Dibattito. Cene di guerra
16 Febbraio 2008
Raffaello Ugo
Parlare con gli altri non è facile, ognuno ha le sue difese. Ognuno ha la sua idea del mondo e non gradisce quando questa viene messa in discussione. Ed è del tutto inutile avere ragione se non si riesce a smuovere l’altro. D’altra parte solo pochi esseri umani gradiscono essere smossi. E non sono necessariamente i migliori. Probabilmente una strategia più efficace è quella di proporre il problema e lasciare che il semino gettato fruttifichi. In questo senso l’idea di organizzare delle “cene di guerra” potrebbe, con tutti gli aggiustamenti necessari, diventare una delle possibilità da mettere in campo per tentare una mobilitazione che vada oltre il confine, alla lunga asfissiante, degli incontri tra eletti. Caratteristica di queste cene dovrebbe essere l’aspetto simbolico, il tentativo di inquadrare le questioni nel campo visivo di una persona anche poco attratta dall’impegno politico. Tentare di far scattare magari un piccolo senso di colpa (eccezionale motore di tanti comportamenti virtuosi) anche nei più indifferenti.
Una cena di guerra ha delle caratteristiche nettamente diverse da una cena classica. Invece di preparare complicati e faticosi pasti per dozzine di persone si potrebbero invitare le persone a portare qualcosa a scelta per sé e qualcosa da condividere con un’altra persona così da evitare ogni avanzo. La sobrietà nello scambio di doni (il cibo) da una persona all’altra e la condivisione di cibi e bevande è ciò che rende compagni (cum panis) ed è lo scopo del pasto. Sarebbe opportuno evitare piatti, bicchieri, tovaglioli di carta o plastica mentre ognuno potrebbe portarsi i suoi di vetro, in ceramica ecc. Un tavolo, isolato dagli altri, dovrebbe rappresentare lo spazio chiuso dei G8 mentre il resto del mondo potrebbe suddividersi tra gli altri tavoli per aree geografiche, ad esempio Palestina o Iran (sarebbe bello con rappresentanti doc) o nodi dolorosi come quello degli operai dell’Unilever, degli agricoltori strozzati dalle banche o di qualsiasi altro elemento di sofferenza che possa collegarsi ai temi della globalizzazione. L’assenza dei G8 al tavolo non impedirebbe, prima della cena, l’inizio di un vero e proprio processo in contumacia con figure individuate per l’accusa e la difesa che espongono con precisione i punti a favore e quelli contrari alle politiche dei G8. In particolare la figura del difensore d’ufficio potrebbe essere il ruolo chiave per non dare la sensazione che la sentenza sia già stata scritta. Una buona arringa difensiva, per quanto antipatica, costringerebbe tutti gli altri ad argomentare con maggior forza e precisione le posizioni opposte. Si potrebbe, in conclusone, chiedere l’intervento della Corte Penale Internazionale (ICC) a significare il riconoscimento di un organo super partes davanti al quale debbano essere giudicati i crimini internazionali e contro l’umanità. Alla fine la sensazione dovrebbe essere che il processo c’è stato, è stato corretto e il risultato è condiviso. Sia gli “avvocati” che il resto del mondo dovrebbero mantenersi rigidamente nei tempi così da restare all’interno di un’ora circa per l’intero processo. Questo aiuterebbe anche a non cadere nella trappola di mescolare i fatti e le opinioni permettendo a coloro che non sono addentro ai vari problemi di farsene un’idea più precisa senza sentirsi travolti. Altrettanto importante sarebbe evitare sfilze di dati che potrebbero lasciare indifferenti e invece arrivare col cuore al cuore dei singoli problemi privilegiando casi emblematici. Le “cene di guerra” potrebbero ripetersi a cadenze mensili da qui al G8 di La Maddalena e potrebbero anche avvenire contemporaneamente in diversi luoghi o muoversi tra le diverse località sarde. La presenza “reale” di gruppi o popolazioni offese mescolati a personaggi “teatrali” creerebbe un atmosfera di efficace “ambiguità emotiva” che favorirebbe l’immedesimazione, l’empatia col mondo. Per quanto riguarda gli spazi, qualsiasi spazio con tavoli e sedie è ottimale. Siamo in guerra, bisogna arrangiarsi.