Undicesimo: non abusare di Dio
1 Marzo 2008
Manuela Scroccu
In uno stato laico le leggi non possono essere la traduzione normativa di una qualsivoglia “verità naturale” ma devono essere il risultato di una dialettica e di procedure pubbliche che interessano tutti i cittadini e che devono valere per tutti: credenti, non credenti e diversamente credenti.
Laico, infatti, non significa l’opposto di credente (o di cattolico) e non indica, di per se, né un credente né un ateo né un agnostico. Laico è chi articola il proprio pensiero secondo schemi logici e razionali che non possono essere condizionati, nel loro procedere, da nessuna fede. Laico è chi conosce la differenza tra il quinto comandamento che impone di non uccidere, e l’articolo 575 del codice penale che punisce l’omicidio.
La laicità non è un contenuto filosofico ma una forma mentis, ovvero la capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che è oggetto di fede, a prescindere dall’adesione o meno a tale fede; la capacità di distinguere le sfere e gli ambiti delle diverse competenze, in primo luogo della Chiesa e dello Stato. Una visione religiosa può muovere l’animo umano verso i più nobili sentimenti, persino verso una società più giusta, ma una società veramente laica sa che tale visione non può tradursi in articoli di legge; una società veramente laica non consente la vera e propria criminalizzazione di comportamenti morali difformi, che non siano lesivi della libertà altrui.
Dove questo accade, due sono i termini da utilizzare: oscurantismo e fondamentalismo.
L’apparente banalità di tali affermazioni acquista tutta la sua importanza nello scontro con l’invadenza di una gerarchia ecclesiastica che rivendica sempre più insistentemente il diritto a partecipare al dibattito pubblico in quanto unica depositaria di verità che dovrebbero guidare non solo gli orientamenti dei singoli ma anche le leggi dello Stato sui temi cosiddetti “eticamente sensibili ”come fecondazione assistita, coppie di fatto e biotecnologie.
Gian Enrico Rusconi, nel suo bel libro Non abusare di Dio. Per un’etica laica (Rizzoli), traccia una netta distinzione tra sfera pubblica in generale, che deve rimanere aperta al confronto di tutte le posizioni e discorso pubblico in senso proprio, che mira alla decisione politica. Ed è proprio in tale sfera che stiamo assistendo a quell’abuso di argomenti religiosi che mira strategicamente a condizionare la decisione politica.
La religione di chiesa viene interpellata e si impone come punto di riferimento non in virtù del suo patrimonio teologico ma come consulente morale: una consulente autoritaria che si concentra sui comportamenti privati e sui rapporti personali tra le persone, nel nome della difesa di una non meglio identificata famiglia naturale.
I professionisti del dogma che compongono le gerarchie ecclesiastiche italiane si attribuiscono un’autorità non soltanto su temi teologici e religiosi ma su qualunque argomento politico, culturale e scientifico in forza di una sorta di competenza speciale sulla natura umana. Questo avviene perché una parte politica (sempre più consistente e non più solo di destra) ha concesso l’esclusiva, sui temi della famiglia o della genetica, ai vescovi e i cardinali, considerati i veri esperti in materia e chiamati ad intervenire nei salotti televisivi come opinionisti accreditati (forse da Dio in persona, o da Bruna Vespa).
In questo contesto di deriva mediatica, la fotografia di un Giuliano Ferrara, nuovo paladino antiabortista, insieme ad un sorridente papa Ratzinger durante la visita del pontefice ad una chiesa romana, in cui non si capisce bene chi si sta inginocchiando di fronte a chi, appare come la grottesca rappresentazione visiva di una nuova e pericolosa alleanza. E’ il sintomo di un nuovo oscurantismo mediatico che si è insinuato nel dibattito politico e sta, ormai sempre più velocemente, erodendo le fondamenta di un’etica laica che, partendo dalla nostra Costituzione, sembrava ormai patrimonio condiviso del Paese.
La legge 40 sulla fecondazione assistita, la vergognosa campagna antiaborista, la polizia giudiziaria che irrompe in un reparto d’ospedale napoletano, interroga una donna che ha appena subito un interruzione di gravidanza accusandola di “feticidio” e sequestra il feto come corpo del reato: sono tutti eventi che, uno dopo l’altro, hanno squarciato il velo su quella che è, oramai, una minaccia sempre più evidente per la democrazia ed è un insulto alla nostra Costituzione.
Eppure, il relativismo che fa tanta paura a Ratzinger e al cardinal Ruini, ovvero l’esistenza di una pluralità di visioni del mondo e della vita, è garantito da tutte le costituzioni democratiche.
Difendere la laicità come valore fondante della nostra Repubblica non significa negare le differenze o annacquarle in un esasperante “maanchismo” nella speranza che spariscano.
Se laicità significa tolleranza, dubbio rivolto prima di tutto alle proprie certezze, se significa credere fortemente in alcuni valori sapendo che ne esistono altri, se significa, soprattutto, non ammettere la diffamazione di chi la pensa in maniera diversa, allora l’inconciliabilità dei punti di vista non rappresenta un pericolo. La richiesta di riconoscimento delle proprie differenze diventa un problema per la democrazia, non quando si riferisce alla libertà di pensiero e di comportamento, ma quando pretende di imporsi a tutti i cittadini tramite il processo legislativo.
Nella realtà sociale e politica accade spesso che, soprattutto quando sono in gioco forti elementi identitari, non sia possibile arrivare ad una mediazione di punti di vista. Non si tratta di una disgrazia ma è l’essenza, la linfa vitale delle democrazie moderne. Di più, su di esso si basa il concetto di una legalità pubblica la quale, attraverso il processo della deliberazione politica, produce norme e leggi vincolanti per tutti, tenendo conto delle opinioni di maggioranza e di minoranza, secondo le procedure stabilite dalla Costituzione e nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Solo in questo modo si può garantire il principio di eguaglianza tra tutti i cittadini. Senza scomodare Dio.