Pinnettas

16 Maggio 2010

madau

Marcello Madau

Lavorando al tema scelto per il numero, le pinnettas (o barraccas: particolari capanne collegate all’economia contadina e pastorale della Sardegna), ecco che il sistema dei raffronti configura questa speciale identità in maniera assai ampia, ben oltre i limiti del nostro territorio. Verso la Corsica, la penisola iberica e le sue isole, ma non di meno verso la Sicilia, dalle Puglie sino a Istria e Dalmazia. E poi, naturalmente, verso il mare greco e fenicio.
Di pinnettas se ne incontrano sempre meno, eppure alcune aree mantengono esemplari bellissimi, disseminati singolarmente e talora in gruppo nei percorsi del lavoro all’aperto: lavoro di contadini e pastori che hanno bisogno di dimore temporanee per ospitare strumenti e produzioni. Appare immediatamente una dimensione arcaica, non solo per la tecnica – e vedremo che l’impressione è in sostanza giustificata, anche se la fattura così arcaica non è -, ma anche per il rapporto più individuale che collettivo con l’ambiente che suggeriscono.
Se in alcune l’alzato – fatto ormai raro e assai fragile da conservare – è totalmente vegetale (rami, frasche, canne), in genere esso si imposta su una base circolare di pietra messa in opera a secco. Vi sono poi esemplari completamente in pietra, con lavorazione dettata dalla natura diversa del materiale (a conci o a lastre, se basalto o calcare), che realizzano una chiusura a pseudo-volta. Simile, in modo evidentemente semplificato, a quella delle torri nuragiche.
Figlie dell’Ottocento e del Novecento, il loro sistema costruttivo è di attestazione molto arcaica: gli esemplari dalla copertura vegetale su base circolare litica sono presenti dal Neolitico recente (metà del IV millennio a.C. circa), come mostrano decorazioni in domus de janas a S. Andria Priu di Bonorva e S’Acqua Salida di Pimentel. Le capanne totalmente in pietra dovettero apparire in età nuragica, realizzando in dimensioni minori la celebre tecnica delle camere dei nuraghi.
Le pinnettas, che derivino da questi esemplari preistorici e protostorici, o che ad essi si ispirino con emulazione, sono uno degli episodi della grande e antica tradizione del costruire ‘a secco’. Così i recinti, di grandi dimensioni (alcuni documentati almeno dall’Alto Medioevo, come le muras una volta ritenute nuragico-resistenziali). O il reticolo quasi infinito di muretti, moltiplicatisi dopo l’editto delle chiudende ma non da essi nati. Le relazioni fra spazio chiuso ed aperto sono definite anche da questa trama.

Il racconto del costruire a secco è scritto da mani e menti in grado di operare con assoluta capacità, memoria accumulata e forse cristallizzata in gesti sicuri e rapidi che merita protezione e tensione documentale. “Le facevamo in due” – mi disse a Suni un vecchio costruttore – “in uno-due giorni, velocemente”. I muraioli in grado di costruire muretti a secco – ben più solidi di non poche orribili recinzioni di valorizzazione moderna pseudo-tradizionali, fatte talora in pompa magna da certi cantieri di ‘valorizzazione’ – erano ricercatissimi dai proprietari dei fondi. Lavoro itinerante, come quello dei potatori, che faceva circolare altre cose: storie, musiche, saperi, poesie.
Un muraiolo provetto come il grande tenore logudorese Antoni ‘e Sole mi raccontò di questo lavoro fra storie punteggiate da aneddoti, piccoli furti di galline e divertenti canti a ballo, ripetuti fra gare e focolari, che lo ricordavano. Di Candida Mara di Nulvi che fece bene, sul palco, a dare un pugno a chi le aveva lanciato un mutu a ‘disprezzo’.
Seguendo la storia dell’architettura a secco ci rendiamo conto di un’identità più vasta. La vicina Sicilia e, isole nell’isola, il suggestivo e concentrato paradigma negli insediamenti delle Eolie: le costruzioni a secco dell’età del bronzo, il contrappunto otto-novecentesco delle ‘pagghiare’, ricoveri e depositi contadini e pastorali, anch’essi chiusi a ‘falsa volta’. Come le omonime costruzioni salentine ed i più celebri trulli.
Ecco quindi una trama nuovamente mediterranea e meridionale, in grado di raccontare la storia lunga di un lavoro definito nell’ambiente e che ne viene trasformato in purissimo paesaggio culturale.
Sono possibili progetti comuni, incontri, azioni allargate per la valorizzazione conservativa di questo patrimonio. Ma intanto, senza dimenticare tutele ed attenzioni internazionali (UNESCO, Carta del Messico, Convenzioni europee), come mettere in atto i meccanismi per una prima, immediata protezione?
Nel PPR (Piano Paesaggistico Regionale) pinnettas e barraccas sono fra i beni identitari, inserite nelle ‘Norme d’attuazione’ (punto 2.2) in un più ampio richiamo al costruire a secco. Ne consegue la centralità dell’impegno dei Piani Urbanistici Comunali.
La normativa prevede un percorso che va dal riconoscimento all’inserimento nel PUC e infine all’approvazione autorizzativa delle Soprintendenze, ovvero del Ministero. Ho sempre temuto, ed i segnali preoccupanti non mancano, che a fianco dell’assalto alle coste si possa consumare un attacco ai paesaggi culturali interni, i paesaggi dell’identità: uno dei segnali è il tentativo di fermare proprio l’ultimo passaggio addormentando gli articoli 145 e 146 del Codice dei Beni culturali e del Paesaggio.
Prendono maggiore rilievo, in tale quadro, ambiguità e rischi della formulazione (negli indirizzi applicativi del PPR), che “i beni identitari costituiscono fattispecie diverse dai beni paesaggistici e come tali non soggiacciono ai regimi vincolistici dei beni paesaggistici.” Vi è un possibile depotenziamento della tutela nazionale di insiemi e architetture tradizionali, tutelati prima dalla Legge 1489/1939 poi dalla ‘ Galasso’, recepiti infine dagli artt. 2 e 136 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.
L’inserimento nel PUC di questi beni identitari porterà ad una prima protezione e ad un riconoscimento almeno parziale da parte dello Stato, ma il non inserimento consegnerà alla facile distruzione un aspetto delicato e centrale del tradizionale paesaggio agrario e pastorale dell’isola: sarà davvero fondamentale l’attenzione comune per comune, professionista incaricato per professionista incaricato, nel dare visibilità a tali beni. Un’attenzione da corroborare con sensibilizzazioni più vaste, incontri e azioni interregionali in difesa di un antica e comune traccia identitaria.

1 Commento a “Pinnettas”

  1. Giulio Angioni scrive:

    D’accordo in tutto e per tutto!

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