Immigrazione: integrati o separati in casa?
16 Maggio 2007di Gian Franca Fois
3.035.144 in Italia, 19.955 in Sardegna: sono questi i numeri dell’immigrazione regolare al 31 dicembre 2005 secondo il rapporto della Caritas. L’Italia si avvicina così alla situazione dei paesi europei con più alta percentuale di cittadini stranieri, allo stesso tempo il fenomeno assume nuove caratteristiche: alla tradizionale presenza quasi esclusivamente maschile adulta si affianca una sempre più crescente presenza femminile, circa la metà degli immigrati. Da una parte si tratta di donne che vengono da noi per un lavoro autonomo, spesso come badanti e in molti casi sono donne di mezza età che arrivano non per costruire un progetto di vita per il futuro, ma per sostenere la propria famiglia – in particolar modo i figli – rimasta in patria; dall’altra vengono per ricongiungersi con il marito e frequentemente portano con sé i figli. E questa è la seconda novità: il crescente numero di minori stranieri presente nel nostro territorio.
Tutto ciò comporta una serie di problemi, da quelli più banali (l’alimentazione in una mensa scolastica) a quelli organizzativi della società, dei suoi servizi, delle sue regole.
Si sta formando così una società multiculturale alla quale non siamo preparati e gli ultimi episodi di cronaca nonché le recenti inchieste ci convincono sempre più di questo.
La società che vorremmo deve praticare l’interazione fra le varie culture in un continuo dialogo e confronto rifiutando il modello di comunità separate presente soprattutto negli Stati Uniti. Questo infatti favorirebbe da una parte l’egoismo e la difesa isterica e non ragionata della propria identità, dall’altra sottolineerebbe l’estraneità, gli elementi che ci dividono e non quelli che ci uniscono.
Per quanto riguarda la Sardegna non si sono finora verificati episodi eclatanti di razzismo, ma esiste un razzismo strisciante e soprattutto c’è una forma di emarginazione: gli stranieri, anche quelli di una certa cultura, trovano difficoltà a instaurare relazioni, a inserirsi.
Si determina quindi una forma di coesistenza ma non di convivenza e proprio da questa situazione potrebbero nascere in futuro problemi di intolleranza.
Nel frattempo gli immigrati hanno cercato di organizzarsi in comunità per incontrarsi, discutere, risolvere problemi, avere punti di riferimento, creare rapporti stabili e duraturi con le istituzioni e, in particolar modo, lavorare per l’abbattimento delle barriere, dei pregiudizi, dei luoghi comuni.
Numerose sono infatti le comunità organizzate presenti in Sardegna e soprattutto nella provincia di Cagliari, comunità sia di stranieri sia di sardi e stranieri che lavorano insieme anche se le loro iniziative non vengono adeguatamente segnalate dalla stampa. Molte associazioni sono componenti della consulta 2005/2009, sono aperte all’esterno per far conoscere la loro cultura, la storia dei loro paesi; alcune svolgono anche attività nelle scuole in progetti di educazione alla pace, alla convivenza, alla mondialità.