Zigantes
7 Agosto 2010Marcello Madau
I giganti di Monti Prama in Cina, oppure a Reggio Calabria, a sfregio per il no allo spostamento dei Bronzi di Riace. Da sostituire, essendo in restauro, con due guerrieri, come fossero due giocatori in panchina. Anzi, no, tutti in un lungo tour fuori dall’isola. Comunque, in giro per promuovere (assieme a musica ed enogastronomia, sperando di evitare l’effetto sagra) l’immagine della Sardegna.
A prescindere dagli aspetti politici e, soprattutto, da quelli culturali che poi vedremo, devo dire subito che le idee di Mario Resca, supermanager per la valorizzazione dei beni culturali, mi hanno colpito – e anche stupito, visto il prestigio manageriale, per quanto acquisito in settori un po’ diversi (gli hamburger) – per l’incertezza e la discutibilità della proposta promozionale.
Mi hanno colpito perché la suggestione di uno scenario mondiale per la cultura sarda è attraente, ma i tempi sono frettolosi e l’approccio, con qualche apparenza post-moderna – molto superato, degno della vecchia antiquaria.
Mario Resca vuol portare fuori dalla Sardegna statue sottovalutate per trent’anni, per tre anni restaurate e sulle quali vi è ancora molto da capire, sia con nuove ricerche in tutto l’ampio e vitale bacino nuragico del sito e attorno ad esso, sia studiando da subito le risultanze, di eccezionale interesse, dell’intervento di restauro. Resca vuole promuovere un prodotto del quale non può illustrare – se non molto genericamente – le caratteristiche. Ci si può sempre rifugiare nel mistero (tira molto), ma mi sembra una promozione sbagliata.
Nulla in contrario – lo si è sempre fatto, neppure questa sarebbe una novità – ad esporre in mostre i reperti archeologici. Ma c’è molto da studiare su questi manufatti per farli emergere nel godimento pubblico cosciente. Ci sarà tempo per mandare in giro le statue.
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Non è rassicurante questa fretta. Agire ad agosto su grandi progetti porta a ingenerosi sospetti. Soprattutto se preceduta di poco dalla patinata iniziativa “Sulle spalle dei giganti” promossa il 18 maggio scorso a Sassari da Invitalia (ex-Sviluppo Italia): un’azione mirata, si è detto, a creare imprenditorialità legata ai beni culturali in Sardegna.
Sviluppo Italia diventa Invitalia nel 2008, promossa e inaugurata dall’ex Ministro dello Sviluppo Economico Scajola (evidentemente un appassionato di beni archeologici, stante il suo rapporto con il Colosseo).
E’ interessante capire, o anche solo intuire, la sorte dei ‘zigantes’ legata a questo carrozzone molto discusso, produttore di finanziamenti, eccezionali passivi, grandi manovre politiche (dal PD al PDL, ora con orbita attorno a Raffaele Fitto) ed economiche-turistiche. Orfano di Scajola dopo la disavventura del Colosseo, e tuttora orfano per via di un Ministro non più nominato.
Tre settimane prima del convegno sassarese Emma Marcegaglia passava la sua quota di Invitalia, alla quale partecipava entro ‘Italia Turismo’, alla Fintecna di Maurizio Prato (qualche incarico: Direttore Alitalia, Agenzia del Demanio, Presidente Grandi Stazioni etc.; e, altro merito per i sardi, controllore della Tirrenia).
E’ utile sapere, per capire in che mani potrebbe finire la valorizzazione del più grande episodio dell’antica statuaria mediterranea, che Italia Turismo era una joint venture composta da Invitalia e Turismo &Immobiliare: Marcegaglia, per l’appunto, più Pirelli Re e Gabetti. La mission: villaggi turistici alberghieri nel Mezzogiorno, seimila posti letto.
In questo valzer bipartisan (l’AD – Amministratore Delegato – Arcuri, nominato dal governo Prodi con i buoni uffici di Bersani e D’Alema, è riuscito a navigare indenne mantenendo ottimi rapporti con Scajola e Berlusconi), non incidono più di tanto le pesanti censure della Corte dei Conti.
La sezione sarda di ex-Sviluppo Sardegna sta per chiudere, consegnando altre persone alla disoccupazione, ma il 30 luglio ecco l’aggiornamento dell’organigramma. Arcuri confermato come AD, e come Presidente Giancarlo Innocenzi, tra i fondatori di Fininvest ed ex commissario dell’Agcom, di recente dimessosi a seguito dell’inchiesta della procura di Trani sulle presunte pressioni del premier Silvio Berlusconi per far chiudere la trasmissione “Annozero” di Michele Santoro.
Secondo il PD “la conferma di Domenico Arcuri ad amministratore delegato di Invitalia e’ una buona notizia. Sono stati riconosciuti professionalita’ e impegno. L’Invitalia guidata da Arcuri ha dato in questi anni un grande contributo per contrastare la crisi di tante aziende italiane e rilanciarle assicurando loro un futuro”.
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Le statue di Monti Prama, per ragioni già spiegate in questo sito (ecco il collegamento), sono uno dei più straordinari episodi scultorei dell’antichità, espressione aperta della tradizione nuragica, narrazione memoriale e identitaria clamorosa, formatasi tra i decenni che vanno dal tardo-geometrico all’orientalizzante. Racconto elaborato da committenze e botteghe culturalmente e artisticamente pronte ad esso, che guardavano all’età del Bronzo (che le precedeva di una decina di generazioni e di racconti), con un meccanismo in qualche modo simile, e declinato per la realtà sarda, a quello noto nella Grecia geometrica che si rivolgeva, tramite i fondatori delle poleis e i loro apparati culturali, agli eroi micenei.
Siamo certi di voler affidare questo patrimonio alle mani di Invitalia (magari spalleggiata da qualche frazione istituzionale) e ad una visione superficiale ed errata della valorizzazione?
I giganti nuragici, a restauro ultimato, restino nell’isola: che sardi e turisti possano ammirali; a disposizione, perché ora è assai necessario, della comunità scientifica.
Il restauro consegna agli studiosi una messe di informazioni molto importanti. Si pone con forza il problema di un analisi del territorio che non è mai stata fatta, di uno straordinario paesaggio culturale nato fra terre fertilissime, mari aperti e fenici, greci, etruschi della vicina Tharros. I nuovi dati richiedono osservazione, analisi, studio, da riversarsi in nuovi saperi anche mediante la forma di un serio convegno internazionale su tema e contesto.
Intanto esponiamole bene e al più presto: dove possono stare correttamente, con il giusto microclima, le strutture didattiche e di controllo, i sistemi d’allarme. Che sia a Li Punti, o a Cagliari. Ma l’obiettivo più corretto sarebbe riportarle nel loro contesto, pensare ad un grande Museo della memoria nuragica costruito ex-novo presso il sito di Monti Prama (vedi il collegamento).
Promuoviamole pure – l’unica cosa che condivido dell’idea di Mario Resca – a livello mondiale, ma seguendo le esigenze scientifiche e il diritto di tutti a vederle; portando dal mondo i visitatori ad ammirarle nella loro sede. Lo faccia lei, direttore generale, visto che le compete. Ma non da solo, né ad Agosto. Resistendo persino alla pressione, stante la crisi di governo, della necessità di veloci realizzazioni di immagine.
Questo tema ci appartiene segnando con potenza territorio e memoria. Mi auguro che le comunità sarde che storicamente le hanno espresse le sapranno difendere, dopo quelli vecchi, da nuovi errori, e possano prenderne nuova forza per la Sardegna di oggi e delle generazioni future.
7 Agosto 2010 alle 10:17
Ma noi non siamo da meno di Mister Hamburger, alludo al Nur.At naturalmente!
Una proposta di legge dei Riformatori Sardi prevede l’istituzione di un carrozzino regionale per la promozione di “una fiaba mediatica per lo sviluppo” a base di “Nuraghe e il mito di Atlantide”, attraverso “lo studio delle antiche civiltà sarde, alle ricerche delle conferme sul mito di Atlantide, alla creazione di un network di prodotti sardi e al sostegno di tutte le attività di promozione, pubblicizzazione, marketing legate alla diffusione della nuova immagine della nostra Isola”.
“I Riformatori sono affascinati dal lavoro svolto dal giornalista e studioso Sergio Frau (sfociata anni fa nel bestseller “Le Colonne d’Ercole”, ndr) impegnato a dimostrare i rapporti tra la nostra Isola e la leggendaria terra di Atlantide, ricercata da studiosi di tutto il mondo nell’intento di dare collocazione ad uno dei più importanti miti della protostoria”.
Al progetto Nur.At hanno partecipato i consiglieri regionali dei Riformatori (oltre a Pierpaolo Vargiu, Michele Cossa, Attilio Dedoni, Pietrino Fois, Franco Meloni, Franco Mula), l’Assessore Regionale al Turismo Bastianino Sannitu, il professor Enrico Atzeni (Ordinario di Paleontologia e Antichità sarde), Nicola Porcu (Ispettore Onorario di Archeologia Subacquea), Emanuela Solinas, (archeologa e direttore del Museo di Senorbì) e il professor Francesco Cucca (direttore dell’Istituto di Neurogenetica e Neurofarmacologia del CNR). Cercasi pool di neuropsichiatri!
7 Agosto 2010 alle 11:33
A questo punto perchè non proporre una legge regionale per creare una “tumbarella” regionale per la promozione dell’Hamburgher sardo DOC . Si troverà sempre qualche “studioso” di neuropsichiatria sardo-identitaria – disciplina ancora non riconosciuta dal CUN ma ricca di cultori e studiosi, al pari della paleontologia e antichità sarde – che saprà spiegare che furono i Shardana ad esportare l’Hamburgher in Sassonia, capeggiati dal capo Efis Hambu. Questi attraversando le false colonne d’Ercole, risalì la costa atlantica fino al Baltico approdando a Lubecca, dove conquistò le popolazioni locali senza colpo ferire grazie a questa prelibatezza. Non dimentichiamo che il tentativo di attribuire la paternità della fainè a Brottu Salippa , suffragata da eminenti studiosi di enogastronomia, paleontologia e antichità sarde (disciplina riconosciuta dall’Academia della Cucina), fallì per la fiera opposizione del ministro Scajola, ligure e perciò di parte, che ne attribuì l’invenzione ai genovesi durante la battaglia della Meloria. Poco male per la fainè, in fondo non era una rivendicazione a forte connotazione identitaria: trattasi di sassaresi! Ma vi prego non lasciamoci scippare l’hamburgher.
7 Agosto 2010 alle 12:09
Qual’è il contesto archeologico e storico delle statue di Monte Prama? Quale il significato di queste immagini nella società che le ha prodotte? Tentare di risolvere questi quesiti significa riprendere le indagini di scavo e chiarire la fisionomia dell’area, appena sfiorata dalle ricerche; le grandi mostre all’estero mi sembrano non soltanto inutili e premature ma anche fonte di ulteriori fraintendimenti e mistificazioni. E poi una “mostra” esiste già così come il suo contenitore: il centro di Li Punti, dove le sculture sono state egregiamente restaurate, è al momento l’unico luogo dove è possibile presentare la statuaria nella sua complessità e interezza e coglierne, didatticamente, insieme ai risultati egregi del recupero, l’affascinante percorso tecnologico e culturale.
La Cina può attendere, dunque, così come la definizione di un luogo definitivo di collocazione delle statue che avrà necessità di una struttura nuova, pensata per il contesto di Monte Prama una volta che questo contesto sia chiarito attraverso nuovi scavi e nuovi studi. Ma queste sono le riflessioni di uno studioso che sa bene di vivere in una società che ha una valutazione assai negativa degli studi e della cultura. Mi aspetto perciò di vedere le statue in Cina, magari accompagnate dalla planimetria di Atlantide e commentate dai testi scritti in lingua nuragica.
7 Agosto 2010 alle 12:27
Ci penso io. Domani parto per la Danimarca, nel nostro lessico famigliare detta Danesia, dove vive mio figlio che mi ha fatto due gemelline sardo-vichinghe, che vivono nell’antica regione germanica dei Cimbri e dei Teutoni. Stavolta ci vado anche in avanscoperta, sia per i Giganti (anche lassù vantano primigenie statuarie vichinghe e previchinghe), sia per Atlantide (quattro o cinque secoli fa era obbligo in Scandinavia credere che Atlantide era appunto lì) e sia anche per gli Hamburger, che nell’isola di Mors pare li facessero già ottocento anni fa al pecorino sardo marcio.
7 Agosto 2010 alle 16:30
COMUNICATO STAMPA ANA SARDEGNA
Sassari, 7 agosto 2010
L’Associazione Nazionale Archeologi Sezione Sardegna segue con preoccupata attenzione lo sviluppo del dibattito sul destino immediato e futuro delle statue di Monti ‘e Prama.
Riteniamo che tale pregevole testimonianza, tanto di forte impatto quanto ancora così poco conosciuta, debba essere soggetta, oltre che primariamente alla tutela, allo studio ed alla conoscenza in modo da far rivivere per la collettività il suo valore di testimonianza del passato nella contemporaneità.
Le statue, il cui restauro è ormai alle fasi conclusive, potranno certamente essere un forte segno di promozione globale del territorio, ma ora è bene che restino in Sardegna per il tempo necessario ad un’ampia fruizione diretta e per le necessarie e urgenti ricerche.
Auspichiamo infatti che tutti i corretti passaggi che la disciplina archeologica impone siano osservati e che solo attraverso lo studio e il lavoro degli archeologi e delle altre professionalità interessate in tutte le fasi (dal recupero del contesto originario, anche tramite attività di scavo archeologico, al restauro, allo studio scientifico) si giunga ad una corretta valorizzazione che permetta di comunicare alla collettività, naturale destinataria del suo passato, non solo oggetti, per quanto monumentali e di impatto, ma soprattutto la storia di una comunità o di parte di essa attraverso i propri meccanismi di autorappresentazione all’interno di un momento essenziale della società nuragica.
Giuseppina Manca di Mores
Presidente ANA Sardegna
8 Agosto 2010 alle 10:22
Non mi pare che si possa non concordare con quanto scritto da Marcello e da Paolo Bernardini. Il sito di Monti Prama è stato solo parzialmente indagato e ancor più parzialmente sono stati pubblicati i risultati delle indagini effettuate finora. Più che mandare in giro per il mondo dei giganti dall’identità ancora incerta sarebbe meglio che tutti ci si impegnasse a trovare i fondi per estendere le indagini archeologiche sul sito di Cabras, indagini che, ne sono sicuro, porterebbero nuovi ed eclatanti risultati. Ben vengano allora mostre sul restauro e pubblicazioni sulle ricerche precedenti ma, per carità, lasciamo che i giganti prima di lasciare l’isola per lidi lontani abbiano i documenti di identità in ordine.
8 Agosto 2010 alle 12:10
Condivido le preoccupazioni per il futuro delle Statue e, nel contempo, mi permetto di esternare le mie perplessità anche sul loro recente passato.
Ci si preoccupa delle “mani in cui potrebbe finire la valorizzazione del più grande episodio dell’antica statuaria mediterranea” ma non ci si chiede che mani ne abbiano avuto cura in questi ultimi anni.
Non si rimane quantomeno perplessi nel vedere le condizioni delle Statue dopo un restauro che qualche post qui sotto viene definito addirittura egregio?
8 Agosto 2010 alle 17:11
Come ho già detto ad un gionalista della Nuova Sardegna:
1) E’ assurdo che si pensi a far viaggiare per il mondo le statue appena restaurate di Monte Prama prima di presentarle ufficialmente in Sardegna. Mi sembra un atto di assoluto disprezzo per la terra che le ha prodotte.
2) Non avrei niente in contrario al fatto che viaggiassero in giro, ma solo come i pezzi più importanti di una Mostra, organizzata scientificamente e seriamente, sulla Civiltà Nuragca, di cui sono espressione. Farli andare in giro come proposto da Resca mi sembra considerarli fenomeni da baraccone “Venite venite a vedere la donna barbuta, l’uomo più magro del mondo, il gigante di Monte Prama”. Mi sembra un’operazione squaliificante.
3) Dal momento che il trasferimento delle statue per il mondo costerebbe un casino di denari, io suggerirei al MIBAC di noni mpiegare quei soldi in operazioni di pura facciata, ma impegnarli per il controllo, la tutela e la difesa del territorio (messo a serio rischio da iniziative governative). Il territorio, globalmente, è il contesto da cui nascono e in cui si sviluppano le culture, ne è il tssuto connettivo. Se lo perdiamo rimangono solo episodi isolati e culturalmente incomprensibili.
9 Agosto 2010 alle 11:41
Il Ministro Bondi avrebbe bloccato l’idea errata e malferma di Mario Resca. Quindi una buona notizia. Però sarei più prudente nel parlare, come fa Mauro Pili, di posizione illuminata e di nuovo capitolo nei rapporti Stato-Regione, al posto della vecchia logica dei predoni di Stato (non ho capito se Pili si riferisce anche a Resca, lo saprà lui), La realtà mi sembra un’altra, anche più terra terra, ovvero che il governo se l’è tentata, ma non è andato tutto liscio. E la reazione è stata così ampia e ‘trasversale’ – altro che interpellanza – da potersi definire, soprattutto ad agosto, inattesa. Ci rallegriamo, se verrà confermato nel tempo, per il no del Ministro, ma non dimentichiamo, come mi pare rilevi anche più sopra Carlo Tronchetti, i tagli devastanti ai beni culturali: opera di questo governo e anche di Bondi.
Drei comunque, in questo povero agosto, di mantenere un minimo la guardia alta.
9 Agosto 2010 alle 18:02
Non resisto.Siete i soliti disfattisti. Sopratutto mi rivolgo a Giacomo Oggiano che se la ride ed evidentemente sarà contrario anche alla produzione di puro cioccolato sardo al latte di pecora e alla fondazione sulla nostra isola di banche con solo sportelli di deposito. Ecco chi impedisce alla Sardegna di diventare la Svizzera del Mediterraneo! Chi non ci crede abbastanza.
A proposito di Danimarca, c’è anche lì del formaggio marcio. Come è vero che ad Alghero c’è puzza. Qui davvero occorrerebbe un gigantesco Hadalgher (in antico danese: “nobile disposto a spezzare una lancia per la sua progenie”) disposto a sacrificarsi per le future generazioni sarde.
Joan, Zuanne, Giovanni Oliva
9 Agosto 2010 alle 19:20
Caro Joan,Giuanni, Aliva, Oliva
visto che mi chiami in causa, è vero, sono un disfattista. Non solo non voglio che la Sardegna diventi la Svizzera del Mediterraneo ma (da infame) neanche L’Atlantide del Tirreno; e tutto ciò in barba agli studiosi di enogastronomia, paleontologia, atlantologia colonnedercologia e antichità sarde. Se poi arriva lo tsunami i depositi nelle banche che fine faranno? A proposito pare che la funzione dei nuraghi fosse proprio quella di banche-fortezze con sportelli in basalto di solo deposito a prova di magistrati comunisti. Fin da epoca pre-punica ci finivano i fondi derivati dalle promozioni di cioccolato al pecorino (il più buono del mondo), pane carasau e del Cannonau ( il vino più antico e più buono del Mediterraneo); promozioni effettuate grazie all’immagine di Atlantide veicolata nel Catai dai giganti di Monte Prama che datano al VII secolo B.C. +/- 10 milioni di anni. Peccato che per colpa delle proteste di altri disfattisti il solito ligure di Luni (e perciò di parte) abbia impedito un’altra spedizione nel Catai. Lui vive di poesia ed essendo molto parco ha deciso che non è il caso di finaziare quei bischeri (pardon per l’etruschismo anche se in realtà agli etruschi l’epiteto lo ha insegnato un capo Shardana) di archeologi e le loro strane ricerche.
10 Agosto 2010 alle 13:32
oggi ne ‘il manifesto’ pagina su Monti Prama
10 Agosto 2010 alle 15:03
L’archeologia sarà anche una scienza, ma a me pare anzitutto uno degli alfabeti con cui si costruiscono le ideologie nazìonali. E l’archeologia sarda, che non può servire all’ideologia nazionale italiana (vedere i tentativi falliti di arruolarci nella razza ariana nei numeri de “La difesa della razza” sulla Sardegna, di cui ha parlato Alfonso Stiglitz in questo quindicinale), non sembra d’altra parte che si possa usare per un discorso nazionale sardo da parte della sinistra. In questo dibattito pieno di ironia sugli stessi “zigantes”, su Frau, su Atlantide, sull’antica storia dei sardi, manca l’essenziale: cosa vogliamo fare delle statue, cosa della preistoria, cosa della storia sarda? La destra oscilla dalla Sovrintendenza a Cabras all’esportazione, con mostra nei supermercati, di quelle statue. Noi, cosa ne vogliamo fare? Le proposte fatte mi sembrano inferiori alla passione che il dibattito evidenzia. E se il Betile fosse la risposta?
10 Agosto 2010 alle 23:57
Che l’archeologia sia – talvolta – un alfabeto per ideologie nazionali non è un problema dell’archeologia, quanto dell’ideologia del nazionalismo e dell’integralismo.
Carenza di proposte? Le linee espresse da molti archeologi e dalle associazioni, che dicono che la valorizzazione deve seguire e non precedere la ricerca, che la conservazione deve essere ottimale, che la gente ha diritto ad avere nel territorio le statue, che si deve riprendere o studio non sono proposte? Sono le risposte alle domande di Cubeddu, ad esempio. Si iscrivono nel solco della lettura del contesto e del rifiuto della volgarizzazione commerciale del patrimonio che viene dalla lezione di Bianchi Bandinelli e dei ‘Dialoghi di Archeologia’. Non aspettarti inni e proclami, Mario: la nostra passione si innerva nella scienza, non ne è separata. Creando anche per questo alcuni ostacoli a un potere pur forte e talora sfrontato.
Il Museo del Betile? Il suo limite è la strutturazione concettuale nuragocentrica dell’identità sarda che, con rispetto per la magnifica cultura nuragica, mi pare più ampia di essa (vedi qua). Riappare una certa, passionale, nostalgia per Renato Soru, che non riequilibra una proposta carente.
La risposta per i ‘zigantes’ non è il ‘betile’, ma in prospettiva, quel museo di Monti Prama che sarebbe errato pensare di destra; e che, se vogliamo giocare con i termini di destra e sinistra, mi sembra, nell’attenzione a contesto e paesaggio che hanno espresso le statue, non meno di sinistra del Betile e decisamente meno ‘fuori luogo’.
15 Agosto 2010 alle 15:23
Infatti, Mario Resca ex manager della Mc Donald non si smentisce essendo ansioso di promuovere a rango superiore una presentazione Folkloristica/Commerciale inserendo nella presentazione due pezzi d’Arte da Museo cosi’ particolari come I Guerrieri di Monte Prama.
Purtroppo, Mr. Resca non tiene conto che i Guerrieri stessi partecipando a tale manifestazione verrebbero sottovalutati della loro artistica e storica importanza.
Potrebbe sostituirli con delle grandi immagine photografiche di questi da portarsi dietro e farci delle mappe e cartoline, dipinte su tazze da caffe’ e latte e persino calendari; tutto materiale di promozione possibile ma le statue
di certo devono essere in un posto sacro tutto per loro, in Sardegna.
19 Agosto 2010 alle 23:02
Oltre alla mostra in Sardegna ed ulteriori indagini sia di campo che in laboratorio, mi sembra che il complesso di Monte Prama meriterebbe di essere studiato non solo nel contesto specifico del Sinis ma anche in quello piu’ ampio; cioe’, direi, il complesso potrebbe essere studiato in collaborazione con colleghi da fuori l’isola, anche fuori dell’Italia tramite convegni ed incontri ecc. E forse ci andrebbe anche compreso il contesto attuale ‘etnografico’ con tutti i suoi aspetti ideologici e pratici di ‘heritage’ ed identita’.
20 Agosto 2010 alle 11:21
Certo, tutti i confronti e tutti i punti di vista possibili e immaginabili. Che cosa si capirebbe di queste statue introvertendole nella sola Sardegna? Non servirebbe neppure a chi vuole usarle per immaginare prische glorie sarde da sbattere in faccia ai nemici delle nostre sottratte grandezze. E importante pare anche a me lo studio attento del contesto “etnografico”, che io intendo soprattutto come studio delle reazioni sarde e non sarde a un simile documento, che non può non accendere idee e immagini identificanti, di memoria culturale da elaborare. Comprese le forme di utilizzazione fuori e dentro l’isola, compresa la fruizione turistica e la propaganda turistica. Come obbligano a fare anche le ultime iniziative del ministero dei beni culturali di Roma. O anche le opinioni tipo quella ultima di Sciola sulla costruzione del paesaggio.