bersani, che ha dimostrato una buona conoscenza del settore chimico, a un certo punto ha detto “l’ENI decida in fretta quello che vuole fare”. E qui non ci siamo proprio perchè l’ENI è un’azienda di cui lo Stato italiano detiene il 30% del capitale ed è quindi l’azionista di maggioranza relativa che nomina l’Amministratore Delegato e la maggioranza relativa del Consiglio di Amministrazione. Allora non si capisce perchè, se le produzioni in oggetto sono considerate strategiche, l’azionista di maggioranza non debba dettare ai manager che ha nominato le linee di sviluppo dell’azienda in un quadro di politica industriale. Questo piccolo esempio a mio avviso dimostra la sudditanza psicologica e il complesso di inferiorità dei politici che provengono dall’ex Partito Comunista nei confronti del mercato: lo Stato, cioè il governo, cioè la politica non dovrebbe interferire con le libere decisioni delle aziende quotate in Borsa (anche se poi lo fa sottobanco come nelle famose scalate bancarie del 2005) . La politica industriale si fa con gli incentivi, le liberalizzazioni e la concorrenza oppure con qualche lodevole intervento come Industria 2015 che rappresenta semplicemente una goccia nel mare. Credo invece che, specialmente nel Mezzogiorno, lo Stato debba utilizzare le grandi imprese di cui ancora – per fortuna! – detiene la maggioranza relativa del capitale. Le grandi aziende rappresentano uno strumento fondamentale di politica industriale e, in questo momento di strapotere delle Lega, il loro coinvolgimento diventa ancora più importante. La Lega esiste ed è forte in quanto esiste il divario tra Nord e Sud e l’unico modo per contrastare la Lega è quello di puntare sullo sviluppo del Mezzogiorno anche utilizzando i cospicui fondi della programmazione 2007- 2013. E qui sappiamo bene che ci sono problemi enormi. Perchè, se è vero che le regioni del Sud spesso non sono dotate di personale qualificato in grado di valutare e di selezionare i migliori progetti tecnologici e industriali, è altrettanto vero che spesso le regioni non hanno di fronte interlocutori
industriali credibili e in grado di presentare progetti di successo. In altri termini, con chi si rapportano le regioni se non esiste una base industriale sviluppata e non vi sono imprese in grado di realizzare investimenti consistenti? Come si possono concedere gli incentivi se vi sono pochi e modesti progetti di ricerca e innovazione presentati da soggetti industriali poco credibili? Il risultato è la frammentazione e la dispersione delle iniziative senza che vengano raggiunti obiettivi precisi e misurabili. In questo quadro l’azione delle grandi imprese come l’ENI e l’ENEL, ma anche Finmeccanica e le aziende municipalizzate, diventa essenziale (al riguardo segnalo l’articolo pubblicato su Economia e politica) Per questo non ho condiviso l’espansione all’estero di ENEL che per acquisire il controllo di Endesa si è messa sul groppone 50 miliardi di euro di debiti, l’equivalente di un paio di finanziarie lacrime e sangue, invece di puntare sulla ricerca e sugli investimenti nelle energie rinnovabili per sostituire gli impianti a combustibili fossili (ricordo che le stime più pessimistiche indicano che il costo di Kyoto potrebbe essere di circa 800 milioni di euro). Inoltre, ritengo che l’idea di Bersani e Letta di far diventare l’Italia un hub del gas
sia priva di senso nel momento in cui, viste le direttive europee sul 20-20-20, dobbiamo concentrare tutti gli sforzi per aumentare la quota di energia rinnovabile e l’efficienza energetica.